METE DI VIAGGIO- Raffaella Terribile: Castel Roncolo, il maniero illustrato, un manifesto dell’Amor cortese e del suo rovesciamento

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Giochi, tornei, cacce, rituali di corteggiamento, belle dame e cavalieri:  gli archetipi, i modelli di riferimento del “bel mondo” delle corti ci parlano dalle pareti di Castel Roncolo e ci descrivono un mondo di codici cavallereschi che hanno la loro origine nei protagonisti dei cicli carolingi e bretoni e nelle leggende più diffuse nella tradizione medioevale, soprattutto presso le élites aristocratiche, che si rispecchiavano in questi modelli eroici. Un castello di immagini che sembra scaturire direttamente da una favola, particolarità questa che emoziona e incanta i visitatori di oggi e che ha fatto sognare i viaggiatori dell’Ottocento. La cultura romantica “neogotica” ha fatto sì che Castel Roncolo sia diventato il castello più disegnato, più dipinto e più fotografato del XIX secolo, diventando per questo motivo “il maniero illustrato” per antonomasia. Anche Ludwig di Baviera ne fu affascinato e lo venne a visitare nel 1833, durante il viaggio in Italia.
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castel roncolo affreschi dettagli.

 Alle scene di vita cortese si aggiungono gli spunti letterari, come la rappresentazione delle avventure di Re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda e della storia di Tristano ed Isotta, ciclo realizzato per volere dei nuovi proprietari, Niklas e Franz Vitlerer tra il 1388 e il 1410, borghesi il cui obiettivo era quello di “diventare cavalieri”. Facendo eseguire nelle loro sale di rappresentanza degli affreschi sui temi tipici della nobiltà di corte, i Vitlerer cercavano di trovare una legittimazione all’interno di quel ceto sociale dominante, pur non essendo nobili di nascita. L’adesione a comportamenti e modelli etici era un importante lasciapassare in un mondo ancora rigidamente legato alla mentalità e ai codici di una nobiltà “di terra” poco incline ad aprirsi verso realtà sociali diverse, ben determinate ad imporsi in virtù delle proprie capacità imprenditoriali.
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sala delle coppie.

.La Sala delle Coppie mette in scena il torneo delle mazze, nel quale i cavalieri si affrontavano utilizzando armi simili a clave. Lo scopo era quello di riuscire a colpire e far cadere a terra il cimiero dell’avversario. Gli spettatori siedono su tribune mobili, che potevano essere trasportate sul luogo del torneo e spostate all’occorrenza. Sotto la scena del torneo e sulle rimanenti pareti sono raffigurate, in una balconata di finti drappi, una serie di coppie intente a discutere. Colpisce subito la dama con la treccia ed il grande cappello dipinta sulla parete meridionale, che ritorna anche negli affreschi della Sala del Torneo e che sembra discutere in modo assai animato con il suo interlocutore su quello che probabilmente era il contenuto della nicchia che separa i due. Enigmatica risulta l’aggiunta successiva di un asino nell’angolo nord-est della stanza.

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sala dei giochi.

Nella Sala dei Giochi gli affreschi mostrano, sullo sfondo di un paesaggio agreste, dame e cavalieri intenti a giocare. L’affresco della parete est, che risale al 1390, è la più antica immagine di Castel Roncolo conservatasi. Si vede la rocca così come appariva prima della costruzione della Casa d’Estate, ultimo ampliamento della fabbrica antica. Il piccolo edificio raffigurato nel settore settentrionale del cortile è probabilmente un forno, dato che vi sta uscendo un uomo che tiene in mano una forma di pane. L’approvvigionamento idrico del castello era garantito da una cisterna; con ogni probabilità però si attingeva acqua anche dal Talvera, come si evince dalla presenza di una specie di argano che si intravede al di là della cinta muraria settentrionale. Secondo un’altra interpretazione, si tratterebbe invece di una gru, ad indicare l’alacre attività edilizia dei Vitlerer, nuovi signori del castello. In primo piano vediamo un cavaliere ed una dama mentre giocano alla quintana: in piedi su una gamba sola, cercano di far perder l’equilibrio all’avversario. La dama viene sorretta da aiutanti. In caso di caduta, la gonna rialzata avrebbe messo a nudo scorci impudichi, ed era questa, probabilmente, l’attrattiva maggiore del gioco.
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dettaglio affresco.

La Sala chiamata del Torneo è sovrastata dal grande affresco della giostra che rappresenta un torneo con sei coppie di cavalieri e i loro aiutanti. Sulla destra, nei pressi del castello, dove si trovano gli spettatori, un Vitlerer (riconoscibile dalle zampe d’orso sull’elmo che gli sta portando uno scudiero) viene armato per il torneo. Probabilmente anche il signore in piedi sotto l’arco del portale è un Vitlerer, che dopo aver organizzato il torneo assume il compito di arbitro, come indica il gesto di neutralità che compie con il braccio. Sotto la scena del torneo troviamo raffigurate altre attività con cui usavano intrattenersi i nobili, vale a dire il gioco della palla e la danza cortese. Un altro passatempo della nobiltà era la caccia, che trova ampio spazio sulle rimanenti pareti della sala. Sulla parete occidentale sono rimasti conservati frammenti di una caccia al cervo e al cinghiale, ma anche un altro tipo di caccia assai prestigioso, la caccia all’orso, di cui è rimasta conservata soltanto l’ultima scena, quella dello smembramento dell’animale. Gli altri affreschi della caccia all’orso, che si trovavano sopra lo stemma con le zampe d’orso dei Vitlerer, sottolineavano ulteriormente il legame con la casata proprietaria del castello. Sulla parete meridionale sono raffigurate scene di caccia al camoscio e allo stambecco, mentre sulla parete orientale si è ancora conservata una scena di pesca: l’atto di offerta del pesce ad una dama da parte di uno dei cavalieri equivale ad una proposta esplicita di seduzione e rientra tra le simbologie erotiche più diffuse del Medioevo.

Tra i temi favolistici che si incontrano passeggiando curiosi nelle stanze del castello, nella parte denominata Casa d’Estate, nella Sala di Garello, spiccano le vicende del romanzo arturiano ‘Garello della Valle Fiorita’ di Pleier (1230/40 circa): dopo la dichiarazione di guerra di Ekunaver, consegnata a re Artù da un gigante, Garello lascia la corte di Artù per prepararsi alla guerra imminente e cercare alleati. Il viaggio è assai avventuroso: Garello sconfigge sia il cavaliere Eskilabon che due i giganti, restituendo  ai cavalieri suoi amici la libertà. Essendo riuscito ad uccidere il terribile mostro Vulganus, conquista il cuore della bella Laudamie che diventa sua sposa. In seguito, Garello riesce a sconfiggere Ekunaver ancor prima dell’intervento di Artù e del suo esercito. Garello viene festeggiato alla Tavola Rotonda, per ritornare poi dalla sua amata Laudamie.
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castel-roncolo-affreschi tristano e isotta.

Ma è nella Sala di Tristano che si incontra il ciclo più interessante di tutto il castello, realizzato con la tecnica della terraverde. La storia di Tristano e Isotta è certo la più importante storia `d’amore del Medioevo e la sua versione più completa è da ricondurre al poema di Gottfried von Strassburg, composto intorno al 1210. La narrazione non è divisa in singole scene, ma prosegue, senza soluzione di continuità, inframmezzata solo da elementi paesaggistici od architettonici. Tutto inizia con il duello tra Tristano e Morold che, nel corso della lotta, verrà ucciso da Tristano. Una piccola scheggia della spada di Tristano rimane conficcata nella testa di Morold. Nella scena seguente Tristano si mette in viaggio verso l’Irlanda per farsi curare dalla Regina, valida erborista ed esperta in medicina, che però non vuole curare la ferita che Tristano si è procurato durante la battaglia. All’ interno della corte del castello della regina d’Irlanda Tristano intravede per la prima volta la bellissima principessa Isotta. Ritornato in Cornovaglia Tristano viene però rimandato in Irlanda da suo zio Marco che lo incarica di portare per suo conto una richiesta di matrimonio per la principessa Isotta. Giunto in Irlanda Tristano deve combattere contro un pericolosissimo drago. Tristano riesce a sconfiggere il feroce animale e, per provare la sua uccisione, ne taglia la lingua. La lingua del drago è però velenosa e Tristano, inconsapevole, la nasconde nella sua giubba, circostanza questa che lo porta ad un grave avvelenamento. Nella scena successiva la Principessa Isotta trova Tristano privo di sensi e gli presta le proprie cure. All’interno di una grande tinozza Tristano lava via il veleno del drago dal proprio corpo. Nel frattempo Isotta osserva la spada di Tristano e scopre l’intaccatura che corrisponde perfettamente alla scheggia che era stata estratta dalla testa di suo zio Morold quando era morto. L’ancella di Isotta, Brangane, impedisce alla propria padrona, adirata per la scoperta, di vendicarsi di Tristano. Isotta accompagna Tristano in Cornovaglia per diventare la sposa di Re Marco. Durante il viaggio, però, i due giovani bevono un filtro d’amore che non era destinato a loro, bensì ad Isotta e Re Marco.
Giunta in Cornovaglia, Isotta sposa Re Marco ma nello stesso tempo intrattiene, a causa del filtro bevuto in precedenza, una relazione amorosa con Tristano. Quando viene a conoscenza di questa relazione, Re Marco decide si sottoporre Isotta ad un giudizio divino: Isotta verrà condotta al cospetto di un Vescovo e dovrà giurare, tenendo tra le mani un ferro rovente che le verrà porto dal Vescovo stesso, di non essere stata tra le braccia di nessun altro uomo tranne che tra quelle del suo Re. Ma, poco prima di essere condotta al cospetto del Vescovo, Isotta, che stava scendendo dalla nave che l’aveva condotta sul luogo del giudizio e stava per cadere a causa delle sue lunghe vesti, viene sorretta da un Tristano travestito da pellegrino che per questo motivo la stringe tra le proprie braccia. A causa di questa circostanza, durante il giuramento, Isotta può dichiarare senza paura di non essere stata tra le braccia di nessun altro uomo tranne che del suo Re e del pellegrino che l’aveva soccorsa impedendole di cadere. Isotta , così narra la storia, aveva così potuto tenere tra le mani il pezzo di ferro rovente senza bruciarsi. Con il crollo della parete nord della sala di Tristano nel 1868 parti di affresco sono andate perdute, cosicché il ciclo di affreschi in terra-verde non si è conservato nella sua interezza.
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dettaglio tristano e isotta

castel-roncolo-dettaglio tristano e isotta.

Al culto del desiderio e dell’amore, visti come forza di vita e spinta alla perfezione, tipico della tradizione cortese, la storia di Tristano e Isotta oppone il tema di un desiderio devastante, fonte di dolore più che di elevazione spirituale, vera e propria forza di morte in quanto l’amore dei protagonisti non può portarli che alla morte. Il confronto più efficace si pone con la coppia Lancillotto – Ginevra, in cui la dama è sempre superiore all’uomo, disposto a tutto pur di essere degno del suo amore, perfino a umiliarsi (come nel romanzo di Chrétien de Troyes, Lancillotto o il cavaliere della carretta), e il cui amore è perfettamente invece integrato nella società e rispondente ai canoni dell’etica amorosa del tempo (“servitù d’amore”). L’amore di Tristano e Isotta si pone invece in costante sfida nei confronti della società, rendendo impossibile una conciliazione dei valori morali e sociali con quelli dell’amore, e connotandosi più come amore-passione (dal latino patior, cioè “soffrire” e “subire): i due amanti sembrano più vittime del filtro che li soggioga che pienamente colpevoli di un comportamento eversivo dei codici di comportamento ammessi dalla società, e per questo innocenti di fatto e colpevole, quindi, è unicamente l’amore che li travolge come forza devastante). Il mito di Tristano e Isotta si interroga dunque sulle cause e sulle conseguenze dell’amore, inquadrato in una società di cui trasgredisce tutte le leggi razionali, morali, e sociali.
Chi nel corso del Medioevo ha ripreso la storia di Tristano e Isotta è sempre stato conscio della natura provocatoria della vicenda, tanto che spesso, col tempo, questa appare ridimensionata o integrata in maniera da farla apparire come qualcosa di accettabile all’interno delle convenzioni sociali, fino a cancellarne qualsiasi implicazione etica. Ma, nelle prime versioni della leggenda, questa si presenta inevitabilmente come incarnazione di un ideale amoroso negativo, quello della fol amor o dell’amore fatale, fondato sul dolore. Il più antico romanzo, detto della “versione comune”, è opera di Béroul; scritto probabilmente verso il 1170 o poco dopo, e pervenuto acefalo e mutilo della parte finale:  romanzo dell’ambiguità in cui gli amanti ricorrono continuamente ad astuzie ed inganni per potersi incontrare, ma i loro nemici sono presentati come odiosi dal momento che ricorrono agli stessi mezzi per causare la loro perdita. Ad essere oggetto di condanna è soprattutto l’amore, la passione. Il poeta prende infatti le difese dei due amanti, senza però chiarirne del tutto l’innocenza: emblematica la scena dell’ordalia, che in Tommaso di Inghilterra è sancita dal giudizio divino (il ferro incandescente non brucia Isotta), ma che in Béroul rimane sospeso. È l’amore il vero colpevole, laddove gli amanti sono soggiogati ad esso e lo subiscono più che praticarlo: ad essi infatti è fornito quasi un alibi nel filtro magico che li ha resi prigionieri. Dalla situazione iniziale la vicenda si connota negativamente mettendo in scena l’adulterio, l’incesto, il tradimento del legame feudale. Qualsiasi vita gli amanti scelgano (all’interno della società, costretti a continue menzogne e travestimenti; ma anche esclusi da questa, durante la vita nella foresta; separati), falliscono e sono condannati all’infelicità. L’unica via d’uscita possibile per loro è la morte. In questa impossibilità di realizzazione la loro vicenda si contrappone alla tematica dell’amore cortese rappresentata dalla coppia Lancillotto – Ginevra e ciò ne segna anche l’atemporalità, la sopravvivenza nell’immaginario. Se l’amore cortese è legato alla società medievale e può essere capito solo al suo interno, il mito di Tristano e Isotta si pone al di fuori, tanto da essere oggetto di continue riprese, dai Romantici fino ai giorni nostri. Secondo Denis de Rougemont, infatti, esso rappresenta una concezione dell’amore tipica del mondo occidentale, contrapponendosi alla letteratura del resto del mondo nell’invenzione di un sentimento reciproco ed infelice – concezione, questa, che ha dato origine alle più celebri storie d’amore della nostra cultura, da Piramo e Tisbe a Romeo e Giulietta. In generale si assiste, nel susseguirsi dei testi e delle differenti versioni, a un appiattimento delle problematiche etiche e sociali poste dalla scabrosa vicenda degli amanti: nel Tristano in prosa (1172-1175), “versione cortese” della leggenda, per esempio, gli episodi amorosi si perdono nelle sterminata successione di avventure cavalleresche, e il re Marco viene ridotto a codardo traditore in opposizione all’eroe cortese Tristano. Il protagonista viene così integrato nella geste dei cavalieri della Tavola Rotonda, e anzi il suo stesso amore non è più segnato dal dolore, ma gode di lunghi periodi di felicità, e la vita nella foresta, dura e insostenibile in Béroul, assume le caratteristiche di un idillio pastorale. Più tardi Tristano viene reso maggiormente accettabile anche dal punto di vista della moralità cristiana, integrandolo nelle avventure della cerca del Graal. Isotta, d’altra parte, introduce un tipo nuovo nella letteratura amorosa, o meglio lo ricrea. Il suo è il dramma dell’adulterio, del quale vengono in un certo qual modo fissati i parametri che rimarranno immutati fino a oggi: Isotta vive una doppia vita amorosa, quella dell’amante e quella della moglie, quella dell’amore-passione fatalmente proteso alla morte e quello dell’amore nuziale rispettoso della norma e della tradizione; questi due amori sono inconciliabili come sono inconciliabili i due uomini cui sono rivolti: Tristano, sottomesso a un ordine che pure deve tradire, e il re Marco, giusto conservatore proprio di quest’ordine. La critica moderna si è interrogata sulle valenze simboliche di singoli episodi della storia, come quello del perdono concesso da re Marco quando egli trova gli amanti nella foresta, addormentati ma vestiti, e separati dalla spada di Tristano: gli oggetti che il re lascia per segnalare la sua venuta sono stati visti come simboli di perdono, o anche come richiami al rituale di investitura feudale (la spada, il guanto, l’anello). Ma, più in generale, la rivalità tra i due uomini è vista come primo segnale del fallimento cui è destinato il rapporto  vassallatico medievale e il mondo che gli fa da cornice.
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Un mondo che cambia, dunque, per non essere più uguale al precedente: il borghese castellano di Castel Roncolo si nobilita con l’identificazione in una leggenda che ormai è senza tempo, fuori dal tempo, lui stesso espressione di una nuova classe intraprendente e scaltra che ben presto non sentirà più il bisogno di fare propri i codici di comportamento della vecchia nobiltà feudale messa in scacco dalla storia. Le immagini evanescenti in terraverde di Castel Roncolo raccontano attraverso le vicende di Tristano e Isotta il tramonto di una civiltà, quella dei castelli, sopraffatta da nuovi ideali più prosaici e mercantili in cui all’ideale cavalleresco si assegna il ruolo non più che di un sogno, di una nostalgia, di una fiaba senza tempo, bellissima ma in cui non si crede più.

Raffaella Terribile

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