punta sabbioni-cavallino
InMERsi, così viviamo tutti, tutti noi, che crediamo di avere i piedi per terra, somMERsi da un mondo vacuo che ci cancella con onde di creta o meglio con un cretinismo mediatico che soffoca la capacità di riconoscimento, il sentire diretto di un’appartenenza ad un mondo che parla per immagini tras-parenti verso le quali abbiamo perso però famigliarità. Noi, umanità compressa in dettati di logiche commerciali e consumistiche, in cui il mare non è il luogo della nascita originaria, ma solo il tempo di vacanza, soprattutto da sé stessi, appiattita sulla sabbia a tingerci di marmellate abbronzanti e non a godere di tutte quelle voci un tempo provenienti dalle dune, scomparse nella tragica notte di novembre in cui il mare allagò tutto e tutto si portò via, case, cose e spiagge.
Terre d’acqua è una silloge che si distende tra l’interno e l’esterno di una terra ormai senza tregua, dove le vacanze di pochi giorni non consentono di gustare la relazione con il luogo di cui l’autrice scrive e che non è solo luogo esteriore ma soprattutto della propria interiorità, che insieme non l’esterno si fa interamente terra da abitare e vivere, in una continua mutazione di luce. Cavallino Treporti, terra d’origine dell’autrice, è una striscia di terra lungo l’Adriatico, una lingua che si parte dalla bocca della laguna a nord di Venezia, e ti permette di camminare su una superficie che si fa liquida dentro chi l’ascolta, scivolando dentro di te in respiri d’acqua che aprono lo spazio dentro la propria oscurità.
D’oro e di luce ti bagnerei lo sguardo,
improvvida luce del nostro primo
sentire, terra madre sbocciata dai polsi
di un piccolo nulla che in sé appalesa
tutti gli eventi.
Nuda, gloriosa, vortica l’acqua
delle nostre radici sull’orlo vivo
del tempo se al collo indossa
la vivacità di una corte di foglie
e di uccelli
dall’acqua raccolgo il mio volto
sfiorando l’asfalto, sfida i limiti
dell’emotività l’imperativo
a svettare e chissà cosa si cela al di là,
cosa riluce nel grumo violetto
di piume e cementi, quale solitudine
accesa alle palpebre chiuse.
Nelle quattro sezioni che compongono la raccolta, Radici, Cieli di voli e di assenze, Nutrimenti, Le parole per dirsi, i luoghi reali che hanno impaginato nell’autrice le voci dei versi ci trascinano come le acque in un mondo di terre e di luci sommerse tra le correnti, che sono lontanissime altre realtà, fuori dai circuiti di questa asfissiante surrealtà quotidiana.
E mi ritrovo altrove nello stesso luogo, che è il labirinto continuo, che ogni precedente allarga in cerchi, tutte le età che ho vissuto, anche prima di nascere qui, che mi radunano, tra dune di sabbia, acqua marina e fossi e canali, fiumi d’acqua piovana e, sovrana, una verde rigogliosa ombrosa natura, rigurgitante memorie, storie, in cui il corpo fisico, in cui mi riconosco, si intinge e s’impregna d’onde sonore e acquitrini di bagliore. Un’immersione senza fine, da cui non puoi riprendere fiato se non riconoscendoti un essere del travaso: dalle acque uterine a queste della madre, terra e marina, in cui riconosci l’andamento dell’ evolversi in sé stessi, anche se l’effetto spaesamento è sempre lì ad attenderti proprio come quando percorri il labirinto e non sai mai di preciso dove ti trovi, e gli uccelli che ti sorvegliano dall’alto comunque nulla ti dicono relativamente a dove dirigere il tuo passo in quelle terre di cielo e acque.
Il resto è pace, un senso, un’idea
nel fondo intatto d’isole bastanti
a se stesse.
Il resto è quiete guizzata in gola
da una fulgida luna di rotondi silenzi
prima che nel dispendio di sé
l’acqua per una via ai più segreta
– dal granato del sangue al rosso
rubino della carne – sia solo
una febbre di nebbie, di un dire
già detto il lieve rimpianto
o quel sostare felice, se siamo
già altro, nel fitto cangiante
di verdissimo verde, stupefatto
presente che ci allinda
e c’illanguidisce.
Quanto alle memorie che ho rivissuto, legate alla mia infanzia, e disperse in quei luoghi, non i riferimenti geografici, le mappe, le strade ma le vie d’aria, le sospensioni tra le nuvole, le luminosità variabili, i fruscii delle onde, i vapori, le nebbie, tutto questo e altri dettagli affatto insignificanti hanno ripreso terra in me, tra le righe di questi ampi versi.
Fernanda Ferraresso
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Nota bibliografica
Donatella Nardin è nata e vive a Cavallino Treporti (Venezia). Appassionata da sempre di lettura e scrittura, soprattutto poetica, solo negli ultimi anni ha deciso di dare visibilità ai suoi scritti partecipando a vari concorsi letterari con risultati gratificanti. Le sono stati infatti attribuiti numerosi premi e riconoscimenti – un centinaio – nelle varie graduatorie concorsuali. Nel 2014 ha pubblicato la sua prima silloge poetica In attesa di cielo (Ed. Il Fiorino), nel 2015, con la stessa Casa Editrice, la raccolta di liriche Le ragioni dell’oro. Molte sue poesie e alcuni racconti sono stati inseriti in Antologie di Concorsi Letterari, in raccolte collettanee di Case Editrici come LietoColle e Fara (cfr. la recente antologia dei vincitori del concorso Pubblica con noi 2107 intitolata Gymnopedie, Architetture e altre opere belle in cui si trovano alcune poesie della presente raccolta), in riviste del settore e in siti on line dedicati.
Donatella Nardin, Terre d’acqua- Fara Editore 2017