Questo tempo che batte l’affanno – Silvio Lacasella

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Sollecitato dall’ansia di chi lo abita, il tempo sembra abbia imparato a sovrapporre il suo battito – scandito dai ritmi della natura – ad un altro battito, e ad un altro ancora, così da formare all’interno dello spazio e del pensiero, più che un ritmo, una disorientante aritmia.
Forse, è anche questo il motivo per cui l’espressione artistica, pur di non restare imbottigliata nel traffico visivo e sonoro formato da ciò che la circonda, tende a delimitare sempre più i confini della propria ricerca. In pratica, essa pare stabilire in anticipo in quali territori avviare l’esplorazione, rendendoli accessibili solo a chi dimostra assoluta fedeltà e senso d’appartenenza. Questo sorprende, poiché contemporaneamente si va assottigliando, giorno dopo giorno, il confine tra le arti: video, cinema, fotografia, parola recitata, parola scritta, parola cancellata, il gesto che diviene performance, l’oggetto sottratto dal vivere quotidiano e trasformato dall’idea in istallazione, il suono che diviene colore e molto altro ancora si intreccia, si innesta, si “contamina”.
Tutto ciò che può trasformarsi in motore economico fiorisce e sfiorisce con impressionante velocità. E’ persino ancora permesso usare i pennelli e dipingere. Dopo aver detto con Gombrich che: “l’arte è il miglior mezzo per esprimere individualità, purché un artista abbia un’individualità da esprimere”, è opportuno tener presente una cosa ovvia: l’insieme di queste individualità restituisce visivamente e in modo molto fedele il caos esistenziale nel quale siamo immersi e del quale siamo in parte complici, più o meno volontari.
Viene da pensare che sia proprio la mancanza di una strada maestra in direzione della modernità, essendo essa, appunto, formata da un intreccio di espressioni contrastanti, l’elemento caratterizzante dell’esperienza contemporanea. Questo aspetto contiene una sua positività. Mai, infatti, l’arte è stata così vicina a chi la vuole incontrare, a chi la vuole comprare, a chi vuol scriverne, a chi la vuole esporre. Eppure, nel momento in cui ci si avvicina con passo meno leggero, la sensazione che ci accompagna è lo smarrimento. Uno smarrimento non certo provocato dall’abbondanza dell’offerta, ma da quello che percepiamo essere il suo meccanismo interiore: il mercato. Un disagio inespresso, spesso mascherato da una sorta di sipario calato durante lo spettacolo. Tutto e il contrario di tutto può trasformarsi in avanguardia. Tutto e il contrario di tutto penetra nei pori dello sguardo. Al punto che non è azzardato sostenere che persino ciò che non ci appartiene, diviene parte integrante di noi stessi, non fosse altro che per effetto di contrasto, come la notte è debitrice del giorno.
Succede anche a chi insegue interiormente poche voci importanti. Esse contengono l’eco di altri suoni e di altre, martellanti e non più lontanissime, voci. In sostanza, quella che oggi vediamo, visitando musei e mostre in quantità stordente, potrebbe essere un’unica, enorme opera.
Lo scrivo facendo forza su me stesso, poiché ho sempre avuto fiducia assoluta nel valore singolo dell’esperienza artistica. Non so cosa darei per scoprire di essere in errore. Però, purtroppo, ciò che non vorrei è presto verificabile: nel momento di maggiore libertà espressiva si è ristabilito un preciso rapporto con la committenza, anche in assenza di precisi committenti. Chi può aprire le porte alle grandi manifestazioni espositive, sorrette da un gigantesco apparato mediatico, veicola il gusto. Se non per questo, per cos’altro allora una crescente quantità di artisti, di critici, di galleristi, di illuminati collezionisti, anziché tentare di allargare il proprio orizzonte espressivo per individuare l’origine delle proprie emozioni o delle proprie inquietudini, in modo da fortificare le proprie passioni, scavano invece con foga profondi fossati per creare uno stacco. Così da creare una divisione netta tra eletti e non eletti. Tra il bene e il male, tra il positivo e il negativo. Un fiero e inviolabile isolamento, un’unica verità. “E’ incredibile l’arroganza con cui decidiamo ciò che ci riguarda o non ci riguarda” scriveva Elias Canneti.
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Non può essere una coincidenza se un paragonabilissimo atteggiamento di intransigente chiusura, crea tensioni pericolosissime anche dove l’arte non è presente. “Come posso far capire che la guerra è sempre e comunque insensata?” ha detto in questi giorni Ermanno Olmi, presentando il suo ultimo film, girato sull’altopiano di Asiago, scenario di morte e sofferenza durante la prima guerra mondiale. Ecco che, dopo aver faticosamente conquistato un’assoluta libertà di linguaggio, di fatto vengono sottratte alcune parole, rendendo impossibile una forma di dialogo. Ho detto che siamo anche quello che non ci appartiene, però, paradossalmente, con una parte di noi stessi non ci confrontiamo. Di qua cresce l’intolleranza intellettuale, di là quella politica, nonché l’ingordigia e la disparità economica. Di conseguenza, si sviluppano il fanatismo, la rabbia, il rancore e, in alcuni casi, la disperazione.
Per restare all’arte, succede circa così: dove espongo io, non puoi esporre tu, che ancora e nonostante tutto ti esprimi in modo differente. Tu, critico che scrivi per me, puoi scrivere solo per chi o per coloro che rafforzano il mio pensiero. Si cercano alleanze forti, si disprezza chi le trova. L’arte, insomma, va a braccetto con la storia, non l’anticipa più.  Sono, queste, non altro che riflessioni a voce alta e testa bassa, mischiate ad  altre a testa alta e voce bassa, in attesa di capire meglio.

Silvio Lacasella
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11 Comments

  1. In uno scambio di posta Silvio Lacasella mi scriveva che per questo articolo ci vedeva bene solo Guernica. Personalmente invece trovo che oggi guernica non ha più spazio, questa che si vede nelle immagini postate è la guernica contemporanea! Picasso viveva un tempo in cui il nemico era manifesto, come pure ogni volontà aveva un corpo, oggi invece i giovani non sanno più chi sia a muovere la mano armata contro la vita della gente, o meglio lo sanno bene che è un muro ADDOSSO A CUI SI AMMAZZANO, IN CUI IL FUTURO E’ UN BARATRO VOLUTAMENTE INCESSANTE E ALLORA FANNO GRUPPO, SI METTONO INSIEME, FANNO CORDATA E DENTRO I LORO LAVORI, SE PUR CON-FUSI PASSA UN MESSAGGIO CON IL LORO LINGUAGGIO, FORTE E SORDO, ALLO STESSO TEMPO, MA VIVO E RABBIOSO O TENERISSIMO E IRTO. CIAO. ferni

  2. Fa piacere vedere espresso chiaramente il disagio che, credo, molti di noi percepiscono.
    Io, un po’ ingenuamente e pragmaticamente, ho risolto, a modo mio, la questione assumendo a regola questa mia considerazione:
    “Laddove l’esposizione artistica è sottomessa al mercato, nel senso che se ne fa coinvolgere troppo, devi dubitare della reale artisticità del prodotto esposto.”
    Così, dubitando, sono costretta ad accostarmi all’opera con tutte le antenne dei sensi (e della ragione e della memoria) ben attivate. E’ un esercizio che male non fa, anche se, alla fine e inevitabilmente, si salva quello che in qualche modo appartiene al proprio gusto ed alla propria Weltanshauung.
    Che fare allora?
    Questo tempo agitato ci sarà maestro almeno nell’insegnarci a sopportare le contraddizioni?

  3. Credo che il virgolettato di Fiammetta Giugni sia da prendere come punto di riferimento , oggettivo e spassionato .
    leopoldo attolico –

  4. Che bello avere un Attolico come accolito! Scusate il gioco di parole, ma ho bisogno di scherzare un po’ perché sono a casa in malattia con una spalla che mi ha fatto vedere le stelle…
    E per fortuna ci sono le Carte Sensibili!

  5. Aggiungere non è semplice. E’ una strana sensazione perché, in realtà, avrei tantissime cose da dire . Quello che ho scritto qui sopra non contiene certezze e non indica soluzioni, è una sorta di pacato urlo alla luna, uscito senza un vero e proprio motivo o episodio scatenante. Forse per accumulo di vapori e tensioni interiori: una sorta di sfiato, necessario come lo è la valvola della pentola a pressione.
    Mi sento bloccato, anche perché nel momento in cui penso una cosa, vedo nelle sue pieghe una verità non sempre combaciante. Prendiamo questa frase contenuta nel commento di Fiammetta Giugni (almeno credo sia sua, anche se è virgolettata): “Laddove l’esposizione artistica è sottomessa al mercato, nel senso che se ne fa coinvolgere troppo, devi dubitare della reale artisticità del prodotto esposto.”. Ecco, istintivamente la condivido, però non è corrispondente sempre a verità, anzi. Lo dico perché alcuni artisti “premiati dal mercato” io li stimo molto e non mi stupisce affatto che il loro talento sia trasformato in valore. Piuttosto va sottolineato che, dietro a loro, una serie di figure assai più modeste sono chiamate a “fare squadra”, appunto dal mercato, per rafforzare quel medesimo modo di intendere l’arte. Queste, oltre ad essere sopravvalutate, sottraggono spazio e visibilità ad artisti che di certo non meritano l’isolamento in cui sono confinati.
    Però, dicendo questo, so anche bene che non sta a me stabilire graduatorie di merito. Io posso (e devo) indicare con passione i miei amori, ma non pretendere che li certifichi il mio notaio. Poco importa se altri lo fanno: ogni mia parola perderebbe di credibilità.
    Dico sempre: non c’è una persona al mondo che non sia consapevole del genio di Michelangelo e ci pare impossibile immaginare una storia dell’arte senza la sua presenza. Però, se per assurdo, alle nuove generazioni noi tutti dicessimo che non è esistito, oscurando ogni sua immagine, il loro rapporto con l’arte non cambierebbe nella sostanza, non sapendo non avrebbero la percezione di essersi terribilmente impoveriti.
    Oggi in giro non mi pare ci siano tanti Michelangelo, ugualmente però, con metodo, viene occultato ciò che non corrisponde ai voleri di un mercato interessato a percorrere itinerari diciamo “paralleli all’emozione”, col risultato di renderci più poveri. Questo sorprende, proprio perché tutto pare invece possibile, in un’epoca priva di avanguardie
    Ultimissima considerazione: quel cuore pulsante, che si accende e spegne, sembra un tiro al bersaglio. Un cuore da impallinare… in effetti, forse riassume tante cose. Starebbe bene all’ingresso della prossima Biennale

  6. sarebbe proprio una buona idea, dentro ci sono arte-rie che fumano come ciminiere e scaricano veleni e questo è metafora ma anche realtà perché fumiamo molto più di fumatori incalliti, tutti, noi tutti, e la Cina non è lontana…in linea d’aria! La penso come te anche se , e so che anche tu lo sai benissimo, molti sono gli autori che non ricordando ci impoverirebbero ma…tutto gira e magari tra cento anni ne rinascerà qualcuno , loro stessi in fondo avendo lasciato tracce di sé come accade nell’universo relativamente al big bang. Ciao Silvio, ferni

  7. Silvio, la tua riflessione, ma anche i commenti che ne sono seguiti, mi hanno lasciato stordito. Io non sono un esperto d’arte, ne sono solo un saltuario fruitore (anche se in Italia nell’arte siamo tutti avvolti) ….. Ma mi viene da pensare : “Non è sempre stato così ?” Intendo dire che ci siano quelli che l’arte la fanno perchè non ne possono fare a meno, e quelli che non riescono a farla e però sanno “muoversi bene”. Però capisco che le vostre riflessioni sono più “alte”, e più “dentro”
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    Paolo Stella

  8. “Dubitare” è un modo per dire che si va con i piedi di piombo. Pronti a riconoscere il valore dove questo esiste. La mia frase non era una esclusione a priori.
    E ben triste comunque che la priorità del denaro, oltre a tutti i danni che ha creato nella nostra civiltà, ci renda sospettosi anche nei confronti dell’arte.
    Capisco, Silvio, il suo sentirsi bloccato. Purtroppo, inoltre, il colloquio che avviene in rete obbliga a una sinteticità paradigmatica che non ci appartiene. La mente viva e vivida non si accontenta.
    Sogno un tempo lungo nel quale, guardandoci in faccia, potessimo sviscerare con calma un argomento.
    Ferni, a quando?

  9. a luglio, il 19 luglio all’Anfiteatro del Venda. Presenterò un libro e ci saranno molte persone a cui tengo molto. Il luogo è un incanto perché è così ricco di memoria che il suo silenzio parla dall’era cambriana fino alla venuta dei miei progenitori, in arrivo dalla Grecia del nord e contrari alla guerra, insediatisi nell’area di este, padova e i colli intrecciano amicizia con le popolazioni locali e gli etruschi. Arte, scrittura e colture,non solo culture, crescendo in pace fino a quando qualcosa si rompe e…il resto è storia fino ad oggi.
    Pensaci! L’invito è aperto a tutti e in particolare a Silvio naturalmente. A presto. ferni e pensaci sarebbe bello perché il luogo è magnifico, all’aperto ha l’eremo del Rua a sinistra, il mare difronte e l’appennino a destra che si nasconde dentro l’azzurro.
    ferni

    http://www.panoramio.com/photo_explorer#user=7834371&with_photo_id=94334078&order=date_desc

    https://www.youtube.com/watch?v=AghChoPejI8

  10. Il 19 luglio all’Anfiteatro del Venda? ma dove, proprio sotto al grande ripetitore? Andrai in mondovisione allora. Se posso vengo volentieri… se proprio non posso ti guarderò a reti unificate

  11. licca sui link che ho messo appena sopra il tuo commento e vedrai il posto, sì è sul Venda, ma non ci sono più i militari della base nato.le antenne…eh sì quelle ci sono, ma sono in alto alto, l’anfiteatro è a una quota più bassa. Guarda i links.

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