UNA TERRA TUTTA GIALLA- “La casa degli scemi” di Anna Maria Farabbi- Note di lettura di Fernanda Ferraresso

Una “collana” tutta gialla é il risultato di una scelta originale in cui una casa editrice, LietoColle, e un festival di letteratura e poesia,  pordenonelegge curato da Gian Mario Villalta, hanno promosso un cammino di condivisione e promozione della parola e della scrittura poetica.
Il giallo, oggi, viene legato, nel vasto orizzonte del panorama letterario, ad una particolare produzione ma, se ritorniamo alla simbologia e al significato psicologico del giallo, troveremo che questo colore nella nostra società ha significati che indicano: saggezza, immediata visibilità e associazione intuitiva con la luce solare e dell’energia. In certi paesi il giallo è associato ai mezzi di trasporto, i taxi gialli, gli scuola-bus. Altre volte indica un primato: la maglia gialla nelle competizioni. Se pensiamo che appunto la luce gialla o bianca del sole investe e regola la sintesi della nostra linfa vitale, allora possiamo anche dire che addirittura il colore giallo in qualche modo regola il battito cardiaco e la pressione corporea. Penso perciò che la scelta del colore della collana, che “matura” in GIALLO ORO, come nel caso del libro della Farabbi, con cui apriamo la nostra sezione specifica, sia assolutamente azzeccata perché sintesi di tutte le qualità e caratteristiche prima descritte relativamente al giallo e proprio per tutti questi motivi intendiamo fare anche nostra la loro proposta divulgando in Cartesensibili, i testi a nostro avviso validi, ospitandone le perle come semi fertili e prolifici in UNA TERRA TUTTA GIALLA, questo il nome della sezione, proprio come un campo di messi.
Il primo seme che raccogliamo è di fatto già una spiga matura, ricca, corposa, vigorosa. Ha in sé la vitalità e la carica esplosiva di una energia che le deriva dall’aver accolto luce di molti luoghi e fertilità dalle profondità della meditazione in sé, dall’aver ascoltato le storie che il vento, come un abile sciamano e guaritore, ha trasportato nel suo corpo, spesso viaggiando tra terre emerse di non facile cammino e grotte d’aria, in profondità moreniche e faglie, tra le saline come cristallografie di oceani in cui la mente può perdersi, come nei meandri labirintici delle nostre emozioni, o nelle grotte di parole fossili e in gocciolatoi di acque salienti, con occhi come ponti, gettati tra spazi che oggi non vediamo ma ci abitano, da un tempo che sembra ieri ma è materia di bacheche di storia mandata a memoria senza comprendere il senso con cui quella memoria è tessuta da tutte le nostre storie, e chi diciamo altro altri non è che noi, caduti e riemersi tra i  flutti del fiume che la vita accoglie e frana.
Per questo definisco questo libro, La casa degli scemi, come il diario di una saga, nel senso originale di dire, familiare, all’interno di un tempo che è di questo secolo ma in cui principiano e si rispecchiano la storia e il destino di tutto un popolo, senza distinzione di nazione, perché è un unico paese flagellato la terra, in questo affresco che per fascino ed emozione ne rammenda al proprio corpo le tante guerre, intime e di classe, sempre di potere, agito su di sé o  gli altri. Nello specifico del libro l’affresco apre la sua lente su un dettaglio che poi, lungo il percorso, da adesso a un prima, torna ad un ORA , che trova le tracce indelebili della nostra storia comune. Un qui specifico è di fatto la stessa terra di coltura per bacilli  e virus che si sono sparpagliati in tutto il pianeta producendo i medesimi orrori e le medesime infamie.
Cerco di spiegarmi meglio anche se non vorrei rubare ai lettori di questo libro la bellezza del loro specifico viaggio, all’interno di questa lunga impronta messa alla luce dalla parola terremotofalò e spiga , che l’autrice mette in campo esponendo se stessa come mai prima aveva fatto, addirittura con forza, oltre che con onestà e chiarezza, con schiettezza e una secchezza verbale in cui la parola dice la presenza. Io, qui, non è l’io egotico e narcisista che si guarda allo specchio di una qualsiasi vetrina come spesso oggi è abitudine fare, soprattutto tra gli autori e i sedicenti tali, ma è il senza nome, l’ambulante,  che risponde alla chiamata che gli viene fatta  ( Mi hanno chiamata: sono andata.) La prima cosa che la parola di Farabbi fa è agire un terremoto interiore e lo fa mostrandone uno fisico, materico:  – A Arquata, tra le macerie, durante le scosse del terremoto, i morti e i sassi si muoveveano più dei vivi. – Così scrive  ne il fatto e il passo seguente, dopo il terremoto, vissuto in se stessa in prima persona, la porta alla perdita di sé, la porta ad indossare gli abiti di un uomo, perché il terremoto rovescia la terra interiore fino alle profondità là dove stanno nascoste le radici dimenticate di noi stessi, e la memoria deve essere ritessuta, filo per filo, trama per trama, fino ai luoghi più oscuri o oscurati di noi.

 Anna Maria Farabbi, testo tratto da La casa degli scemi- LietoColle ed.  pag 13

 

 

E’ lei stessa ad aprire “la cancellata”, non uso a caso questa parola, perché cancellata è la nostra memoria, con una nota ai lettori relativamente al suo percorso, verso  La casa degli scemi.  Si definisce recuperante, proprio come quegli uomini addetti al recupero dei  materiali rivendibili e corpo di bombe cadute durante le operazioni di guerra.  Il suo recupero però è molteplice: viene recuperata la lingua, la tessitura dei diari come oralità che si fa segno e dettato a chi scrive per l’analfabeta,  una lettera che, in tempo di guerra, ha una intensità e una precisione molto più efficace del tiro con cui le bombe degli obici colpivano gli obiettivi. La parola entra come aria che si respira, ma nel sangue esplode le sue mine in prodigi di luce e oscurità. I diari dal fronte, soprattutto della prima grande guerra, di cui ancora si mantiene la traccia trascritta sui libri di storia e mandata a memoria, è una ferita viva, occupata dai cadaveri di troppi giovani della terra. Quella guerra indetta per porre fine a tutte le guerre ha di fatto aperto un capitolo ininterrotto fino ai nostri giorni, per gli innumerevoli attacchi da questo o quel paese verso altri che non sono nemmeno confinanti. La morte sconfina e scompagina la terra di ognuno senza più alcuno scrupolo, senza sentire come propria la morte e la perdita di ogni essere vivente. Oggi è come dire ieri perché ancora si muore,  ancora si muore per fame, per malattia, ottimo focolaio per le guerre biologiche e batteriologiche. Oggi si muore per un clima folle che è climatologia della vita di noi tutti, procurando deserti non solo geografici ma interiori così profondi da non poter trovare altra soluzione che il suicidio. E troppi sono i giovani che lo praticano, con modalità che non concludono diversamente il loro obiettivo. La grande guerra oggi ha così tanti fronti, e versa i suoi veleni in fiumi di parole dalle trincee che sono la vita di noi tutti, ingigantendo a dismisura un dolore e una follia che scarnifica la nostra umanità. Questo libro va a recuperarla, con passo lentissimo, ma forte, penetra la terra e ne fa sua carne, alfabetizzando un dolore così vorace che solo l’analfabetismo letterario e la parola di un uomo versatosi in pagine acute  ne ha fatto diaria e diario di un uomo senza nome, un maestro  che insegna come un ambulante, libero da ogni ideologia e vacuo esibizionismo, perché questo è la conoscenza, un errare continuo, tra innumerevoli tu sradicati dall’egoismo e dall’egotismo di un io multiforme per acce(n)dere (ad) un altro io, capace di cogliere un seme di salvezza per cui l’umanità sopravviva.

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 Anna Maria Farabbi, testo tratto da La casa degli scemi- LietoColle ed.  pag 20- 21

 

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Quello che Farabbi fa dunque emergere, dal terremoto che smuove il nostro primo e più profondo, intimo, st(r)ato è un polit(t)ico mai subalterno se non alla vita stessa, imbracciata, amata appassionatamente vissuta e raccolta, parola per parola come un fiato di voce che è respiro che si addensa facendo nel tessuto dei sensi l’unico vissuto possibile in una anarchia di pensiero che si slaccia di dosso i pesi inutili e voraci di un mondo che non sa cosa sia esistere, stabilendo una relazione continua con gli altri, tutti gli altri e i luoghi, che ci sono familiari. Le lettere e i diari dei soldati, di entrambe le guerre rimaste famose per l’orrore, sono testi di una comunicazione intima e diretta, che passa da uno spazio all’altro di un unico territorio che è casa, ed è famiglia. Il soldato subalterno, che solitamente prima di essere chiamato in guerra faceva il contadino o l’artigiano o l’operaio, si rivolgeva senza nessuno scopo letterario, ai suoi diretti famigliari, per difendere quel ponte comunicativo che il conflitto in un istante poteva irreparabilmente interrompere. Con questo stesso scopo, penso, comunica alla propria grande famiglia umana Anna Maria Farabbi vestendo gli abiti di quest’uomo, ricucendone direttamente al suo corpo molti fili vitali, intrecciando pensiero, parola, scrittura e gesto in un solo atto realmente attestante il suo impegno umano e civile, per questo in sintesi politico.
La mappa del cammino, anticipato in apertura del libro, è un tracciato percorso sia dagli uomini che dai quaderni, perché questo sono in definitiva tutti i libri, e prima ancora le scritture degli uomini, su quaderni che hanno ampiezza ben maggiore di una pagina, praticando ogni nostra scelta un ambito che è terrestre ma organicamente un tessuto con profondità che accoglie tutta la terra, ivi compresa la nostra interiore. L’anarchia più profonda di cui partecipiamo è in fondo questa, quella che la natura maestra ci mostra così mirabilmente da non accorgercene tanto è dentro i nostri occhi viva e presente e, scambiandola per pensiero, ci denuda del corpo, magnifico attrezzo per la tessitura che Penelope-Farabbi ha usato e ora rinsalda, ancora più profondamente, alla tela di Gaia per tra-man-dare  memoria che supera tutti i libri della storia.

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 Anna Maria Farabbi, testo tratto da La casa degli scemi- LietoColle ed.  pag 13

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Scemi venivano chiamati i soldati colpiti da psicosi e nevrosi che, tornati dalla guerra o recuperati in guerra, venivano chiusi in manicomio e sottoposti a trattamenti spesso crudeli. Gli scemi di guerra erano forse, anzi certamente, solo la punta emergente e visibile di un male più profondo, una follia che scorre tra le linee di rottura di terremoti geografici e fisici , come se la terra su cui abitiamo e in cui siamo ospiti di noi stessi,  fosse un continuo senza fine. Noi tutti siamo militanti della vita, il conflitto tra gli esseri, tutti gli esseri, non è un conflitto di interessi, ma è il nodo imprescindibile da cui iniziare il nostro lavoro di cura e salvataggio da patologie alienanti e da manifestazioni isteriche, che lasciano nella mente dei colpiti segni indelebili e spesso insanabili. Come ho già detto la guerra oggi come ieri non è solo intorno ma dentro ognuno di noi e nessuno può dimenticare l’altro in cui si guarda continuamente allo specchio, in cui la società come uomo collettivo, che si dice civile, non può non vedere le ferite di tutti: corpo e anima di una terra che sconfina sempre tra noi stessi ma è l’unica per cui vivere abbia realmente un senso. La casa degli scemi di Anna Maria Farabbi è una casa degli specchi, dove la luce delle parole ustiona chi l’ascolta senza reticenza e tatua una voce piena, perché viva, vibra di partecipata umanità e inevitabilmente ci porta alla domanda conclusiva: chi abita la casa degli scemi? Chi sono davvero gli scemi? La poesia di questo libro non scrive un poema ma è la valvola mitralica che ci vive il corpo, e lo afferma ad ogni battuta non come una pagina, ma come una raffica sventaglia dell’essere: intera.

fernanda ferraresso

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 Anna Maria Farabbi, testo tratto da La casa degli scemi- LietoColle ed.  pag 24- 25- 26- 27- 54- 55 – 67- 68- 69-76-77- 84-85

 

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Anna Maria Farabbi, La casa degli scemi- LietoColle Editore- Collana Gialla Oro/ pordenonelegge- 2017

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Riferimenti in rete: http://www.lietocolle.com/cms/wp-content/uploads/2017/07/Anna-MAria-Farabbi-la-casa-degli-scemi.1.pdf

5 Comments

  1. Il ‘secolo breve’ ha ombre lunghe. Le atrocità commesse nei campi di battaglia non si sono per nulla fermate sul gradino del nuovo millennio. Le ferite sui corpi dei fanti sono diventate nevrosi, Jung scriveva che le nostre malattie sono il segno della scomparsa degli dei dalla nostra vita. Ares però sta tornando a reclamare la sua fisicità e lo spavento torna ad essere reale nelle città d’Europa, in esplosioni e raffiche reali. E’ assai interessante quando Fernanda scrive di come i cambiamenti climatologici creino deserti anche psichici: paesaggi interiori e naturali corrispondono e si intrecciano. Sarà sempre più così. La forza della scrittura di Anna Maria Farabbi testimonia l’urgenza della diversità e dell’eresia che da un campo individuale devono proiettarsi nel sociale e nel politico, per tessere trame tra chi ha ancora la forza di recuperare e porre di fronte al potere lo scandalo di un’esistenza non omologabile. Se scagliassimo diari, poesie come pietre… ma in me si forma l’immagine di una pietra che nel gettarsi diventa spugna… Ma una spugna è così inoffensiva? Assorbe, rilascia l’acqua di cui si intride, deterge il sangue dei feriti e il sudore dei malati. Trattiene quando tutto oggi viene lasciato nel giro di un momento. ” La casa degli scemi” è una spugna pietra, riflessione urlata, oralità seminata su una pagina, libro che si mette in cammino. La lettura di Fernanda è coinvolgente, profonda, essa stessa tellurica.

  2. appassionata intensa lettura di una voce che scava tra le macerie e ne tira fuori parole che vengono da lontano pur essendo sempre state tra noi: leggendole le riconosco mie, mie sorelle, mie amiche mie storie dolorose e felici. Prendersi cura è dare e ridare vita alle cose. A noi. Grazie.

  3. In un tempo culturale e letterario così asfittico e poco generoso, è bello incontrare una riflessione su un testo altrui così forte, appassionata, profonda. Come dire che leggere a fondo e leggere anche l’incrocio col mondo e la storia e leggere l’intenzione e leggere l’effetto della poesia è ancora praticato. Grazie, Fernanda. Conosco la Casa degli scemi e le mie riflessioni trovano nelle tue conferma e stimolo. Mi permetto qui solo di sottolineare una particolarità che mi è venuta in mente leggendo le riflessioni di Simonetti per diversi numeri della Domenica del Sole24ore sulla situazione della letteratura italiana. Tra le tante altre osservazioni, è rilevata una tendenza in narrativa e anche in poesia ad incorporare, usare, costruire forme linguistiche e strutturali che vengono dall’uso comune, dal parlato, di sicuro molto semplificate rispetto al ‘letterario’ di tanto Novecento, ma che soprattutto ricalcano forme specifiche di ambiti comunicativi diversi come la pubblicità, il cinema, il gergo giovanile o di settore, i social, ecc. Innovazione, ricerca, ma anche rischio di impoverimento, là dove, ad esempio, il venir meno di certe forme sintattiche ‘complicate e letterarie’ potrebbe cancellare forme mentali di riflessione incentrate sull’ipotesi, sulla complessità del tempo (che è fatto di tempi), sui resti del ‘reale’ (le ‘eccezioni’, le ‘salvaguardie’, le coesistenti antitesi dei ‘benché’, ‘nonostante’, ‘eppure’, ‘purché’, ecc.). o dove le forme nuove non siano finalizzate ad un approfondimento della ricerca nel dire, ma ad un’esibizione accattivante di attualismo. La Casa degli scemi presenta varie novità rispetto al tradizionale strutturarsi della poesia e della narrazione in poesia. Tra le altre: la vicenda di Bruno è presentata con un taglio delle ‘scene’ cinematografico e con un altrettanto cinematografico montaggio. Che alleggeriscono, certo, lo snodarsi degli eventi, ma che soprattutto, come DEVE fare la poesia, focalizzano sul particolare che conta, apre, riassume, dice di più. E ancora: l’io biografico particolare, e verissimo e fisicissimo, di chi scrive entra direttamente nella trama, nè è parte essenziale. Maniera frequente in tanta narrativa e poesia contemporanea. Solo che qui, se entra molto concretamente con un fare agito ed intenzionale precipuo di Farabbi, che è di Perugia, che va nelle classi dei bambini a portare poesia, ecc., non ci entra però diaristicamente, o a caso, o in particelle qualsivoglia della vita e qualsiasi del valore. Entra l’io perugino che si è formato nell’insegnamento di Capitini; che si muove verso “quelli che gli altri definiscono ultimi” (terremotati, sordi, matti ni, anoressiche, ergastolani, ecc.) perché si rifiuta di considerarli ‘ultimi’; entra la biografica persona che crede nella potenza della poesia di aprire porte tra i ‘tu’, di svegliare “la vena aurifera sul volto/ di un montone o del demente del villaggio”; entra l’intenzione etica al lettore e al mondo di un io che considera l’impegno dell’essere-in-poesia coincidente con quello dell’essere-nella-vita. Biografico, l’io, ma assolutamente non minimale non vuoto non amorfo. E nemmeno autocentrato, ipertrofico. Un io – in tal senso antico – eticamente impegnato, e fortemente parte del ‘noi’ corale-sociale, e rischiosamente politico.

  4. Sto leggendo questo splendido libro, inebriata dal suo pathos e dalla sua bellezza linguistica che risulta scarna, diretta ed essenziale eppure ricchissima di echi e significati. Brava, bravissima Annamaria Farabbi. Forse questo il suo libro che preferisco!

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