LAURADEILIBRI- Laura Bertolotti: A proposito di “Madri gotiche” di Patrizia Busacca

grant devolson wood- american gothic

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La prima sensazione conseguente alla lettura di Madri gotiche, di Patrizia Busacca,  è di tristezza, perché il dolore viene ampiamente visitato nelle sue forme di malattia, incuria sanitaria, abbandono e carenza affettiva. Eppure non è la sensazione che rimane perché il pensiero va immediatamente dopo alla ricchezza di argomenti trattati, dall’amicizia tra donne ai riferimenti letterari, passando per i viaggi e la manualità creativa. Il libro esce postumo e questo aspetto comporta una sfasatura costante tra la narrazione, intrisa di ottimismo, speranza e determinazione e l’epilogo scritto dal  marito e curatore, Alessandro Bencivenni, che esplicita di voler dare compimento alla scrittura della moglie, una sorta di «prodigio retroattivo» per dare alle sue pagine «il significato luminoso di un lascito».
Sono due i filoni principali del libro, alternati con un movimento che prescinde dall’ordine cronologico per soffermarsi invece sui dettagli delle esperienze. Un tema importante è la malattia personale dell’autrice, narrata con precisione clinica, senza nascondere nulla, che l’ha impegnata sul fronte della resilienza per lunghi anni tra interventi, terapie invasive e ricadute inaspettate. E l’altro è la storia della zia Lidia, internata appena adolescente e praticamente cancellata dalla narrazione familiare. Su tutto aleggia e ritorna con sottolineature frequenti il rapporto conflittuale e irrisolto con la madre, definita anaffettiva, come già la nonna materna che decise il destino di Lidia.
«Ho passato la vita a cercare di sfuggire quella che io chiamo la maledizione delle madri gotiche; queste figure tristi e depresse che hanno attraversato la mia infanzia e la mia giovinezza e che hanno condizionato con la loro negativa influenza le vite degli altri familiari. Ho lottato con tutte le mie forze per non avere la loro stessa visione della vita. Non volevo che la maledizione si perpetuasse. Infatti, se mia madre ha sopportato l’indifferenza di mia nonna che si era rinchiusa nel suo aspro dolore, a causa dell’internamento della figlia, anche io ho pagato ogni giorno il mio dazio all’infelicità, dacché è nata mia sorella […] il fatto di essere sana e di non aver avuto i problemi che mia sorella ebbe appena dopo la nascita, divenne per me un fardello molto pesante da portare. Forse lo stesso che mia madre aveva sentito su di sé e che mi ha rovesciato addosso in un tentativo salvifico».
L’autrice, già giornalista televisiva,  esplicita in questo testo il desiderio di lasciare traccia della storia della zia e con tale spirito affronta la volontà di diventarne tutrice legale e l’impegno a farle visita, non come obbligo ma come risarcimento affettivo, e poi affronta lo studio dei fascicoli medici e le interviste senza risposta alla madre e agli zii. Si ripercorre tutta la storia della Legge Basaglia nel racconto di Patrizia Busacca, con tutti i lacci e i freni imposti dalla burocrazia, dalla resistenza a cambiare delle strutture  ospedaliere all’impreparazione delle persone preposte al funzionamento del nuovo ordine. Così per decenni la zia Lidia è passata  attraverso cure tremende, sedazione e contenzione, con il risultato dell’annullamento progressivo della sua  personalità e la cancellazione dei suoi diritti civili. È tuttora viva, sopravvissuta a Patrizia e anche questo dettaglio risulta spiazzante e fa riflettere sulla casualità della vita.
Nella narrazione non ci sono filtri neppure nel parlare di cancro,  dalla difficile accettazione della diagnosi ai dettagli degli interventi, nell’alternanza di speranza e delusione, senza arrendersi mai. Ma più la volontà  di Patrizia si impone sulle cure, più ci si sente investiti di impotenza come lettori e lettrici.

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opere realizzate da patrizia busacca

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«Hai il diavolo in corpo e te lo devi estirpare. Così da persona sicura di te che ha tutto sotto controllo, una propria vita, un proprio lavoro, degli affetti, diventi improvvisamente una paziente che deve affidarsi a qualcun altro per salvarsi la vita […] Non rimane altro, dunque, se non fare i conti con il proprio corpo che ora avverti nella sua parte estranea e ti chiedi perché, ancora una volta, sei messa di fronte a una prova. Non pensi realmente che morirai ma pensi che ci può essere questa possibilità a causa di un errore umano durante l’intervento chirurgico e hai da subito solo un pensiero: non devi lasciare niente al caso e dovrai programmare questa fase della tua vita. Sai da subito che vuoi fare testamento biologico perché non vorresti mai rimanere a vegetare in una sala di ospedale, fai il testamento vero e proprio e sei angosciata all’idea di lasciare tuo figlio. Ha nove anni e ti sembra ancora un cucciolo grande e grosso da coccolare e proteggere».
Senza enfasi, ma con una forza empatica che le derivava da non facili vicende, Patrizia, a un certo punto, decise di dedicarsi soprattutto alla sua famiglia, coltivando gli affetti più cari, senza perdere altro tempo. Scriveva di quando in quando un articolo, collezionava opaline, confezionava preziosi bouquet  di perline, secondo un’antica tecnica veneziana, e si dedicava allo studio della progettazione di interni. Non abbandonò mai i viaggi nell’amata Provenza, in vacanza,  e negli Stati Uniti, per motivi di cure. Proprio visitando l’Art Institute di Chicago, nell’ammirare il dipinto “American Gothic” (Grant Wood, 1930) si ripromise di rompere la “maledizione” parentale,  mettere fine al suo bisogno di amore materno e raccontare la storia della sua famiglia.
Questo intenso memoir  ci conduce in spazi scomodi di riflessione, non è libro che si dimentica facilmente, costringe  a ripensare le nostre priorità alla luce di argomenti che rimuoviamo dal nostro quotidiano: malattia e morte, così poco glamour e poco utili per lavorare, produrre, divertirsi.
«Ho imparato a vivere. Intendiamoci, con i problemi oncologici non si sa mai. Adesso sembro quasi guarita ma tra qualche mese o anno potrei ammalarmi di nuovo e tutto ricomincerebbe da capo. Però tutto ormai ha un sapore diverso».

Laura Bertolotti

 

Patrizia Busacca, una storia di famiglia. E di cancro

“Sono nata guerriera – scrive di sé nel prologo Patrizia Busacca – ma non sapevo a quale esercito appartenessi. Poi, il 3 settembre del 2007, me lo ha svelato il mio corpo. Mi sono risvegliata dalla mastectomia e ho preso atto di quello che cercavo di comprendere da una vita: sono un’amazzone”.
Giornalista di sport, spettacolo e cultura, arredatrice d’interni, artista, avendo creato decine di oggetti con un’antica tecnica di ricamo con le perle di vetro. Ed è stata una scrittrice. Non ha fatto in tempo a vedere pubblicato il suo libro perché il tumore l’ha portata via. Però ha fatto in tempo a finirlo. “Madri gotiche”, questo è il titolo del testo, curato da Alessandro ed edito da Linea edizioni, che Patrizia ha scritto.

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Patrizia Busacca, Madri gotiche – LINEA edizioni 2020

 

 

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