PUNTO DI VISUALE- Alberto Terrile: LODE ALL’INVISIBILE . MIROSLAV TICHÝ : “observer of everything.”

miroslav tichý

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Non importa quello che stai guardando, ma quello che riesci a vedere.
Henry David Thoreau.

 

 

Alcune persone “vedono” … altre si limitano a guardare…

 

Vedere deriva dal latino videre (dalla radice indeuropea weid-) e significa percepire la realtà attraverso l’uso della vista. Conseguentemente implica scoprire, capire e interpretare tutto quanto ci circonda .
Guardare invece, deriva dal latino medievale guardare e dal franco wardon (stare in guardia). Quando compare in forma intransitiva, significa badare, fare attenzione a qualcosa o qualcuno.

Comunemente chiamiamo artista chi ha la capacità di vedere e trasmettere ciò che già conosceva, quanto del mondo ha “ri-conosciuto”, perché  apparteneva già in forma d’essenza al suo universo interiore. L’artista, forse in una concezione di stampo romantico che personalmente condivido, prova “amore ma anche il suo esatto opposto” per questo stato dell’essere, mentre l’amatore al contrario “guarda” …e connota il suo fare definendolo “una grande passione”.
Lo sguardo, non dimentichiamolo, è uno dei mezzi di comunicazione non verbale: attraverso di esso non passa solo la parola, ma anche l’anima.

Oggi viviamo nel mondo alienante dei social network. Quanti aspirano a essere artisti si illudono che “indossare i panni dell’autore” sia oggi più importante dell’opera. La principale forma di “ricerca” sembra sia quella dei consensi e della popolarità tramite il mondo dei social, di Twitter, dei blog, mentre un maestro come Lartigue (1) fece la sua prima mostra a sessantanove anni.
In poco più di due minuti, si scattano e postano più immagini di quante non ne siano state prodotte in arte tra l’inizio del seicento e la metà del novecento.
Una delle sentenze più taglienti circa l’uso del media fotografico è da attribuire al primo grande ritrattista della Storia della Fotografia Nadar (2): “ la Fotografia è quel mezzo che consente anche a un idiota di ottenere qualcosa per cui prima occorreva del genio.”

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miroslav tichý

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Un po’ di mesi fa, Roberto Cotroneo ha scatenato un  vero putiferio in rete con un suo articolo dal titolo Scattate fotografie orribili senza saperlo. Vi stanno ingannando…http://robertocotroneo.me/2014/10/10/fotografia/ trattando del crollo verticale di resa e di qualità, in nome di una legittima popolarizzazione dei mezzi tecnologici con particolare focus sulla Phonegrafia e sui software di cui sono dotati i più recenti telefoni.
Quanto è indubitabilmente sotto gli occhi ma, credetemi, non  di tutti, è la mancanza di cultura fotografica da parte dei nuovi “Maîtres à (non) penser”.
La rete, proprio come la fotografia binaria, democraticamente diventa “per tutti”, favorendo il processo imitativo a “scimmietta” di tutto quanto mi capita sott’occhio, tutto quello che mi piace, ma ancor più,  tutto ciò che piace alla massa.

Già nel 1888 nacque la fotografiaper tuttiEastman Kodak presentò la spettacolare macchina Kodak No. 1, che passò alla storia per il celebre slogan “Tu premi il pulsante, noi facciamo il resto” .

Venendo al nostro tempo, assistiamo al progressivo “impoverimento dei contenuti” generato dalla triste epica del “ora anche tu puoi farlo”.

Lo studio della fotografia, la gavetta presso un professionista, sono i fantasmi di una professione oggi in crisi: https://www.youtube.com/watch?v=Gh6CdWzUL4E

La realtà virtuale sta decretando l’immagine del “reale” ?

Andrea Granelli ha scritto: “Il digitale può essere un grande creatore di  illusioni, con le sue promesse molto evocative ma difficilmente mantenibili. Queste promesse, quando vengono disattese, possono creare stati fortemente depressivi e quindi rafforzare la percezione che nulla funzioni e che viviamo in tempi di crisi. Questa percezione – che spinge a rassegnarsi e a tirare i remi in barca – è particolarmente pericolosa per i nativi digitali, poiché (…) per loro la vita reale e quella virtuale sono un continuum integrato senza soluzione di continuità.”

 A cosa stiamo assistendo?

Al trionfo del narcisismo, a un estremismo estetico imbarazzante che galleggia sulla “superfice” di un universo cafone e chiassoso. Alle Lectio Magistralis dei fotografi succedono gli “incontri/scontri” in nome di una spettacolarizzazione totale : That’s entertainment!!!

Fare una fotografia è in realtà un gesto molto semplice, un’ azione che innesca però  qualcosa di più grande, “scegliere una porzione di mondo nel tentativo di percepire il tutto e l’unità” .

Fotografia come “atto necessario” e  motivato, ogni immagine è una riduzione dal troppo a ciò che per noi diviene significante nel momento dello scatto***. Susan Sontag compagna per 15 anni di vita di Anne Leibovitz le rimarcava spesso  troppa “leggerezza” in virtù di belle immagini che però finivano per restare in superficie, inequivocabilmente eleganti  così vicine   (la rivista è tra le nostre mani) ma soprattutto…così distanti ( i volti /archetipo del mondo dello spettacolo).

La stessa storica scrisse:

“FOTOGRAFARE NON SIGNIFICA SOLO INQUADRARE, E INQUADRARE VUOL DIRE ESCLUDERE.”***

In questa frase trovo risieda l’essenza del fotografare. Un’immagine, credo debba ritornare a raccontare le storie dell’uomo, così come il ritratto dovrà non solo mostrare l’ultimo taglio di capelli, ma avere risvolti antropologici e psicologici. Un’immagine meramente estetica potrà esercitare un impatto visivo notevole ma, se non tratterrà in sé altro, resterà sterile esercizio di estetica destinato a non durare nel tempo!

Attratto da sempre dalle figure ai margini, dopo Vivian Maier, figura in antitesi con l’attuale concetto di fotografia  “che non è più la testimonianza di quanto avvenuto una sola volta, bensì la registrazione di quanto avviene di continuo” (3), vorrei  estrarre dall’album delle mie figurine un altro “personaggio”.

Esistono persone sospinte dal vento ai margini della società, figure animate dallo sconfinato desiderio di “mantenere la propria essenza” a costo di generare “assenza” o consegnarsi all’invisibilità.

Un uomo anziano, con abiti ridotti a stracci e la barba incolta,  si aggira tra la fermata dell’autobus e la piscina, nello spiazzo davanti alla chiesa o nascosto da un cespuglio nel parco puntando sulle donne uno strano e fatiscente apparecchio che tiene nascosto sotto un logoro maglione.

Miroslav Tichy nasce nel 1926, a Kyjov, in Moravia, Cecoslovacchia. Pittore e fotografo scelse di vivere ai margini del sistema che, nel suo caso, era rappresentato dal regime comunista. Ha amato ogni singolo atomo del nostro pianeta e le donne, al punto di farne l’unico soggetto della sua fotografia. Le ha guardate e nascostamente raffigurate, opponendo la lievità delle loro vestigia, delle pose  e degli incarnati al materialismo dialettico.

Frequentò l’Accademia delle Belle Arti di Praga e, durante gli anni del Socialismo Reale, entrò a far parte del collettivo artistico Brněnská Pětka (Brno Five), ostile all’ideologia dominante. L’imperativo artistico era ritrarre il proletariato e celebrare l’Uomo Sovietico, la sua dignità di lavoratore. Le modelle in Accademia venivano sostituite dai lavoratori della classe operaia. La fotografia, che per Tichy sarà una scoperta successiva, lo porterà a iniziare le prime sperimentazioni con alogenuri e reagenti. Profondamente anarchico per indole rifiuterà, oltre al regime, le convenzioni finendo più volte in carceri e ospedali psichiatrici. La sua è un’esistenza al margine, l’unica che il suo spirito eccentrico riesca a concepire. Possiamo definirlo un essere “non conforme”. La sua era una ribellione personale contro l’ordine sociale. Scelse di vivere poveramente in una baracca di legno e vestì con materiali di recupero.

Di sé disse:

Non sono un pittore.

Né uno scultore.

Né uno scrittore.

Sono Tarzan in pensione.

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Miroslav Tichy realizzò di nascosto, dal 1960 al 1985, migliaia di foto di donne nella sua città natale di Kyjov. Buona parte dei suoi soggetti “non sapeva d’esser ritratta”, spesso ingannata dall’apparecchio autocostruito.

“Ho pianificato un numero di cose che avrei voluto fare: ne avrei fatto un dato numero ogni giorno, un dato numero in cinque anni.

Una volta finite, ho smesso”.

È la naturale imperfezione della realtà che crea Poesia. Le sue immagini, frutto di deliberati errori nella fase dello sviluppo del negativo, sono sfocate e impolverate come un ricordo; immagini strappate, graffiate e macchiate come solo il tempo delle nostre vite riesce a fare.

Tre rullini al giorno, stampa unica per ogni scatto. «Io non scelgo niente», «metto i negativi nell’ingranditore e stampo ciò che è più simile al mondo. Tutto ciò che è, è il mondo».

MIROSLAV TICHÝ Non ricorda niente e nessuno:

Prima di tutto è necessario avere una macchina fotografica scadente”

“Se vuoi essere famoso, è necessario fare qualcosa peggio di chiunque altro al mondo“.

Le immagini di Miroslav Tichy rimasero sconosciute fino al 2000. Fu scoperto dal critico d’arte Harald Szeemann che gli dedicò una prima mostra alla Biennale di Arte Contemporanea di Siviglia nel 2004. A questa  seguirono altre esposizioni in giro per il mondo.

Morì il 12 aprile 2011 a Kyjov, Repubblica ceca.

Ogni cosa è decisa dalla Terra che ruota

Se fosse una passione, sarebbe il people watching.

Se fosse l’arte, sarebbe un’idea.

Se fosse un’ossessione, sarebbe una donna.

Se fosse un oggetto, sarebbe qualsiasi oggetto.

Se fosse un posto, sarebbe il cassetto di un comodino.

Se fosse un limite, sarebbe il tempo.

Se fosse lui, sarebbe un bel nome.

 (M. Tichy)

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Videografia:

https://www.youtube.com/watch?v=BAA-0pEB08g

https://www.youtube.com/watch?v=KucX_5Bfwd0

https://www.youtube.com/watch?v=0yHZThuO_W0

https://www.youtube.com/watch?v=V3sEyHtg0yc

https://www.youtube.com/watch?v=cNRNi2Pr3Uo

https://vimeo.com/8145442

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Note:

3) la teoria di Roland Barthes era : «Ciò che la fotografia riproduce all’ infinito ha avuto luogo una sola volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai più ripetersi esistenzialmente (…) mentre Roberto Cotroneo nota che oggi è l’esatto contrario: Fotografia che non è più la testimonianza di quanto avvenuto una sola volta, bensì la registrazione di quanto avviene di continuo

 

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