Nadia Anjuman – Senza più una voce chiara è il canto- Note di Fernanda Ferraresso

thierry marchal

 thierry-marchal.

…Anche la notte un po’ alla volta va per la sua strada e io
Divento il più triste canto d’addio.

Nadia Anjuman

In un tempo come questo, in cui molti si fermano quasi in adorazione della propria immagine, anche quella poetica, penso che sia doveroso invece andare oltre la propria persona e la propria storia quotidiana, per abbracciare quelle degli altri, compagni di viaggio nella tragedia di una vita di  spavento, follia e disumanità indotta da chi di fatto non ha un potere su tutto e tutti e non può continuare a dissipare la vita di così tante persone, soprattutto donne, e bambine, moltissime,  di cui nessuno o troppo poche voci prendono le difese. E’ per questo che ho scelto, ancora una volta, di parlare delle donne afghane, calpestate, battutte, ammazzate, per fondamentalismi che vanno oltre la religione, che sempre più spesso viene chiamata a testimonianza di un agire folle e delittuoso, ed è da una parte il volto di una squallida paura, da parte di un mondo maschile e maschilista, che invoca la legge d’onore ma che non sa assolutamente cosa sia onore né dignità della persona,dall’altro, di fonti di potere che usano il terrore per dominare altri popoli.Da questo quadro, però,  le vittime sono di fatto le grandi vincitrici in un mondo che non ha possibilità di crescita, né in Afghanistan, né in qualsiasi altro luogo attui la violenza come mezzo di governo.

Divento fumo nello spazio del mio credo
Lentamente mi avvolgo e mi anniento
Finché vengo allevata dalle mani dell’ansia
Nell’abisso del cuore i miei battiti aumentano
E quel battito intende conoscere la terra della fossa del tardi
Mi preparo al momento trascorso
A volte dall’amore arido e dal buon miraggio di una nuvola
Mi trasformo nel più arido deserto salato
Ma l’immaginazione dei miei occhi mi trasforma in acqua
Nel letto della morte per sete, mi trasformo in ruscello
Se arriva a me il capo di uno dei fili della speranza
Divento l’ordito nella sottile trama del cuore
Questo se n’è andato senza commiato, l’immaginazione mi porta via
Sono ancora io che mi riempio di ricordi
Anche la notte un po’ alla volta va per la sua strada e io
Divento il più triste canto d’addio.

Così scrive Nadia Anjuman in  Il canto più triste , che è la perfetta inquadratura di un mondo che non ha parola ma solo violenza come vocabolario del suo agire.

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Afghana, venticinquenne poetessa e madre di una bambina di soli sei mesi,
viene massacrata di botte dal marito, per aver recitato in pubblico suoi versi tratti da un libro di poesie d’amore, Gul-e-dodi  , Fiore rosso scuro, scritto prima del matrimonio. È morta per i suoi ghazal, le poesie d’ amore, non certo poesie erotiche, con una pregnante vena di  tristezza, a volte con un profondo senso di misticismo ,tratta  dalla tradizione arabo-persiana,  e scritte per anni di nascosto. E’ il 4 novembre 2005 quando muore. Il fatto avviene ad Herat, nel centro occidentale dell’Afghanistan, luogo in cui le donne si riuniscono la sera, nei locali dell’associazione Ago d’oro, per fare corsi di cucito, ufficialmente, per partecipare a corsi e letture di poesia di fatto. Un professore dell’università insegna alle donne, riunite in quella scuola di facciata, quello che può insegnare in quel periodo solo agli uomini: la letteratura.
La causa della sua morte è sicuramente da imputarsi a percosse multiple alla testa.Ciò che si fatica a comprendere è come il marito, ricercatore universitario della facoltà di lettere, non abbia apprezzato queste qualità della moglie e abbia reagito in questo modo, uccidendola. Il fratello di Nadia parla di invidia, perché lui non aveva altrettanta fama quanto quella della moglie, ed essere superato da lei, una donna, non era accettabile. Ciò che ancora di più turba è che lui venga regolarmente processato,  assolto un anno dopo il fatto, in ultima istanza dalla corte, e, tornato a casa dopo un breve tempo trascorso in carcere, in cinque anni salda il suo debito con la giustizia, riesce a riottenere il suo incarico universitario, risultando nei fatti a tutti gli effetti riabilitato e senza colpe di omicidio nei confronti della legge e riguardo alla moglie . Per le autorità afghane infatti Nadya è morta d’infarto, oppure  si è suicidata. Questo non fa alcuna differenza per nessuno. E’ lei la colpevole in ogni caso, non il marito.

A noi  ha lasciato due volumi di poesie: una raccolta di versi, intitolata Fiori di fumo, scritta prima di sposarsi e Fiore rosso scuro. Le sue poesie sono scritte  in lingua farsi, una  lingua parlata e scritta in Iran, e anche la lingua letteraria di una vasta zona di cui fa parte anche l’Afghanistan. Nadia è stata  una delle tante centinaia di vittime della violenza domestica che, in un paese in guerra come l’Afghanistan, aggiunge violenza a violenza, che continua a perpetrarsi soprattutto contro le donne, schiave, segregate, derubate della libertà che ogni essere dovrebbe avere e di cui troppo poco si sa e si conosce.

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thierry marchal

grande rousse

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Herat, la Città dei poeti ha un triste primato: la più alta percentuale di suicidi femminili.

Le donne usano il suicidio e la poesia per opporsi ( https://cartesensibili.wordpress.com/tag/sayd-bahaudin-majruh/) ad un sistema tribale che le vede sottomesse al pari delle bestie e come loro oggetto di commercio, senza che loro possano opporsi in alcun modo. Non avendo a disposizione le armi, che usano gli uomini in guerra, non volendo usare oggetti di chiaro uso maschile, come la corda per impiccarsi , perché la corda è l’oggetto con cui si legano le bestie, né farmaci , le donne di Herat, e tutte le altre nei centri rurali,  si danno fuoco per sfuggire al matrimonio a cui sono costrette in giovanissima età, e usano il petrolio delle stufe di cucina, anticipando con l’unico gesto a loro disposizione, e quindi di autodeterminazione loro possibile, il proprio omicidio da parte dei parenti di ogni grado, tutti nella possibilità di ucciderle o maltrattarle a morte. Mariti, fratelli, padri senza la possibilità di agire si trovano, in questo modo, di fatto esautorati dei loro poteri e senza più chi subiva le loro perverse abiette crudeltà, frutto di ignoranza e disumanità.

Così prosegue ancora nel suo libro Nadia:

Nessuna voglia di parlare.
Che cosa dovrei cantare?
Io, che sono odiata dalla vita.
Non c’è nessuna differenza tra cantare e non cantare.
Perché dovrei parlare di dolcezza?
Quando sento l’amarezza.
L’oppressore si diletta.
Ha battuto la mia bocca.
Non ho un compagno nella vita.
Per chi posso essere dolce?
Non c’è nessuna differenza tra parlare, ridere,
Morire, esistere.
Soltanto io e la mia forzata solitudine
Insieme al dispiacere e alla tristezza.
Sono nata per il nulla.
La mia bocca dovrebbe essere sigillata.
Oh, il mio cuore, lo sapete, è la sorgente.
E il tempo per celebrare.
Cosa dovrei fare con un’ala bloccata?
Che non mi permette di volare.
Sono stata silenziosa troppo a lungo.
Ma non ho dimenticato la melodia,
Perché ogni istante bisbiglio le canzoni del mio cuore
Ricordando a me stessa il giorno in cui romperò la gabbia
Per volare via da questa solitudine
E cantare come una persona malinconica.
Io non sono un debole pioppo
Scosso dal vento
Io sono una donna afgana
E la (mia) sensibilità mi porta a lamentarmi.
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E aggiunge anche, in  Catene d’acciaio:

Quante volte è stata tolta dalle labbra
la mia canzone e quante volte è stato
azzittito il sussurro del mio spirito poetico!
Il significato della gioia è stato
sepolto dalla febbre della tristezza.
Se con i miei versi tu notassi una luce:
questa sarebbe il frutto delle mie profonde immaginazioni.
Le mie lacrime non sono servite a niente
e non mi rimane altro che la speranza.
Nonostante io sia figlia della città della poesia,
i miei versi furono mediocri.
La mia opera è come una pianta priva di cure,
da cui non si può pretendere molto.
Nell’archivio della storia,
questo è tutto ciò che mi rappresenta.

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thierry marchal

thierry marchal.

La raccolta che ora mette insieme le sue poesie s’intitola Come un uccello in gabbia. Poesie di Nadia Anjuman. Ed è anche la storia della casa per donne maltrattate di Kabul. La HAWCA (Humanitarian Assistance for the Women and Children of Afghanistan) e CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane onlus)  http://www.hawca.org/main/en/news-topmenu-19/104-come-un-uccello-in-gabbia.html
hanno presentato questo libro, frutto di una collaborazione stretta tra loro e le donne vittima di una tradizione che nella realtà quotidiana  è una gabbia e un capestro, quello del fondamentalismo religioso, della povertà e dell’arretratezza culturale oltre che conseguenza di moltissimi anni di guerra. Ciò che rattrista maggiormente è ‘l’abitudine’  delle donne  a questo genere di maltrattamenti, che cominciano in giovanissima età e diventano una costante della loro vita, in Afghanistan, come anche in tutti quei paesi in cui l’occupazione di un esercito e la guerra fanno della violenza un metodo. L’Isis ne è una ulteriore riprova:  terrorizzare con la violenza e creare un’atmosfera di paura che consenta di tenere sotto sequestro, di fatto, intere  comunità. Ogni anno, secondo l’ Onu, sono almeno 5 mila le bambine, le ragazze e le donne uccise per “onore” in Afghanistan. Onore che in passato era solo legato a faccende d’ amore private e oggi sta trasformandosi in qualcosa che travolge la vita quotidiana.
Le donne protagoniste di Come un uccello in gabbia, narrano in prima persona le loro storie finché sono ospiti della Casa per donne maltrattate di Kabul e con le loro storie si animano le poesie di Nadia Anjuman.
Queste pagine non solo raccontano la tragica quotidianità vissuta dalle donne ma sono la preziosa concreta testimonianza di come le donne, a cui viene imputato come crimine il fatto stesso di essere donne, riescano, anche nelle situazioni più drammatiche, a proporre resistenza e democrazia dal basso, in modo decisamente diverso da quello dei loro oppressori.
Quanto ad  HAWCA è stata fondata nel gennaio 1999 da un gruppo di giovani afghane, ed è un’organizzazione formata da donne che gestisce, dal febbraio del 2004, una casa per donne maltrattate a Kabul, attività delicata a cui si sono aggiunti, negli anni successivi, due centri di assistenza legale (a Kabul e Herat) a favore delle donne più vulnerabili. Il mandato di HAWCA prevede di assicurare assistenza e protezione alle vittime di violenza, promuovere attività di sostentamento e microcredito a favore delle donne, promuovere i diritti delle donne, lavorare per garantire assistenza sanitaria alle madri e ai bambini, rispondere a situazioni di emergenza, promuovere programmi di adozione a distanza. .

– (…) quando sei triste dal profondo del cuore, diventi forte al raffreddarsi di ogni preoccupazione.-

Il ripetersi nei versi di espressioni quali aprire le labbra , aprire la mia bocca, sono una chiara presa di coscienza e una segnatura senza scampo di quanto gli uomini mettono in atto nei confronti delle donne, soffocando ogni loro  protesta e grido di disperazione.
Nadia invece  invita espressamente ogni donna a dire e a dirsi, a far luce davanti a tutti di cosa significa sentire il proprio sorriso spegnersi, cosa significa spegnersi alla vita.
Angoscia, oppressione, silenzio, sofferenza, fatica, mancanza di qualsiasi speranza, questo, tutto questo toglie la vita alle giovane afghane.

Nell’altro suo libro Fiori di fumo, frutto di una  antitesi fra il  sentire  libero da ogni  condizionamento ed il suo esistere, schiacciato invece dall’oppressione,
l’animo si riempie del suo essere vuoto, come l’abbondanza di una carestia, come a dire che nonostante tutti i divieti, anzi contro tutte le proibizioni, l’oscurantismo, la grettezza e l’inciviltà, la poesia riesce a sfuggire a qualsiasi tirannide e attraversa la pagina come un confine oltre il quale c’è la libertà sognata, ed esiste ed appartiene a tutte.

Fra le liriche di Nadia spicca “I am caged in this corner”, traduzione in inglese di Mahnaz Badihian:
Sono imprigionata in questo angolo / piena di malinconia e di dispiacere. / Le mie ali sono chiuse e non posso volare”.“

Oppure anche:

Verdi passi della pioggia / lungo il cammino, qui / vita assetata, come un lungo deserto di sale e polvere / il loro respiro, riflesso dell’acqua, bruciante / gole secche e polverose / lungo il cammino, qui / fanciulle, avvezze al dolore, corpi scoiati / i volti defraudati della gioia / cuori vecchi e spaccati / nessun sorriso sulle labbra / nessuna lacrima dal fiume prosciugato dei loro occhi / dio!! / non so, raggiungerà il loro grido senza suono le nuvole / fino all’universo? / sono i verdi passi della pioggia.
Cristina Contilli, ha curato la traduzione dei suoi testi dalla traduzione in inglese
di Badihian.E da lì che estraggo questi che seguono.

Che cosa dovrei cantare? / Io, che sono odiata dalla vita. / Non c’è nessuna differenza tra cantare e non cantare. / Perché dovrei parlare di dolcezza? / Quando sento l’amarezza. / L’oppressore si diletta. / Ho battuto la mia bocca

Agli esiliati  Nadia scrive così:

Oh esiliati dell’anonima montagna, / Oh gioielli dai nomi soffocati nella palude del silenzio, / Oh voi, di cui il ricordo pallido si è smarrito / nell’acqua torbida del mare della dimenticanza, / dov’è finita la limpida origine dei vostri pensieri? / Quale mano devastante si è portata via i vostri volti aurei?”. Anche “Catene d’acciaio” esprime l’incanto e lo sgomento, la grazia spaesata del suo animo candido e innocente di fronte alla brutalità e alla sordità dell’uomo: “Quante volte è stata tolta dalle labbra / la mia canzone e quante volte è stato / azzittito il sussurro del mio spirito poetico! / Il significato della gioia è stato / sepolto dalla febbre della tristezza.

Molta attenzione e ascolto ha dedicato Cristina Contilli alla parola poetica di Nadia e da questo ascolto e partecipazione è nata l’Elegia per Nadia Anjuman, a cura di I. Scarparolo e C. Contilli- Carta e Penna- Torino.

L’invito è di leggere, sentire,vedere, comprendere cosa significhi per una donna continuare a vivere in un paese dove tutto è contro di lei eppure è lei, il suo lavoro, la sua tenacia, la sua perseveranza e determinazione che ancora fanno di ogni paese distrutto dalla guerra un luogo dove fare casa e vivere.

fernanda ferraresso

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 thierry marchal

thierry marchal

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Leggimi – 2003

Non sorprende se il libro dei miei ricordi
ti porta a raccogliere scintille.
Non sorprende
se le mie poesie
lacerano il tuo velo nefando.
Con te sono più contenta.
I miei ricordi
chiamano a raccolta i tuoi.
È passato molto tempo da quando con la bellezza della tua voce
nella chiarezza dei miei canti
tu piangevi senza vergogna.
Leggimi,
perché il tuo bicchiere di avidità distruttiva
verrà riempito di vino
di un solo sorso della mia poesia.
Leggimi,
perché ancora ti ghermisce lo sconforto.
Così, ancora una volta, le nuvole nei tuoi occhi
parleranno di primavera.
Fai piovere quando vuoi,
fai piovere e con il lungo trillo delle parole
nella fredda terra del tuo petto
dagli vita
e allora
con un fischio del mio amore
cresci, sboccia e diventa primavera.
E io siedo sulla strada dei giorni
perché l’estate torna poco a poco; e ci conforta.
Io siedo,
e tu mi inviterai alla festa dei rami del tuo petto
per raccogliere una cesta
di mele rosse della vita.
L’estate arriva,
non è una sorpresa.

*

NESSUNA VOGLIA DI PARLARE

Che cosa dovrei cantare?
Io, che sono odiata dalla vita.
Non c’è nessuna differenza tra cantare e non cantare.
Perché dovrei parlare di dolcezza?
Quando sento l’amarezza.
L’oppressore si diletta.
Ha battuto la mia bocca.
Non ho un compagno nella vita.
Per chi posso essere dolce?
Non c’è nessuna differenza tra parlare, ridere,
Morire, esistere.
Soltanto io e la mia forzata solitudine
Insieme al dispiacere e alla tristezza.
Sono nata per il nulla.
La mia bocca dovrebbe essere sigillata.
Oh, il mio cuore, lo sapete, è la sorgente.
E il tempo per celebrare.
Cosa dovrei fare con un’ala bloccata?
Che non mi permette di volare.
Sono stata silenziosa troppo a lungo.
Ma non ho dimenticato la melodia,
Perché ogni istante bisbiglio le canzoni del mio cuore
Ricordando a me stessa il giorno in cui romperò la gabbia
Per volare via da questa solitudine
E cantare come una persona malinconica.
Io non sono un debole pioppo
Scosso dal vento
Io sono una donna afgana
E la (mia) sensibilità mi porta a lamentarmi.

traduzione dal ‘Farsi’ in inglese di Mahnaz Badihian
traduzione dall’inglese in italiano di Cristina Contilli

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thierry marchal

Thierry Marchal_paintings_artodyssey (8).

CONTILLI – SCARPAROLO – “ELEGIA PER NADIA ANJUMAN” – TORINO – EDIZIONI CARTA E PENNA

Il diritto di gridare

Non ho voglia di aprire la bocca
di che cosa devo parlare?
che voglia o no, sono un’emarginata
come posso parlare del miele se porto il veleno in gola?
cosa devo piangere, cosa ridere,
cosa morire, cosa vivere?
io, in un angolo della prigione
lutto e rimpianto
io, nata invano con tutto l’amore in bocca.
Lo so, mio cuore, c’e stata la primavera e tempi di gioia
con le ali spezzate non posso volare
da tempo sto in silenzio, ma le canzoni non ho dimenticato
anche se il cuore non può che parlare del lutto
nella speranza di spezzare la gabbia, un giorno
libera da umiliazioni ed ebbra di canti
non sono il fragile pioppo che trema nell’aria
sono una figlia afgana, con il diritto di urlare.

*

Verdi passi della pioggia

Verdi passi della pioggia
lungo il cammino, qui
vita assetata, come un lungo deserto di sale e polvere
il loro respiro, riflesso dell’acqua, bruciante
gole secche e polverose
lungo il cammino, qui
fanciulle, avvezze al dolore, corpi scoiati
i volti defraudati della gioia
cuori vecchi e spaccati
nessun sorriso sulle labbra
nessuna lacrima dal fiume prosciugato dei loro occhi
dio!!
non so, raggiungerà il loro grido senza suono le nuvole
fino all’universo?
sono i verdi passi della pioggia

*

La più pallida

Non tormentarmi, la serratura del mio cuore è chiusa
La statua del tuo desiderio non si trova
Lo scrigno della tua gentilezza è grande, è grande
Non riesce a farsi strada nel mio corpicino
La via che ci sta davanti è formata da due linee parallele
Significa che la storia di me e te non diventerà di noi due
Non descrivere i miei tratti, non mi inganno
La farfalla dalle ali bruciate non diventa bella
E’ inutile, non darmi speranza
Un cipresso che si è trasformato in ceppo non si innalza
Forse sei diventato il Messia, non colpire
Il dolore che va dritto al cuore, non è duraturo
La parola più pallida della raccolta è la mia vita
Nell’illeggibile scrittura curva e sottile
Lascia che non sia letta e muoia sconosciuta
Questa parola maledetta e senza senso.

*

Il canto più triste

Divento fumo nello spazio del mio credo
Lentamente mi avvolgo e mi anniento
Finché vengo allevata dalle mani dell’ansia
Nell’abisso del cuore i miei battiti aumentano
E quel battito intende conoscere la terra della fossa del tardi
Mi preparo al momento trascorso
A volte dall’amore arido e dal buon miraggio di una nuvola
Mi trasformo nel più arido deserto salato
Ma l’immaginazione dei miei occhi mi trasforma in acqua
Nel letto della morte per sete, mi trasformo in ruscello
Se arriva a me il capo di uno dei fili della speranza
Divento l’ordito nella sottile trama del cuore
Questo se n’è andato senza commiato, l’immaginazione mi porta via
Sono ancora io che mi riempio di ricordi
Anche la notte un po’ alla volta va per la sua strada e io
Divento il più triste canto d’addio

*

MAGARI

A voi, ragazze isolate del secolo
condottiere silenziose, sconosciute alla gente
voi, sulle cui labbra è morto il sorriso,
voi che siete senza voce in un angolo sperduto, piegate in due,
cariche dei ricordi, nascosti nel mucchio dei rimpianti
se tra i ricordi vedete il sorriso
ditelo:
Non avete più voglia di aprire le labbra,
ma magari tra le nostre lacrime e urla
ogni tanto facevate apparire
la parola meno limpida.

da Nadia Anjuman, Poesie scelte– Edizioni Carta e Penna.

*

Ricordi di un tenue azzurro

Voi esiliati della montagna dell’oblio!
Perle, nomi addormenti nella palude del silenzio
ricordi soppressi, ricordi di un tenue azzurro
nella memoria della melmosa onda del mare dell’amnesia
Dov’è la limpida corrente dei vostri pensieri?
La mano di quale mercenario depredò la dorata veste del vostro volto?
In questo tifone partoriente d’oppressione
dove è la timoniera luna, l’argentea barca della serenità?
Dopo questo purgatorio che partorisce morte
se il mare si calma
se la nuvola svuota il cuore dai rancori
se la figlia della luna si innamora, donerà sorrisi
se il cuore della montagna si intenerisce, nascerà verde erba
feconderà
Uno dei vostri nomi, in cima alle montagne
diventerà sole?
L’alba dei vostri ricordi
ricordi di un tenue azzurro
per i pesci sfiniti dall’inondazione
impauriti dalla pioggia ed oppressione
diventerà la scoperta della speranza?
Voi, esiliati della montagna dell’oblio!

*

La più pallida

Non tormentarmi, la serratura del mio cuore è chiusa
La statua del tuo desiderio non si trova
Lo scrigno della tua gentilezza è grande, è grande
Non riesce a farsi strada nel mio corpicino
La via che ci sta davanti è formata da due linee parallele
Significa che la storia di me e te non diventerà di noi due
Non descrivere i miei tratti, non mi inganno
La farfalla dalle ali bruciate non diventa bella
E’ inutile, non darmi speranza
Un cipresso che si è trasformato in ceppo non si innalza
Forse sei diventato il Messia, non colpire
Il dolore che va dritto al cuore, non è duraturo
La parola più pallida della raccolta è la mia vita
Nell’illeggibile scrittura curva e sottile
Lascia che non sia letta e muoia sconosciuta
Questa parola maledetta e senza senso.

*

Il canto più triste
Divento fumo nello spazio del mio credo
Lentamente mi avvolgo e mi anniento
Finché vengo allevata dalle mani dell’ansia
Nell’abisso del cuore i miei battiti aumentano
E quel battito intende conoscere la terra della fossa del tardi
Mi preparo al momento trascorso
A volte dall’amore arido e dal buon miraggio di una nuvola
Mi trasformo nel più arido deserto salato
Ma l’immaginazione dei miei occhi mi trasforma in acqua
Nel letto della morte per sete, mi trasformo in ruscello
Se arriva a me il capo di uno dei fili della speranza
Divento l’ordito nella sottile trama del cuore
Questo se n’è andato senza commiato, l’immaginazione mi porta via
Sono ancora io che mi riempio di ricordi
Anche la notte un po’ alla volta va per la sua strada e io
Divento il più triste canto d’addio

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SONO IMPRIGIONATA IN QUESTO ANGOLO

Sono imprigionata in questo angolo
Piena di malinconia e di dispiacere.
Le mie ali sono chiuse e non posso volare.

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Come un uccello in gabbia. Storie dalla Casa per donne maltrattate di Kabul .
Poesie di Nadia Anjuman

6 Comments

  1. “… io, in un angolo della prigione
    lutto e rimpianto
    io, nata invano con tutto l’amore in bocca….”

    Nel mondo i più devono ancora giustificare il loro essere nate (e qualche volta nati) .
    In questo risiede già tutto il male.

    La complicità di tutti gli apparati con le presunte tradizioni, che però vengono messe da parte negli affari e quando non fanno comodo ai più forti, impedisce una visione chiara dei soprusi.

    Questo articolo rende giustizia a Nadia Anjuman ma sappiamo che lasciando solo alla poesia la giustizia, nel senso alto del termine, come qualcosa che riguarda tutti, chi irride i meno difesi purtroppo vincerà.

    Grazie della proposta.

  2. “Sono imprigionata in questo angolo
    Piena di malinconia e di dispiacere.
    Le mie ali sono chiuse e non posso volare.”

    avere scritto di lei e di tutte le altre donne che, come lei hanno patito e ancora sopportano il peso di una INGIUSTA FALSA GIUSTIZIA, DI UNA ILLECITA RELIGIONE in cui uomini che sono di fatto ASSASSINI si prendono l’arbitrio di aministrare una parola che appartiene solo al dio che non è “loro”, vale a dire non gli appartiene nemmeno attraverso la parola, mi ha permesso di dire che sono presente, che non mi tiro indietro, che il mio dire e fare si muovono con il mio pensare attraverso ogni mio gesto, attraverso la mia vita, ed è questo, che intendo diffondere, questa presenza nel chiamare anche le altre, gli altri, ad essere presenti ad agire. f.f.

  3. Poesia e vicenda che tolgono le parole.
    Da una parte per l’intensità che scaturisce dai versi, dall’altra per la drammaticità della vicenda.
    Nino

  4. ciò che sempre mi sorprende è che siano le donne, non gli uomini, a patire cose di questo genere e non per aver commesso atti eclatanti, bestiali, feroci, come invece accade per gli uomini Vedasi questi tristissimi giorni) e che questo continui da lunghissimi anni senza che nulla abbia modificato il loro stare nella società di cui sono la forza lavoro più produttiva.fernanda f.

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