TEMPIQUIETI- Vittoria Ravagli: Perché ancora una giornata su Joyce. SECONDA PARTE

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Questa seconda parte riporta altre relazioni tenute nel corso dell’incontro del 29.9.2012 a Colle Ameno ed alcune  annotazioni che ci sembrano utili nel riproporre i contenuti di quella giornata.

Mi piace ricordare che le donne delle istituzioni presenti: l’Assessora alle P.O. Marilena Lenzi, la Parlamentare deputata Donata Lenzi, l’Assessora alle P.O. della Provincia di Bologna Gabriella Montera, tutte hanno ricordato la figura di Joyce e le sue parole spesso profetiche  con ammirazione e condivisione. Alla domanda loro posta ”Cambiare é possibile?” ci hanno fatto ben sperare parlandoci del loro impegno, rivolto al cambiamento,  al coinvolgimento della scuola, dei ragazzi:  partire da loro, dalla educazione di genere; avere come obiettivo la convivenza pacifica, il rispetto delle differenze.

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“Le donne dell’ Anpi”   di Gabriella Manelli

Navigare a vista

I partigiani,  fra gli altri Marisa Ombra, Vicepresidente Nazionale Anpi, raccontano che durante la lotta di liberazione bisognava inventarsi tutto giorno per giorno. Anche oggi sembra di vivere un’esperienza simile. Il cammino non è tracciato, molte le minacce inedite da cui ci sentiamo assediati: alla Costituzione, nei suoi articoli fondativi (come l’Art. 3. che afferma uguaglianza e dignità –“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge senza distinzione di razza…di condizioni personali e sociali”-), alla salute, alla possibilità di conoscere la verità: ieri rispetto alla “strategia della tensione”, che ha visto squadrismo fascista e pezzi di apparati dello Stato agire in modo coordinato, non casuale; oggi rispetto ai rapporti tra politica e criminalità organizzata.
E poi la corruzione che alimenta il debito pubblico: girone infernale in cui affondano possibilità di lavoro, dignità personale, democrazia. Aziende che chiudono, licenziamenti, disordini. E Monti dice: “Abbiamo aumentato la recessione, ma per salvare l’Italia”. Lo vuole l’Europa. Di nuovo sotto attacco l’Art.18 dello Statuto dei lavoratori, che doveva proteggere la parte più debole, il lavoro, additato ora come colpevole dell’insufficiente creazione di posti di lavoro. Fabbriche italiane finanziate dallo Stato chiudono, vanno via, dove si produce a costi inferiori. Corruzione e mafia truccano il mercato, i banchieri truccano le carte, cioè i tassi. Aumentano a dismisura benzina e tariffe. Ammontano a 800 miliardi i tagli alla scuola, cioè al diritto all’istruzione. Intatti  i privilegi dei parlamentari. L’imperativo resta “consumo, dunque sono” (Sigmund Bauman): non persone ma consumatori.

Nuove forme di fascismo

Oggi il fascismo si manifesta in forme diverse. Ma si tratta sempre di una cultura negatrice della libertà, dell’uguaglianza, del multiculturalismo, xenofoba e razzista, negatrice insomma dell’Art. 3: è sempre lo stesso fascismo. Che è un modo di essere, di pensare, di amare.
Stéphan Hessel, “Indignez vous”: “Pervasività dei mercati, strapotere delle Banche” sono oggi il fascismo. L’ha detto prima della crisi, indignato prima degli indignati.
Erano appena apparsi i primi indignati, che già qualcuno scriveva “Indignarsi non basta”. Ma è la prima affermazione della propria dignità: si indigna chi non è ritenuto degno del massimo rispetto dovuto alla persona.
Abbiamo costruito una struttura che “isola le persone, affinché non si sentano reciprocamente responsabili”…, che ci permette sempre di dar la colpa agli altri: è il mercato, lo vuole l’Europa.
Al contrario Falcone: “Lo Stato siamo noi. Non si può dare la colpa a  nessuno” di ciò che accade: è la cultura della responsabilità.
Erri de Luca: “si salva un paese dal piano terra. Basta uscire dalla gabbia dei conti correnti: i suicidi si possono salvare con un’idea diversa dell’economia. Il nazismo è l’obbedienza”.

Corsi e ricorsi

Le donne hanno avuto di recente straordinari momenti di risveglio, di presa di coscienza (Snoq), in un periodo in cui sembrava mancasse una loro risposta di fronte alla dignità offesa, all’uso del loro corpo come merce di scambio. Silenzio-assenso? Sembrava che tante conquiste –dignità, parità di diritti, autodeterminazione… – che avevano preso le mosse dalla Resistenza, fossero andate perse. Perché queste oscillazioni? Vediamo da dove siamo partite.

La Resistenza taciuta

La storia delle donne è assai poco conosciuta: la storia ufficiale non le ha viste, la Resistenza è stata per tanti anni rappresentata fondamentalmente al maschile, nel suo carattere militare. Le donne stesse sono uscite con fatica dal silenzio e dal riserbo. Le donne che hanno in tanti diversi modi partecipato, in generale non hanno chiesto riconoscimenti, perché hanno considerato normale, un loro dovere, correre rischi, non minori dei partigiani combattenti, per vestire, ospitare, sfamare i soldati sbandati dopo l’8 settembre e sostenere materialmente e moralmente la Resistenza. Che “senza le donne non ci sarebbe stata” (Parri). Un esempio:  Marisa Ombra, staffetta partigiana, “Libere sempre”: “40 anni dopo …qualcuno mi chiese di ricordare…non ci avevo più pensato…avevo fatto cose che pensavo fosse naturale fare.” Allora “scoprii che stavo ricordando cose molto diverse da quelle dei miei ex compagni”,…i quali  “ricordavano… nei minimi dettagli una certa battaglia” … “A me accadeva… di ricordare di più le facce, il carattere, le atmosfere, i discorsi”. Emerge dunque un modo peculiare delle donne di stare nella storia e di raccontarla.
All’inizio c’è il fascismo, che le aveva rinchiuse in un ruolo rigido di fattrici, funzionale agli obiettivi del regime (guerre di conquista), limitandone i diritti soggettivi: non potevano insegnare filosofia alle superiori, dirigere istituti scolastici…; machismo, insomma, mascherato  da un’abile organizzazione del consenso che dava alle donne l’impressione di emanciparsi (sport, maestre coccolate).
E’ l’esperienza della guerra, che porta miseria, fame, morte e altri orrori, ad indurre le donne a ribellarsi. Ma ogni donna pensa contemporaneamente alla conquista dei propri diritti. Se ne parlava nei Gruppi di difesa della donna. Le donne furono dunque protagoniste di un profondo cambiamento per sé e per la società. Perciò, alla fine della guerra, il voto alle donne non fu una concessione, ma una conquista. 21 di loro (su 556) furono elette all’Assemblea Costituente. Da suddite a ‘madri’ della democrazia. Fu la rottura col passato.
La vera ‘guerra’ però comincia adesso. Devono combattere molti pregiudizi anche in questa sede: secondo alcuni ‘padri’ della repubblica, la sensibilità femminile, intesa come fragilità, potrebbe nuocere all’esercizio della magistratura. Maria Federici, una delle ‘madri’ ribatte che questa stessa raffinata sensibilità, attenta alle sofferenze umane, unita alla pronta intuizione, non può che agevolarlo. Esprime un senso di umiliazione e amarezza rispetto ai precedenti interventi che indicavano come massima realizzazione femminile “la moglie che in casa fa la calza”. Erano tutte convinte del grande “arricchimento” che “una maggiore presenza femminile…apporterebbe” (M.Maddalena Rossi). -Secondo Nadia Gallico Spano, nella formulazione della Carta  costituzionale, deve essere riservato alle donne un posto privilegiato. Bisogna infatti permettere che “le loro energie, le loro forze, …la loro volontà di pace, di uguaglianza, di libertà, di benessere siano presenti”. Esse hanno piena consapevolezza del valore della propria cultura: si affaccia il pensiero della differenza.
Ciononostante, ancora negli anni ’70,  il femminismo in Italia si scontra con una società profondamente arretrata, un diritto di famiglia sbilanciato a favore degli uomini. Ma la forte mobilitazione per il divorzio e per la 194 è la spinta a modernizzare la società. Con la 194 si afferma un valore fortemente simbolico: rivendicando una maternità libera e responsabile, le donne chiedono di scegliere la propria vita, chiedono l’autodeterminazione, cioè di essere madri per scelta e non per destino. Una vittoria  sugli stereotipi e i retaggi del fascismo ancora presenti e duri a morire. Poi c’è la riforma del Diritto di Famiglia, in attuazione dell’Art. 3: c’era una volta il delitto d’onore.

Le radici millenarie della cultura maschilista

Lo snodarsi tutt’altro che lineare degli avvenimenti in quella corrente di superficie, che chiamiamo storia, si scontra con stereotipi, atteggiamenti molto radicati di “rimozione”, a volte anche fisica, del soggetto donna. Non è una novità. La filosofa e scienziata pagana Ipazia, ad Alessandria d’Egitto, un 8 marzo, agli inizi del IV secolo, è fatta a pezzi dai cristiani, che stanno conquistando il potere. Pensiamo alle migliaia di donne bruciate come streghe dall’inquisizione, in quanto esperte di erbe. Le competenze femminili legate all’attività domestica e di cura sono chiamate a rappresentare il disprezzo per le donne. La mentalità maschilista affonda dunque le sue radici in una cultura millenaria, che spesso si intreccia al fanatismo religioso, usato come strumento di sopraffazione e affermazione del proprio potere. “La struttura umana …riflette una civiltà patriarcale autoritaria vecchia di molti millenni” (Wilhelm Reich). E’ lì che si è formata la struttura profonda del nostro carattere. In Federica Trenti, “Il novecento di Joyce Salvadori Lussu”, dice Joyce: “decidono ancora per noi/ quei tali…/riuniti attorno a lucidi tavoli/ dai quali/ noi donne siamo escluse per motivi razziali”. “A parere di Joyce…la presenza nella Costituzione repubblicana del <concordato clerico-fascista> agisce come un freno nei confronti del progresso sociale; l’Art.7 è per lei un compromesso in grado di impedire la recisione del fascismo alle radici essendo il Vaticano stesso una forza potente e conservatrice, complice del nazifascismo”.
Wilhelm Reich, “Psicologia di massa del Fascismo” illustra la complessità del fenomeno fascista, la profondità del suo radicamento. La profondità degli stereotipi.
“Il fascismo non è un partito politico, ma una concezione della vita e un atteggiamento nei confronti dell’uomo, dell’amore e del lavoro”. Questa struttura caratteriale irrazionale ed inconscia, che è il risultato della repressione di pulsioni ritenute colpevoli, tende a proiettare all’esterno il male che avverte dentro di sé ed è perciò orientata alla ricerca di un nemico, di un capro espiatorio su cui scaricare i propri sensi di colpa, di oggetti deboli su cui sfogare la propria rabbia eliminandoli e annientandoli – donne, immigrati, omosessuali, ebrei…. Pensiamo al femminicidio. “Rimozione”, appunto. Un’antica fissazione del carattere a sottolineare differenze per fini di potere: negare l’altro è tipico del <fascismo>, in ogni tempo. Si diventa superiori perché gli altri sono inferiori. “La mentalità fascista è la mentalità dell’<uomo della strada> mediocre, soggiogato, smanioso di sottomettersi a un’autorità e allo stesso tempo ribelle”. L’obbedienza a un capo forte libera da ogni responsabilità. “Il <fascismo> non è altro che l’espressione politicamente organizzata della struttura caratteriale umana media”
Per Reich è chiaro che “la teoria fascista della razza non risponde soltanto (a) un interesse imperialistico”. “Al contrario: il fascismo è una creazione dell’odio razziale e la sua espressione politicamente organizzata” .

Una nuova resistenza

Quali le direttrici di una nuova Resistenza per le donne dell’Anpi?
Neanche oggi le linee di demarcazione sono ben chiare: razzismo, maschilismo spuntano dove meno te lo aspetti. Le donne dell’’Anpi possono cercare di restituire senso alla parola antifascismo,oggi un po’ impolverata, guardando in faccia stereotipi che agiscono in profondità, non rinunciando al punto di vista di genere, confrontandosi con altre culture. Perciò abbiamo cercato di allargare i nostri orizzonti, col convegno proposto alla Festa nazionale, “Paesaggio mediterraneo con veli e vele. Donne e libertà dall’Iran alla Tunisia”. Per riscoprire, come Joyce Lussu, “l’altra storia”: la doppia oppressione di donne in culture fortemente patriarcali, la loro capacità di rivendicare dignità e libertà per sé e per tutti. Questo comporta presa di coscienza, assunzione di responsabilità personale, il contrario che dare la colpa agli altri.
Ora è in programma per il 23 febbraio a Milano il convegno  “Donne, fascismo e antifascismo”, per approfondire il problema del complesso rapporto fra donne e fascismo: parvenze di modernizzazione e realtà di soggezione e arretramento. E riflettere sul nostro presente, per inventare, insieme, il nostro futuro.
Da “Inventario delle cose certe “- Andrea Livi ed.: “ti confesso/ che non mi interesso molto al successo/ ma appassionatamente al succede/ e al succederà./ Il successo è un paracarro/una pietra miliare/ che segna il cammino già fatto./ Ma quanto più bello il cammino ancora da fare/ la strada da percorrere, il ponte/ da traversare/ verso l’imprevedibile orizzonte/ e la sorpresa del domani/ che hai costruito anche tu…”

Gabriella Manelli –  Presidentedell’ANPI di Parma, insegnante

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Lo ricordate, madri
Ricordate Tonello di Marzabotto?
Aveva sei anni, era il mio bambino
era il tuo bambino
era tutti i bambini che giocano al sole
e mettono il grembiulino
per il primo giorno di scuola
quando li accompagnamo
con la manina nella nostra mano

I soldati di Raeder portarono lui e la mamma e i fratelli
con gli altri al cimitero
li falciarono con la mitraglia.
La mamma di Tonello l’aveva coperto col corpo
Crivellato di colpi e lui uscì molle di sangue
Si alzò da sotto i morti. Anche Lidia
si alzò viva, con la vestina a brandelli.
Vieni, disse a Tonello, vieni, corriamo
corriamo prima che tornino i fascisti.
Ma Tonello, il visino inondato di lacrime
In piedi tra i morti disse: no, non vengo
Voglio restare con la mia mamma.
E la granata tedesca lo prese in pieno
squarciò il suo tenero corpo
E giacque, dilaniato, con altri.

Lo ricordate, madri
Ricordate Tonello di Marzabotto?

Lo so ch’è un’immagine spiacevole e macabra
si preferisce pensare ad altro.
Ma non è giusto nemmeno dimenticarlo
dimenticarlo completamente
come se i suoi occhi spalancati sull’orrore
della guerra non avessero lasciato un conto
aperto, per le donne di tutto il mondo.
Non la buttiamo via come una pentola rotta l’immagine
del suo viso infantile imbrattato di sangue e di lacrime

Da “Inventario delle cose certe” Andrea Livi Editore – Poesia letta da Stefania Chiusoli, amica di Joyce Lussu

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l’ANPI di Sasso Marconi di Carmela Gardini

C’è una riflessione di Joyce Lussu riportata sul volume di Federica Trenti, edito dal Le Voci della Luna, che mi ha fatto riflettere e che ho cercato di declinare al presente.
“Per quello che sono e sono diventata, io sono figlia di entrambi: di mio padre e di mia madre. Devo a tutti e due il coraggio che credo di aver avuto, e la cultura che ho amato e che amo.
Il coraggio: tanto mia madre quanto mio padre, hanno vissuto una vita molto drammatica, in quanto in assoluta e totale rottura materiale, e anche affettiva, con i loro padri, agrari e fascisti. Mio padre e mia madre hanno rinunciato alla ricchezza, e, al posto del benessere, hanno scelto cose assai più affascinanti, nei racconti che me ne facevano, sin da bambina; l’antimilitarismo, il progressismo, il femminismo.”
Sono andata a cercare sul vocabolario la descrizione di coraggio che ora come allora recita:
Forza morale che mette in grado di intraprendere grandi cose e di affrontare difficoltà e pericoli di ogni genere con piena responsabilità.
Con un modesto lavoro di raccordo fra le generazioni,  anpi cerca,  a Sasso Marconi, di rendere visibile la nostra storia recente per aiutare la formazione critica dei nuovi cittadini e per questo,  nell’aula della memoria, li incontriamo e facciamo didattica e storia e raccontiamo il coraggio di chi ha compiuto scelte per il bene comune, anche con gesti e azioni apparentemente semplici e modeste che però comportavano una scelta di campo rischiosa per sé stessi e per i propri familiari e per questo abbiamo aderito con entusiasmo alla proposta del gruppo culturale Gimbutas in occasione di questo anniversario.
Il coraggio civile nelle proprie azioni, credo sia ora come allora elemento determinante per far crescere le persone e con loro la società. Penso di non cedere alla retorica nel leggervi la biografia di una partigiana che ringrazio di cuore per essere presente. Una presenza che ha il valore testimoniale di una generazione di uomini e donne che ci hanno restituito una dignità perduta con il fascismo, la guerra ed il razzismo. VINKA.
Ci sono state tante donne coraggiose dal dopoguerra ad oggi che in Italia e nel mondo  hanno agito per migliorare la nostra società anche a scapito della vita; penso alle donne che hanno deciso di collaborare con la giustizia contro la mafia, a giornaliste che svolgendo il loro lavoro d’inchiesta sono state uccise da mani sconosciute sebben note o che per dare un futuro migliore ai propri figli salgono su squallidi barconi e si avventurano verso un  destino ignoto che tante volte termina in fondo al mare.
Ora come  allora giustizia, ricerca della verità, lotta per un futuro migliore sono obiettivi da conquistare e per questo conoscere la vita e le opere di Joyce Lussu come di Vinka ci pone di fronte al dovere morale di provarci. Grazie.

Carmela Gardini, segretaria dell’ANPI di Sasso

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 Kitarovic Vinka, «Lina» (nel Bolognese) e «Vera» (nel Modenese), da Spiro e Tona Kuzina; n. il 5/4/1926 a Sebenico (Jugoslavia). Frequentò il 6° anno di ginnasio secondo l’ordinamento scolastico in atto in Jugoslavia. Studentessa, aderì all’Unione della gioventù comunista (SKOJ) alla fine del 1942. Stante l’occupazione italiana della regione, venne arrestata per attività di opposizione dalla polizia fascista, a Sebenico, nell’autunno 1942. Dopo quindici giorni di carcere, assieme ad altre due connazionali arrestate per motivi politici anch’esse, venne tradotta in Italia, a Bologna, e rinchiusa in una casa di rieducazione per minorenni, minorate e prostituite. Attraverso una guardiana dell’istituto animata, da sentimenti antifascisti, si collegò con i comunisti Linceo Graziosi e Giorgio Scarabelli. Con questi concertò la fuga dall’istituto che realizzò, assieme ad una delle due compagne jugoslave, agli inizi dell’ottobre 1943, approfittando del trambusto accaduto durante un bombardamento aereo. Tramite la trafila clandestina venne allogata in casa colonica a Zola Predosa. Di qui salì in montagna, sopra Monte San Pietro, per collaborare ad un tentativo di insediamento partigiano nella zona; tentativo fallito per via di una delazione. Rientrò a Zola Predosa e poi si nascose presso la residenza dei fratelli Gianni, Giacomino e Vincenzo Masi . Dal febbraio al giugno 1944 svolse attività, in qualità di staffetta, nella 1a brg GAP Gianni Garibaldi. Ricercata dalla polizia fascista sfuggì all’arresto trasferendosi nel modenese. Venne inserita nel comando della 65a brg Walter Tabacchi della 2a div Modena Pianura e lavorò a stretto contatto col comandante Italo Scalambra. Agli inizi del 1945 venne designata componente dell’ufficio di collegamento del CUMER a Modena. Riconosciuta partigiana, con il grado di capitano, dall’8/2/44 alla Liberazione. Testimonianza in RB5. [AR]

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 da sinistra Sandra Federici, V.Ravagli. Gabriella Manelli e Carmela Gardini che indica Vinka, seduta tra il pubblico

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     Kitarovic Vinka in primo piano, seduta di fianco ad Alba Piolanti

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Non è ancora l’alba compagni

….

L’umanità sonnecchia, e i grandi
del mondo soppesano il sangue nuovo con antiche bilance
Esile è l’arboscello
spuntato sulla terra che copre i nostri fratelli
straziati per le piazze e nelle prigioni.

….

Camminiamo, compagni
Camminiamo, anche se la melma non segna i passi
dei nostri piedi stanchi
Nelle scarpe rotte
compagni
camminiamo tenendoci per mano ancora
affinché questo crepuscolo non precipiti nella notte
ma sia il grigiore opaco che precede l’aurora.

…e quando più tardi (io attizzavo il fuoco
e cuocevo la zuppa per te, figlio; non era possibile
che tu non tornassi, subito)
quando più tardi vennero a dirmi “tuo figlio è tra i morti
sulla piazza, in paese” io non capivo ancora.

E aggiunsi legna sul focolare
come se tu dovessi tornare
figlio. E misi il mantello
e i guanti di lana
e presi la borsa, per scendere nel paese.
E m’avviai fuori dell’uscio, nella tramontana
fredda, col mio stupore senza fine.

Quando appoggiai il tuo capo pesante sul mio braccio
i tuoi capelli sapevano di sangue e di terra
come queste foglie morte di faggio
molli ai germogli nuovi di primavera.

Da “Inventario delle cose certe” – Andrea Livi ed.

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Ha partecipato all’incontro (non indicata in programma), Camilla Iaconi, giovane studiosa di Joyce Lussu, portatrice convinta del suo credo politico ed ecologista. Ecco il suo breve intervento.

Cercavo la Sibilla, ho incontrato Joyce Lussu. Di Camilla Iaconi

Io sono marchigiana, ho vissuto molti anni a Bologna ed ora vivo in montagna, in Valle d’Aosta.
Quando diversi anni fa tornai nelle Marche, cercavo la Sibilla per la mia tesi di laurea. A quel tempo sapevo poco o nulla dei Piceni, delle Comunanze, delle Sibille e tanto meno di Joyce Lussu.
Un giorno incontrai un amico che non vedevo da anni il quale mi disse che si era interessato alla storia della mia terra e della Sibilla. “Come!- pensai- ne sa più un veneto che una marchigiana?”
Così mi svegliai alla necessità di guardare alla spina dorsale della mia terra, alla montagna marchigiana ricca di storie e leggende sibilline, alla Sibilla matrona di quei luoghi oscuri e misteriosi. E’ iniziata così la mia ricerca e come spesso accade quando prendiamo un’iniziativa, si sono mosse forze straordinarie dietro a ciò che in un primo momento sembrava casuale e si è presentata a me, attraverso incontri e racconti, Joyce Lussu.
Non posso non parlarvi della Sibilla.
Con straordinaria abilità narrativa e con occhio lungimirante, Joyce Lussu ricostruisce la storia locale della montagna, una realtà considerata fino a quel momento, gli anni ’70, “senza storia”, marginale, in un certo senso oscura, ignota proprio come il mito sibillino, deformato e rovesciato dalla leggenda medievale e dal potere dominante del tempo. Joyce Lussu ricerca le cause politiche nascoste nella demonizzazione del Mito e riscrive la storia delle Comunanze Picene, antiche forme di proprietà collettiva, a partire dalle origini e restituendo alla Sibilla e alla donna il suo posto all’interno della comunità.
Questa rappresenta un modo diverso di vivere e di gestire le risorse della natura. Joyce Lussu la descrive come realtà inserita in un eco-sistema alpino che si mantiene grazie ad un’azione razionale ed egualitaria delle risorse. Nella società comunitaria, la Sibilla è la donna di conoscenza, la curandera o donna di medicina presso le tribù degli indiani d’America, la Druida per le società celtiche.

Erano donne autorevoli, non erano patriarche o matriarche di nulla.”1

La loro autorevolezza le rendeva forti e rispettate dall’intera comunità che non era asservita dal potere o dalla forza armata, ma era riconoscente al sapere e alla conoscenza che la Sibilla aveva acquisito nel corso dei tempi, attraverso l’arte della memoria. Joyce Lussu infatti parla della scienza delle Sibille e di tutte quelle donne, nostre antiche antenate del Neolitico, che hanno fatto la Rivoluzione e che attraverso la paziente osservazione della natura hanno sapientemente compreso le leggi che governano la vita, la creatività, la convivenza in armonia e simbiosi con l’ambiente circostante che era di certo ostile, ma anche gravido di rimedi, di erbe curative, di cibo, di acqua, di vita utile per tutta la comunità. Tale sapere concreto, dice Joyce Lussu, avrebbe consentito alle donne di garantire una adeguata organizzazione della società, un’adeguata gestione delle scorte, una sana e pacifica solidarietà e convivenza fra gli esseri viventi eppure, tale sapere è stato negato e le donne sono state espropriate un po’ alla volta dalla gestione sociale delle scorte e respinte nell’ombra del non- potere, del non-decidere, della non-identità.2 Joyce Lussu parla così anche di tutte le donne che oggi combattono per i propri diritti e resistono agli attacchi mossi contro di loro e contro la natura.
La storia delle donne e la storia della natura hanno la stessa radice, entrambe espropriate, le donne del loro sapere, la natura dalla propria sacralità, entrambe della dignità. Quello che è accaduto un tempo sta ancora accadendo. Attraverso la storia della Sibilla, Joyce Lussu ci esorta a guardare il presente e a riconoscere le attuali forme di dominio e potere, il moderno patriarcato, quello delle Multinazionali, dei Governi, delle Banche, che in nome del progresso, deturpa e vìola i luoghi sacri della natura brevettandola, modificandola geneticamente, mercificando le risorse, inaridendo la terra attraverso colture intensive e pesticidi, disboscando le foreste, inquinando il pianeta.
Nell’ occidente progredito, l’azione della crescita economica è ormai subdola e psicologica, il nostro respiro non è più scandito da quello della natura , ma dagli affari, dal lavoro, dallo stress esistenziale, dall’ iperattività, mentre dall’altra parte del mondo, dove esistono ancora realtà “povere”, la crescita economica è illusoria, sta portando disperazione e vera povertà invece di ricchezza, emarginando soprattutto le donne, sottraendole dai tradizionali diritti d’uso della terra e delle risorse. La mercificazione delle risorse vitali come l’acqua, le foreste e la biodiversità, ha separato l’uomo dalla natura, riducendo tutto a un valore commerciale. Invece, come sostiene Vandana Shiva, “Nelle comunità in cui questi beni sono ancora considerati sacri, il loro valore si fonda sul ruolo e la funzione di forza vitale per uomini, animali, piante ed ecosistemi.”3Così era per le Comunanze Picene, così è per molti villaggi dell’India oggi.
E’ evidente come il pensiero di Joyce Lussu sia assolutamente attuale e sensibile, ecologico e combattivo in perfetto accordo con gli attuali movimenti eco-femministi. Lei stessa afferma: “Noi siamo, in un certo modo, i partigiani della natura, è questa la nostra nuova resistenza. Quando cementifichiamo la natura, cementifichiamo anche dentro di noi…” Pertanto “La cultura, oggi, ha il dovere e l’urgenza di ricominciare da una riflessione molto seria circa la vita del nostro corpo e tutto ciò con cui noi abitanti del pianeta viviamo in simbiosi.”4

Dovremmo tutti comprendere meglio la natura dell’essere umano e riscoprire la sacralità della terra per recuperare il buon senso delle Sibille che è alla base del bene comune e trasmetterlo ai giovani, proprio come faceva Joyce Lussu quando andava nelle scuole a parlare con loro.

1Silvia Ballestra, Una vita contro, Baldini e Castoldi, Milano,1996, p. 35

2Joyce Lussu, L’acqua del 2000, Gabriele Mazzotta editore, 1977, p.31

3Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua, Feltrinelli, 2006, p.141

4Silvia Ballestra, Una vita contro, Baldini e Castoldi, Milano 1996, p. 38

Camilla Iaconi, laureata con una tesi su Joyce, si continua ad occupare di questa grande donna. Partecipa attivamente ad iniziative, senza smettere mai di studiarla


Vittoria Ravagli e Camilla Iaconi

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E’ intervenuta inoltre Chiara Cretella  sul tema:“Lavorare per il mondo. L’impegno politico-poetico di Joyce Lussu”.

Chiara é una giovane studiosa impegnata nel riproporre il pensiero in Joyce in incontri pubblici, curando ristampe,  scrivendo testi . Il suo discorso ha toccato  varie fasi della vita di Joyce: la viaggiatrice, che  con lo spirito simile a quello  delle prime donne inglesi in viaggio del 700, ha girato il mondo, spinta non dall’esotismo ma da un desiderio forte di avventura e dalla passione civile: in lei convivevano spirito aristocratico e spirito proletario, ma le sue scelte sono sempre state dalla parte dei governati.

Il lavoro nelle scuole, molto intenso specie nella  ultima parte della vita di Joyce, é stato quello di raccontare la storia, a partire dal proprio territorio: per prima ha portato  nelle scuole  quella che noi chiamiamo “educazione di genere” attraverso il racconto..

Chiara ha  ricordato che a Joyce non interessavano “le quote rosa”, il 50% e 50%. Diceva: “..quale donna e quale uomo?…”

Anche la sua idea di poesia era particolare: non un esercizio narcisistico, ma l’impegno per comunicare, per farsi capire da tutti; dare voce a chi non ha voce, con il suo tradurre i poeti combattenti per la libertà del proprio paese a partire da Hikmet… .  Ha detto Chiara:“ ..Poesia e storia affondano le radici nella stessa tensione della memoria…per questo il suo interesse per l’Oralità – dai  racconti dei nonni ai comizi, fino al metodo di inchiesta attraverso interviste…In fondo Joyce era anche sociologa della storia…. Ci sono guerre che é stato giusto combattere, ma la guerra, secondo Joyce, non ha sempre fatto parte dell’umanità e proprio per questo non deve essere considerata un fenomeno ineliminabile. La guerra é il frutto di un percorso storico di squilibrio sociale, in cui i sessi si sono divisi le mansioni.  Diceva  Joice: “..conoscere l’io presente vuol dire scavare meticolosamente nel passato, e proiettarsi nel futuro sforzandosi di razionalizzare l’utopia, che ancora non c’é ma potrebbe esserci…””

Ma il discorso di Chiara é stato articolato e molto interessante. Queste sopra citate sono solo alcune annotazioni.

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“Mio figlio nacque pochi giorni dopo l’entrata degli americani a Roma, sano e di quasi quattro chili. Non avevo mai avuto l’ occasione di avere a che fare con neonati, e mi parve miracoloso e bellissimo….non avevo parenti a Roma e i compagni, compreso il mio, erano talmente presi dalla febbrile attività della Liberazione, che non avevano tempo di occuparsi di una nascita così poco sincronizzata; d’altronde ero io, con eroismo balordo, a dire che me la cavavo benissimo senza nessuno. Il crollo venne quando tornai a casa….avevo un angoscioso senso di incapacità e d’inadeguatezza nei confronti dell’esserino, così fragile e impotente ma animato da una così selvaggia voglia di campare….

Passai il primo mese col mio bambino in solitudine e capii perché, nelle famiglie normali, c’é sempre un esagitato affollamento di parenti e di amici intorno ai genitori: è per distrarli dall’enormità del loro compito di fronte alla vita che hanno chiamato in essere, dalla coscienza che, comunque vadano le cose, faranno sempre degli sbagli tremendi…”

da “Lotte, ricordi e altro“, Joyce Lussu- Biblioteca del Vascello – Roma

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Chiara Cretella

Chiara Cretella :  http://www.chiaracretella.it/  http://www.csge.unibo.it/public/documenti/curriculum%20cretella%20gender.pdf

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Il tentativo di raccontare Joyce con un film- di Marcella Piccinini

La mia amicizia con Joyce Lussu è iniziata due anni fa, quando ho visto un’intervista fatta a lei da Marco Bellocchio.
Mi ha molto colpito perché prima non sapevo nulla di questa persona, e mi è venuta una gran voglia di conoscerla meglio.
Fare un documentario su Joyce è veramente un’impresa perché ha avuto una vita molto intensa; direi che Joyce ha vissuto più vite in una sola vita. Partigiana, scrittrice, poetessa e traduttrice di poeti tra cui Nazim Hikmet, molti poeti africani, albanesi…
La vita di Joyce è veramente difficile da descrivere, e anche da far rientrare in una sola definizione. Tutto mi è sembrato molto interessante: ma a un certo punto, sia pure a malincuore, ho dovuto fare delle scelte. In un documentario di un’ora non avrei mai potuto racchiudere tutti gli aspetti della sua biografia. E in più, ne sarebbe risultata una sorta di voce di enciclopedia, che non è quanto io volevo.
Il periodo che ho preso in considerazione è quello che va dalla sua adesione a Giustizia e Libertà fino al suo dedicarsi alla traduzione di poesie, facendo di questa sua attività quasi una professione, benché esercitata con amore e dedizione.
Il taglio che ho deciso di dare non è solo storico, ma riguarda anche quella che è stata la sua ricerca personale (che lei descrive ampiamente nei suoi libri) per conquistare un posto libero e autonomo nella società in cui viveva: non solo e non tanto per se stessa in quanto individuo particolare, e neppure soltanto per  le donne, della cui emarginazione storica era pur consapevole, e per la cui liberazione ha lottato. Joyce non si batterà mai solo per l’emancipazione di un gruppo, di una classe, persino di un genere, ma per quella dell’umanità intera. La sua ricerca sarà volta a un bene comune a tutti, nel quale la giustizia e l’eguaglianza possano iscriversi. E non si accontenterà mai di sole parole, ma si sforzerà sempre di unire alle parole le azioni.
La vita di Joyce può essere vista anche come un viaggio. Un viaggio che è diventato anche il mio: la Sardegna, le Marche, la Turchia, Parigi.
Ho cercato di ripercorrere alcune tappe della sua vita viaggiando, come faceva lei, in una corriera (come si chiamavano ai suoi tempi) per ritornare dalla Turchia; oppure in treno, in nave, che per me è stato un caicco sul quale ho ripercorso uno dei suoi viaggi.
Certo, le condizioni di allora erano diverse, ma ho cercato quanto potevo di ricrearle. E queste esperienze mi sono servite per avvicinarmi intimamente a lei, che da sola o con un’amica ha girato una bella parte del mondo.

“Beh –scrive Joyce in uno dei suoi libri-, io ho sempre viaggiato molto. Fin da piccola i miei genitori di stirpe mista e di cultura libertaria, avevano insegnato sia a me che ai miei fratelli che la nostra casa non era soltanto il pezzetto di territorio in cui vivevamo, ma l’intero pianeta: era la nostra casa, e nel contempo la casa di tutti.
Così, ho sempre pensato che era bello e intelligente conoscere la mia casa e i miei coinquilini.
Per me viaggiare aveva sempre significato muoversi con pochissimi soldi…”

Ho cercato di respirare l’aria delle sue case in Sardegna e nelle Marche, dove grazie ai parenti ancora vivono gli ambienti creati e vissuti da Joyce. Direi che questo film vuol rappresentare, come dicevo all’inizio, il viaggio interiore e quello reale di Joyce. Ora, mentre scrivo, sono vicino alla sua casa, in rue  de l’ Estrapade n. 7, vicino al Pantheon a Parigi, una delle tante case o piccoli alberghi in cui ha vissuto per qualche tempo, esule, e dai quali più di una volta è stata costretta a fuggire precipitosamente.

“Dovevamo cambiare casa molte volte: l’OVRA cercava Emilio con efficienza e quando reperiva l’indirizzo dovevamo cambiarlo.
I libri e la macchina da scrivere erano gli unici beni che cercavamo sempre di portarci appresso; per il resto, i nostri averi entravano tutti in una sola valigia. […]
Dovevamo distruggere anche le lettere e le fotografie per non lasciare eventuali indizi alla polizia.
Era necessario potersi sempre muovere rapidamente, senza ingombro di oggetti non trasportabili a mano o indicativi di un rapporto con luoghi o persone. […]
Gli oggetti inalienabili come le abitudini appesantiscono, anche psicologicamente.
Io mi sentivo molto leggera.”

Spero  di contribuire, con questo documentario, a far conoscere meglio il pensiero, la vita e il lavoro di Joyce anche come poetessa.
Il documentario finirà con alcune interviste che riguardano il legame molto importante di Joyce con l’Angola e con Agostinho Neto, leader della lotta di questo Paese per l’indipendenza e suo primo Presidente (oltre che poeta lui stesso).
Di una cosa sono certa, dopo aver fatto molte interviste a persone che l’hanno conosciuta di persona o indirettamente, persone di diversi livelli di cultura, età, genere: che Joyce ha lasciato ricordi molto intensi, e cambiato molte cose nella vita delle persone che ha conosciuto. Anche nella mia.
Vorrei aggiungere che il documentario non è fatto solo dal regista, ma da tutte le persone (molte, nel mio caso) che hanno creduto in questo lavoro e che lo hanno sostenuto e aiutato.

Marcella Piccinini: regista di documentari, ha lavorato conBellocchio

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Marcella Piccinini

Marcella Piccinini: http://www.cinemaitaliano.info/pers/012961/marcella-piccinini.html

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La Presidente del Centro “Joyce Lussu” di Porto San Giorgio ha illustrato l’iniziativa di cui abbiamo dato informazione.

Hanno letto poesie e prose Stefania Chiusoli, Roberta Casadei ed alcune delle donne del Gruppo Gimbutas di Sasso Marconi (Cinzia Castelluccio, Cristina Lolli, Cristina Nuvoli, Gea Rigato,Raffaella Parisini,  Federica Trenti)

La fisarmonica di Gressi Sterpin ha offerto le giuste note all’incontro.

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Piccola Galleria d’immagini delle partecipanti al Convegno:

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Antonietta Langiu (a sinistra) e Vittoria Ravagli

Antonietta Langiu:    http://www.filologiasarda.eu/catalogo/autori/autore.php?sez=36&id=691

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Alba Piolanti

Alba Piolanti : http://www.deastore.com/autore/Alba%20Piolanti.html

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Patrizia Caporossi

Patrizia Caporossi:  http://patcap.blogspot.it/ ; http://www.quodlibet.it/catalogo.php?A=Caporossi%20Patrizia

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Federica Trenti e Roberta Casadei

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Gruppo Gimbutas- Raffaella Parisini ( al centro)  Federica Trenti ( a sinistra) e Cristina Lolli

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Gruppo Gimbutas- Cristina Nuvoli

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 Gressi Sterpin

Gressi Sterpin: http://www.coroeuridice.it/ScuolaMusicaleDocenti.htm

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ALTRI LINKSdelle partecipanti al convegno
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RIFERIMENTI IN CARTESENSIBILI:
relativi al
CONVEGNO JOYCE LUSSU 29.9.2012 Colle Ameno

Articolo- Joyce Lussu a 100 anni dalla nascita maggio 2012: https://cartesensibili.wordpress.com/2012/05/08/tempiquieti-v-ravagli-joyce-lussu-sibilla-del-900-a-cento-anni-dalla-nascita/

RIFERIMENTO IN RETE:

Testimonianza in RB5. [AR] Dal sito ISREBO: http://www.iperbole.bologna.it/iperbole/isrebo/strumenti/K.pdf

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