PALINSESTI DI MEMORIA. Un hapax dell’iconografia della manuum velatio nella chiesa dei Ss Cosma e Damiano- Raffaella Terribile

tempio di romolo e chiesa dei santi cosma e damiano- roma

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A pochi passi dal Foro Romano, dal Palatino e dal Campidoglio, quasi defilata su un lato di via dei Fori Imperiali, sorge la Chiesa dei Ss. Cosma e Damiano. 

La struttura architettonica appare oggi composita per le vicende legate alle pagine della sua storia. Durante il grande incendio di Roma del 64 d.C. la maggior parte degli edifici pubblici del lato nord del Foro Romano andò distrutta e dopo la vittoria nella guerra giudaica l’imperatore Vespasiano realizzò qui il Foro della Pace, un grande complesso con tempio, giardino, fontane e un’aula rettangolare, la Biblioteca Pacis. All’inizio del IV secolo l’imperatore Massenzio innalzò a fianco della Biblioteca una rotonda con un ingresso monumentale sul Foro Romano, ancora visibile oggi anche dall’interno della chiesa, coperta con una delle più grandi cupole realizzate a Roma nell’antichità. L’antica porta di bronzo, aperta sulla Via Sacra, è tra i pochi esempi conservati da allora e mantiene anche oggi la sua funzione. Secondo la tradizione, la rotonda era anticamente chiamata Tempio di Romolo, in memoria del figlio di Massenzio, morto all’inizio del IV secolo. Con la caduta dell’Impero Romano, sia la biblioteca che la rotonda sono state abbandonate, seguendo la sorte di tutti gli edifici di culto pagano decretata dall’editto di Tessalonica dell’imperatore Teodosio II. Nel 526 papa Felice IV ottenne dal re Teodorico di poterne disporre e decise di unirli e convertirli a uso religioso. Sorse così il primo luogo di culto cristiano nell’area del Foro Romano, da secoli dedicata alle funzioni civili e alla celebrazione del potere imperiale, vero simbolo della civiltà romana pagana.

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planimetrie tempio di romolo e chiesa ss.cosima e damiano

esterno della basilica e dettaglio ingresso

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Il pontefice dedicò la chiesa ai Ss.Cosma e Damiano, i due medici originari dell’Asia Minore che subirono il martirio nel 303 a Egea, e per questo motivo è conosciuta anche come “Basilica beati Felicis“. Le loro reliquie furono poi trasportate a Roma e disposte sotto l’altare inferiore della chiesa. Nel Medioevo la basilica dei Santi Cosma e Damiano era riconosciuta come uno dei principali centri di assistenza ai poveri e ai pellegrini a Roma. Una parte importante della vita spirituale della basilica fu la devozione mariana, iniziata nei tempi del papa Gregorio Magno (590-604).L’edificio fu ampliato sotto Sergio I (695) e Adriano I (772) finché, nel 1512, venne affidato dal cardinale Alessandro Farnese ai Francescani del Terzo Ordine Regolare di S.Francesco, i quali effettuarono una serie di restauri e di ampliamenti. Ma fu nel 1632, sotto Urbano VIII, che la chiesa fu totalmente rinnovata su disegno dell’architetto camerale Luigi Arrigucci, il quale decise, a causa del carattere malsano ed acquitrinoso in cui versava il Foro Romano, di rialzare il pavimento di ben 7 metri, creando così una chiesa inferiore e una superiore.

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lacus iuturnae-arredi ricomposti nel tempio di romolo


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I Francescani, nello stesso periodo, commissionarono ad Orazio Torriani l’edificio conventuale che si sviluppa sulla destra della chiesa. Originariamente l’accesso, quindi, avveniva dalla Via Sacra, attraverso il bellissimo portale del Tempio di Romolo: una vetrata, situata all’interno della chiesa, permette tuttora, come si è detto, di ammirare la rotonda, posta all’interno della porta bronzea, che aveva funzione di atrio. L’ingresso attuale, invece, è posto su un lato della chiesa su via dei Fori Imperiali, attraverso un atrio sul quale si affaccia un tratto della parete in blocchi in opus quadratum dell’antica Biblioteca Pacis. L’interno della chiesa, a schema basilicale classico di tipo costantiniano, è a navata unica e presenta ora, al posto dell’originario soffitto a capriate lignee, una copertura impreziosita da una serie di cassettoni dipinti e dorati con lo stemma di Urbano VIII Barberini (tre api dorate su fondo azzurro) e con la Gloria dei Santi titolari. L’altare del presbiterio è ornato con una Madonna con Bambino dipinta su tavola da un anonimo romano del XIII secolo, mentre l’abside con l’arco trionfale presentano un complesso musivo tra i più belli e più antichi di Roma, insieme a quelli di S.Pudenziana, S. Prassede, S.Clemente e S.Maria Maggiore.

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basilica dei ss. cosima e damiano- estero e interni

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Nel catino absidale, Gesù si eleva al centro su un cielo blu solcato da nuvole variopinte, che ricordano quelle del mosaico del catino absidale di Santa Pudenziana, circondato dai Santi Pietro e Paolo, vestiti di bianco, che introducono Cosma e Damiano, in atto di offrire corone gemmate, e Felice IV che presenta il modello della chiesa (il volto si deve a un rifacimento secentesco) e S.Teodoro con una corona, accompagnati da un’iscrizione in caratteri dorati con il loro nome. Le figure per impostazione, gestualità, cromia e, non ultimo, il dettaglio delle ombre portate, evidente in basso, denotano la sopravvivenza di canoni rappresentativi che non hanno ancora reciso del tutto il legame con la tradizione del naturalismo classico, come succede anche nel ciclo musivo della chiesa di Santa Pudenziana. Più in basso, la fascia inferiore comprende una teoria di dodici pecore convergenti al centro, su fondo aureo, tema presente a Ravenna nella decorazione della Basilica di S.Apollinare in Classe.

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interni- chiesa ss.cosima e damiano

La fonte per la lettura della scena dell’arco trionfale è l’Apocalisse: il tetramorfo, l’etimasia, l’agnello mistico, la velatio manuum, accompagnano la teofania, come descritto nei capitoli 4-5 e seguono fedelmente i precetti iconografici di tradizione bizantina importati in Italia in età tardoantica e attestati a Roma qui per la prima volta e ampiamente attestati a Ravenna, capitale dell’Impero con Giustiniano, nei famosi esempi di S.Apollinare, del Battistero degli Ariani, in quello degli Ortodossi e nella chiesa di S.Vitale (fondato nello stesso anno dei Ss Cosma e Damiano, il 526 d.C. e con precisi intenti di richiamo culturale alla tradizione greco orientale, come si vede nell’impianto planimetrico a pianta centrale, nei dettagli architettonici e nello stile delle decorazioni musive, ascrivibili probabilmente a maestranze costantinopolitane).

dettagli degli interni



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Le scene speculari presenti sulle imposte dell’arco offrono agli occhi degli osservatori più attenti una stranezza: tre coppie di mani sospese che reggono le corone portate in offerta (iconografia mutuata dai rituali di corte bizantini, come doppia nella teoria dei martiri nel registro mediano della decorazione musiva parietale in sant’Apollinare Nuovo a Ravenna). Sono quello che resta dei 24 Vegliardi (12 per parte) che assistevano alla scena della teofania.

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Bisogna ricordare infatti che il pavimento della chiesa è attualmente più alto di circa 7 metri rispetto al piano pavimentale originario del sesto secolo e che l’arco trionfale aveva in origine piani di imposta più ampi, tanto da ospitare una teoria di 12 figure per parte, i 24 vegliardi, appunto, e, sulla parte superiore, i due Evangelisti del Tetramorfo che oggi risultano mancanti. Come a S.Apollinare Nuovo a Ravenna il rimaneggiamento di età giustinianea per la damnatio memoriae di Teodorico provocò la stranezza delle “mani sospese” sulle colonne nel registro mediano del mosaico della parete di destra, rimaste dopo la cancellazione delle figure dell’imperatore goto e del suo seguito, qui il rifacimento seicentesco, riducendo la larghezza delle imposte dell’arco, ha cancellato alcune figure sui margini, risparmiando solo le prime tre di ogni lato, rese mutile del corpo e della testa, nel particolare delle braccia protese nell’atto di porgere le corone. Il tema del dono, oltre a far parte del repertorio tradizionale iconografico bizantino derivato dai complessi cerimoniali imperiali e attestato, ad esempio, a S.Apollinare Nuovo a Ravenna, qui forse è volutamente messo in evidenza anche tenendo conto della “personalità” dei santi eponimi, cui la storia stessa dell’edificio si lega: il dono dell’area da parte dell’imperatore al pontefice, il dono della chiesa da parte del pontefice al popolo di Roma (rappresentato nel catino absidale). Con la Controriforma, la planimetria della chiesa fu rivista anche alla luce delle mutate esigenze liturgiche, con l’apertura di profonde cappelle laterali che ne modificarono ulteriormente e per sempre la percezione dell’originaria spazialità. La presenza e la commistione nella decorazione musiva della tradizione figurativa naturalistica classica e di quella simbolica orientale importata da Costantinopoli rendono particolarmente interessante questo esempio. L’iconografia della manuum velatio, attestata a Roma nella scultura decorativa dei sarcofagi cristiani (Sarcofago di Giunio Basso) e in certe decorazioni pittoriche catacombali, come nella più antica rappresentazione dei Magi nella Catacomba di Priscilla, appare qui per la prima e unica volta nel repertorio musivo, a indicare forse un’origine orientale dei suoi realizzatori e ben diversamente attestata nelle enclaves di cultura greco orientale, come Ravenna.

Raffaella Terribile

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