TRA LA PAROLA POETICA E LA MUSICA- Sergio Pasquandrea: Un giglio ti è cresciuto sulla fronte. Vinicio Capossela e John Keats

john williams waterhouse- the lady of shalott

 

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La difficoltà di adattare una poesia in canzone sta nel farlo senza forzare nessuna delle due: la metrica poetica da una parte, il ritmo e la struttura musicale dall’altra.
Secondo me qui Vinicio Capossela ci riesce con una delle più celebri poesie di John Keats: La belle dame sans merci, misteriosa e romantica vicenda di un cavaliere rapito da una donna (o una fata?) bellissima e letale. Capossela si mantiene molto fedele al testo originale, ma al contempo crea una canzone credibilmente “caposseliana”.
Il brano è tratto dal suo disco ultimo disco, “Ballate per uomini e bestie” (2019) e mi pare si adatti bene alle atmosfere pallide e freddolose di gennaio.

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La belle dame sans merci

Perché soffri, o Cavaliere in armi?
Non parti e non ritorni, indugi qui da solo
Sono avvizziti i giunchi in riva al lago
E nessun uccello più canta o prende il volo

Perché soffri, o Cavaliere in armi?
E pallido indugi desolato
Il granaio è pieno e il raccolto è già ammucchiato
E l’inverno eccolo è arrivato

Un giglio ti è cresciuto sulla fronte
Sulla rugiada che te l’ha imperlata
La febbre che ti accende il rosso delle guance
Ti ha reso rosa sfiorita senza filtro

Vagando i campi incontrai una donna
Di bellezza smisurata, figlia di una fata
I capelli aveva lunghi e il passo leggero
Gli occhi aveva di selvaggia fiera

Per il suo capo feci una ghirlanda
E poi bracciali e un profumato cinto
Lei mi guardo proprio come se mi amasse
E l’aria con un gemito percosse

La misi in sella sopra al mio destino
E altro più non vidi per quella giornata
Che la sua vita dondolarsi nel cantare
Una canzone sua dolce di fata

Trovò per me radici di piacere
Favi di miele e stille di manna
Di sicuro in quella sua lingua di lontano
Disse, “È vero e certo che ti amo”

E mi porto nella sua grotta di elfi
E pianse e quando pianse sospirò
E allora i suoi selvaggi occhi
Io chiusi con la croce dei miei quattro baci

E fu lei che cullandomi nel sonno
Mi addormentò, oh me sciagurato
Nel sogno a lei affidato
Sognai l’ultimo sonno
Nel fianco del monte ghiacciato

E vidi cerei re e principi del mondo
Pallidi di lutto e di morte
La bella dama – dissero – che non ha pietà
Ha in pugno la tua sorte e la tua età

E vidi labbra bianche sopra i denti
Torcersi in orrende grida
Dal sonno mi svegliai nel freddo abbandonato
Nel fianco del monte ghiacciato

Ed ecco dunque perché qui dimoro
E resto e indugio e indugio qui da solo
Non so più partire, incantato ad aspettare
Chi mi tolse il sogno dal cuore

Ed ecco dunque perché qui dimoro
E resto e indugio e indugio qui da solo
Anche se sono avvizziti i giunchi in riva al lago
E nessun uccello più canta o prende il volo
Nessun uccello più canta o prende il volo

 

video – https://youtu.be/juQZXE1usaU
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Buon ascolto

Sergio Pasquandrea

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