giovanni bellini- la pietà
Propaggine esterna dello stato d’animo dell’artista, l’opera si completa nel momento in cui incontra lo sguardo dell’osservatore. Ed è per questo che, pur mantenendo intatta la sua inviolabile essenza, negli anni si modifica. Purtroppo, però, sull’immagine agiscono anche fattori meno emotivi, primo tra tutti, l’azione corrosiva del tempo. Questa condizione di fragilità umanizza persino la più straordinaria delle opere, favorendo un rapporto confidenziale, privato, esclusivo. Può capitare anche guardando una bottiglia di Morandi, però è nell’iconografia religiosa che il soggetto, facendosi carico di altre attese, diviene per chi guarda una sorta di trait d’union con l’assoluto.
Chi seppe far convergere le proprie opere in direzione del sacro, con la capacità di rinnovarsi di quadro in quadro all’interno di una struttura poetica e compositiva ben definita, fu Giovanni Bellini, la cui arte – caratterizzata da un’atmosfera intima e silenziosa, protetta da un sentire autentico – è sicuramente pensata anche per favorire il contatto diretto con i protagonisti della fede.
Figura centrale del Rinascimento, Bellini è giustamente considerato il padre spirituale della pittura veneta del Quattrocento, in grado però di proiettarla, con slancio giovanile, nel secolo successivo (morirà nel 1516). In tarda età, infatti, egli produrrà una serie di sorprendenti capolavori, in sintonia con ciò che a Venezia, proprio grazie ai suoi raggiungimenti stilistici, stava fiorendo . Si parla di Giorgione, di Tiziano, di Lorenzo Lotto, di Sebastiano del Piombo e di molti altri, quasi tutti passati negli anni della formazione per la sua bottega.
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carlo crivelli- Cristo morto sorretto da s. Giovanni Evangelista, la Vergine e s. Maria Maddalena
In mancanza di documenti, alla data di nascita di Giovanni Bellini ogni storico si avvicina in forma deduttiva, posizionando la punta del compasso su alcuni precisi riferimenti successivi. Sino a non molto tempo fa lo si dava per nato attorno al 1432, ora si tende a ringiovanirlo di qualche anno, creando maggiore stacco, dunque, dal fratello Gentile, nato nel 1430 circa, la cui consanguineità, peraltro, è stata spesso messa in discussione. Uno sbalzo temporale che andrebbe anche a giustificare l’evidente divergenza espressiva tra i due, l’uno orientaleggiante e di grande rigore formale, sotto l’occhio vigile e orgoglioso del padre Jacopo; l’altro, Giovanni, più lirico e pervaso da “meditazioni istancabili” (Longhi), oltre che meno accondiscendente nei confronti della committenza. Per uscire dalle griglie tardo gotiche, solo in parte già rimosse da artisti quali Antonio Vivarini o Gentile daa Fabriano, si servirà delle linee taglienti del cognato Mantegna e, successivamente, delle atmosfere fiamminghe, giunte per via diretta in laguna, grazie alle opere di artisti quali Van Eyck o Memling, appese alle pareti di nobili dimore veneziane; o, per straordinaria via indiretta, colte all’interno della tavolozza di Antonello da Messina.
Uno dei dipinti di Giovanni Bellini che segnano il punto di passaggio in direzione della luce, senza mai allentare la resa espressiva, è di sicuro la Pietà di Brera (datata 1460), esposta sino al 13 luglio alla fine di un delicato restauro, all’interno di una piccola ma intelligente mostra (26 opere in tutto, tra dipinti, sculture, disegni e codici), accompagnata da un esile catalogo Skira, a cura di Emanuela Daffra. Esposizione allestita nella medesima pinacoteca milanese e pensata per approfondire uno dei temi cari all’artista (superato solo dalle oltre ottanta Madonne con Bambino) e per accogliere in modo adeguato il rientro del “luminoso” dipinto. A riprova di come un restauro (nel bene, oggi nel male tante altre volte) possa far riscrivere pagine intere di storia dell’arte è utile rileggere le parole scritte nel 1949 da Rodolfo Pallucchini sulla Pietà di Brera: “ (…) il colore è tenuto su registri bassi allo scopo di mettere in risalto questa macerata plasticità, tanto coerente con il drammatico intento narrativo”. Oggi, rimossa la velatura giallognola, ogni tono riacquista un respiro diverso e la figura del Cristo morto pare avvicinarsi a noi, da un lato sorretto amorevolmente dalla Madonna, indurita nei lineamenti dal dolore e, dall’altro, in posizione leggermente più distaccata, da San Giovanni Evangelista, il cui sguardo incontra nel vuoto la stessa sua disperazione. La mano appoggiata al sarcofago crea un gioco prospettico ideato per oltrepassare i limiti del dipinto, spingendosi a ridosso del cartiglio che porta l’iscrizione latina recante la firma, parafrasando un’elegia di Propezio: “Mentre gli occhi gonfi di pianto emettevano gemiti, quest’opera di Giovanni Bellini poteva piangere”.
Formidabile il ritmo delle mani sul corpo morto o il panneggio di San Giovanni, passato da un tono grigio verdastro ad un punto intenso di celeste. Così come il paesaggio retrostante, le cui velature allontanano un orizzonte privo di nubi nerastre o segnali premonitori. Per non dire della sua capacità di emozionarci.
giovanni bellini- Cristo in pietà sorretto da quattro angeli
andrea mantegna- Cristo in pietà sorretto da Madonna, Maria Maddalena e s. Giovanni Evangelista
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andrea mantegna- Cristo in pietà tra la Madonna e san Giovanni – dettaglio Cristo
Completano la mostra altre opere di Giovanni Bellini, tra le quali “Cristo in pietà sorretto da due angeli” (Museo Correr, Venezia), “Cristo in pietà sorretto da quattro angeli” (Museo della città – Rimini), “Imbalsamazione di Cristo” (Musei Vaticani). Di Andrea Mantegna, passato, come molti altri (Zoppo e Schiavone anch’essi presenti in mostra) per la bottega padovana di Squarcione, con “Cristo in Pietà tra la Madonna e San Giovanni (opera custodita a Brera). Una scultura attribuita a Donatello – eseguita durante il suo soggiorno padovano, iniziato nel 1443 e durato oltre dieci anni – la Pietà con angeli e le Marie” (Chiesa di San Gaetano, Padova).
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giovanni bellini-La Madonna che adora il Bambino dormiente
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Vivarini e Crivelli completano un percorso breve ma fitto di sollecitazioni, al cui termine il visitatore trova una tavola di Giovanni Bellini raffigurante una “Madonna col Bambino in trono” (Gallerie dell’Accademia, Venezia): il volto della Madonna trasmette malinconia, Gesù è steso sulle sue ginocchia, addormentato e nudo, il suo braccio penzola verso il basso, così come nelle più intense Pietà. Bellini intreccia con irripetibile delicatezza emotiva la vita alla morte.
Silvio Lacasella
Ho visitato la mostra ad aprile perché quando c’è un Bellini in giro io non posso fare a meno di precipitarmi a vederlo…
Mi ha fatto molto piacere ripercorrerla attraverso le parole del Maestro Lacasella.
Grazie
Fiammetta
“Quando c’è in giro Bellini io non posso fare a meno di precipitarmi a vederlo”. Che bello, ne sarebbe stato felicissimo
Ho scritto anche alcune poesie sul Giambellino.
Ne riporto una qui; la condivido volentieri con chi lo ammira!
Preghiera del Giambellino a Nostra Donna
(grazie per la sete e per la fonte
per nostro lento riandare
da foce a sorgente)
Nostra Donna,
conceda Vostra pia sollicitudine
che io, per grazia dei miei occhi,
veda
con legge di Armonia
che se Vi riconosco
nella Vostra Ombra
Voi diveniate
risveglio della Luce che si annuncia
io vedo
di tutte nostre donne quotidiane
e mani e mani a mille
e ascolto
il bel rumore
(silentioso)
che corre in tra le dita
nell’esatto indicare
nel loro sciogliere
nel loro intento coagulare
vi annetto
la stabile pazienza dello specchio
(le scintille dell’occhio) e in notti
lunghe e lunghe
nel mio Carmelo veneziano
sogno
ma Voi non solo di mano e sguardo
mi parlate
Voi la Voce mostrate
che sfiora
la carnagione del dormiente
l’Altissima ragione
persuadente il fianco
da prestare alla rinuncia
Cara Fiammetta che ardi di poesia e bellezza lo chiedo qui, in ginocchio in mezzo alla via, perché non partecipi a questo nostro viaggio mandandoci tuoi versi su pittura e pittori? T’abbraccio in attesa di tue nuove.
ferni di carte
In ginocchio non è proprio il caso! Mi fai montare la testa!
Cerco, con calma, fra i miei scritti, ma devi avere pazienza perché i miei tempi sono divorati dalla quotidianità. Approfitto anche per dire che leggo sempre tutto quello che pubblichi su cartesensibili e, se intervengo poco, è solo perché mi manca il tempo di formulare un intervento che vada oltre il semplice apprezzamento.
Ciao, cara
Fiammetta
chiedonti ho pensato a Jacopone che sto studiando ora, dopo anni, lontano dai banchi di scuola dove il dovere non faceva sempre eco con piacere e in ginocchio mi sono posta ascoltando la tua voce, nei versi versata. Te lo rinnovo ancora l’invito, di inviarci i tuoi testi relativi a pittura o pittori, sarebbe bello farne una raccolta..e poi chissà che da cosa non nasca altro ancora. Baci. f
Mi unisco alla preghiera di Fernanda (cara Fiammetta sono sublimi i versi che hai riportato nel tuo commento!) ed anch’io ringrazio Silvio Lacasella per aver scritto di un pittore così straordinario (tra l’altro ci sono due testi di Gabriella Sica nel suo “Le lacrime delle cose” ed un lungo saggio di Attilio Bertolucci dedicati a Giovanni Bellini che testimoniano di quanto il Maestro abbia ancora da dirci).