dan duchars
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E’ successo tutto nel mese di maggio, in un mese solo. Lo so che nessuno ci crederà, ma è vero.
Ha iniziato l’automobile: un crack mentre le facevo fare un giro, mi è sembrato al cambio, anche se oggi non si usa proprio più. Si è fermata, morta.
Poi è stata la volta della lavatrice, che io e Maria usiamo a turni alterni. Purtroppo era la domenica in cui toccava a me. Durante la centrifuga ha emesso un sibilo terrificante, neanche fosse un aereo in atterraggio. Ho dovuto strizzare i panni uno per uno e c’erano decine di magliette di Pinco e Pallo, i nostri gemelli.
A questo punto si è definitivamente rotto il frigorifero, che da mesi lanciava segnali inquietanti. C’erano dei blocchi di ghiaccio così grandi, ma così grandi che somigliavano a quelli usati secoli fa, prima che fossero inventati i freezer.
La stessa sera, mentre cenavo con Maria, con Pinco e Pallo, ho sentito trac… E’ stato un miracolo che non cadessi a terra. Una gamba della sedia si è spezzata di netto, anche se obiettivamente le tre compagne non se la passano molto meglio. La fodera ingiallita di tappezzeria a fiori è strappata in vari punti, le molle sono saltate, molti chiodini non ci sono più e soprattutto le sedie dondolano, sotto i calci dei gemelli.
Su di esse sono stati seduti i miei antenati: chissà che in qualche angolo non si nascondano acari, peli, briciole, polvere, sudore, orina dei loro corpi al cimitero.
Ci sono stati chissà quanti pranzi della domenica, di Natale, di Pasqua, di compleanno, intorno al tavolo rotondo col robusto vetro sopra, che protegge il lucido ripiano in noce e il centrotavola ricamato a mano.
Mi sembra di ascoltare le voci, le risate, i pianti, le urla…Vedo i posti vuoti di chi non c’è più.
La pesante credenza in noce scuro in pendant chissà quanti segreti nasconde nei cassetti, gioie, sofferenze, sospetti, tradimenti.
Per colmo di sventura, a un tratto, la lampadina del lume ad angolo, in vetro smerigliato e ottone decorato, ha fatto clic. Non si era mai fulminata e mi è sembrato che lanciasse un messaggio.
Sono un eterno sentimentale, non posso farci nulla. A Maria sono piaciuto così.
A questo punto ho cominciato a capire: gli oggetti si erano messi d’accordo e si erano rotti.
Intanto i lupi in lontananza erano contenti, i gatti ronfavano e il vento sibilava, penetrando fra le fessure delle finestre.
Io ci tengo agli oggetti, parlo con loro, li curo, li lustro, per me sono fondamentali. Ascolto le loro voci, tento di capire ciò che vogliono comunicarmi e ciò che si dicono fra loro. Per me sono più importanti delle piante e degli animali, ma non più della mia famiglia.
Maria mi ha detto di stare attento, perché rischio di adoperare più oggetti che parole.
La mattina il primo che si alza pigia un pulsante che dà il via al preparare la colazione. Un oggetto simile all’antico tostapane fornisce fette dorate al punto giusto. Poi si trasforma in una vecchia Moka e l’aroma del caffè si diffonde nelle stanze, per ridiventare finalmente l’avvitatore laser che mi è tanto utile nei lavoretti self-service.
Uno dei miei oggetti prediletti si trova in soggiorno: è un’antica “Vespa” che si trasforma in un vecchio juke-box, per mutarsi poi in una cyclette che brucia le calorie anche senza di me. Le scoperte tecnologiche d’oggi ci rendono la vita facile e comoda. E’ tutto altamente computerizzato, le immagini sono ad altissima definizione. Noi non dobbiamo muovere neanche un dito o meglio con un solo dito azioniamo finestre, porte, visori, acqua, illuminazione, riscaldamento, allarmi, musica. Toccando lo specchio del bagno, mentre mi lavo il viso, appaiono tutte le notizie importanti del mondo e del giorno che mi attende: viabilità, temperatura, umidità. Al lavoro io e Maria, e a scuola Pinco e Pallo, andiamo su strade mobili, sottili nastri che ci conducono direttamente e in tutta sicurezza nei luoghi prestabiliti. Durante la giornata, possiamo essere in contatto fra noi quattro e col resto della terra nella stessa maniera: cliccando su vaste superfici che occupano ripiani, pareti e in certi casi soffitti e pavimenti.
Il pranzo-spuntino è fuori casa, ma la sera ci ritroviamo nel nostro appartamento supertecnicizzato. Si può dire che la cucina faccia tutto da sola. Basta sfiorare le piastre perché si accendano fiamme azzurrognole perfettamente calibrate per cucinare a puntino.
Dopo cena, io e i bambini giochiamo ai videogames d’ultima generazione, ridendo e scherzando, mentre Maria si dedica al suo hobby preferito, la creazione di ologrammi.
In questo ambiente così hi-tech fanno vistosa eccezione solo gli oggetti che si sono tramandati di generazione in generazione nella mia famiglia.
Anche un inguaribile romantico come me può essere infastidito dalle continue critiche di chi dice che dovrei disfarmi di tutta quella “roba vecchia”, faticosamente salvata fin qui dalle ingiurie del tempo. Come ho fatto a non capirlo?
Negli ultimi mesi non ho degnato di uno sguardo né l’auto, né la lavatrice, né il frigo o le sedie o il lume, mai una carezza, una parola, un nomignolo affettuoso, e loro si sono sentiti abbandonati, non amati e sono passati alla vendetta di un suicidio collettivo.
Perché gli oggetti vivono, amano, invecchiano, muoiono proprio come noi umani, perché anche se ormai siamo nel 2101, i sentimenti sono rimasti quelli dell’età della pietra. O almeno per è me così.