laurie cooper
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Oh my body, make of me a [wo]man who always questions!
Oh mio corpo, fa di me una donna che sempre
si interroga!
― Frantz Fanon, Black Skin, White Masks
Inderpal Grewal insegna Studi di Genere (WGSS, ovvero Women’s, Gender, and Sexuality Studies), Antropologia e Americanistica presso l’Università di Yale, negli Stati Uniti. Impegnata in diversi ambiti di ricerca, Grewal si occupa di femminismo postcoloniale, di teorie sulla migrazione, e transnazionalismo. È autrice di Home and Harem: Nation, Gender, Empire and the Cultures of Travel (Duke University Press, 1996) e di Transnational America: Feminisms, Diasporas, Neoliberalisms (Duke University Press, 2005). Co-editrice con Caren Kaplan di Gender in a Transnational World: Introduction to Women’s Studies (Mc-Graw Hill 2001, 2005) e di Scattered Hegemonies: Postmodernity and Transnational: Feminist Practices (University of Minnesota Press, 1994) e con Victoria Bernal di Theorizing NGO’s: States, Feminism and Neoliberalism (Duke University Press, 2014), Grewal sta per pubblicare un libro sulle relazioni tra sicurezza, genere, razza e neoliberalismo americano dal titolo Exceptional Citizens? Advanced Neoliberalism, Surveillance and Security in Contemporary USA (Duke University Press, 2016). Tra i suoi progetti di ricerca, Grewal sta lavorando sulle relazioni tra i sistemi capitalistici transnazionali, corruzione e violenza sessuale, e su un nuovo libro-documento che indaga sul rapporto tra mascolinità e potere raccontato dai burocrati d’élite nell’India Postcoloniale.
Nel suo libro Transnational America: Feminisms, Diasporas, Neoliberalisms, Grewal affronta le complesse relazioni esistenti tra il capitalismo globale, il concetto di genere, razza, diaspora e classe sociale. Lo fa esaminando “la produzione di soggetti Indiani Asiatici e Americani di classe media negli anni Novanta e le relazioni tra femminismo, movimenti sociali emergenti, consumismo, cittadinanza e costruzione dei saperi” (Transnational America, p.1).[1]
Grewal sostiene che l’America, oltre che essere una nazione dai confini ben delineati, è “un discorso nazionalista che ha prodotto molti diversi tipi di azioni e agenti. L’America ha funzionato come promulgatrice di un discorso di neoliberalismo che ha reso possibili le lotte per i diritti attraverso pratiche e immaginari consumistici attivi all’interno e fuori dai confini territoriali degli Stati Uniti” (Transnational America, p.2). Di conseguenza, il Sogno Americano che continua ad attirare molti emigranti verso gli Stati Uniti, è ancora funzionante all’interno proprio di complessi discorsi sul capitalismo globale e il sogno di classe.
Grewal mette in discussione o comunque esamina le definizioni di cittadinanza e indaga sulle differenti sfaccettature dei diritti universali e umani a seconda si parli di cittadinanza sessuale, diasporica, cosmopolita e flessibile (così le definisce a pagina 12 del suo testo). Analizza poi tali definizioni in contesti narrativi diversi, come quello letterario o promozionale in ambito puramente di commercializzazione, oppure in altre forme culturali atte a creare situazioni di ambiguità etica, in cui il definito si trova in una posizione di continua incertezza decisionale.
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barbie asta benefica per save the children
nuova serie barbie di colore in stile michelle obama ideate da stacey mcbride
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Uno dei capitoli del suo libro più interessanti è “Traveling Barbie: Indian Transnationalities and the Global Consumer” (Una Barbie in viaggio: Transnazionalità indiane e il consumatore globale) nel quale Grewal prende in esame lo sviluppo delle industrie Mattel e la commercializzazione della bambola Barbie in India tra gli anni Ottanta e Novanta. La strategia che ha attirato i mercati indiani aveva ideato una Barbie di pelle bianca “in viaggio” che indossava un Sari e un bindi: “As a white female tourist in an India opening itself to investment from abroad, Barbie, an icon of white, heterosexual American femininity, was able to put on a sari, a signifier of Indianness, and be ‘at home’” (Da turista donna bianca in un’India che si apre agli investimenti di mercato estero, Barbie, icona della femminilità americana bianca ed eterosessuale, era in grado di indossare un sari, simbolo dell’indianità, e di sentirsi “a casa”, p. 82). Grewal mostra inoltre come questa “Barbie in viaggio” rappresenti i cambiamenti contemporanei nel commercio globale e nell’ottica politico e sociale multiculturale. Scrive infatti: “Il multiculturalismo, così come è stato concepito negli Stati Uniti, non era più soltanto un diritto sui diritti civili ma ora un piano preciso neoliberale e di impresa per la vendita di prodotti verso una cultura di consumatori transnazionali in grado di accorpare insieme molte identità nazionali diverse” (Transnational America, p. 91). Lo stesso si dica delle Barbie Afro-Americane, o Native Americane, o della dibattuta collezione Mattel “Dolls of the World” che ha scatenato non pochi dibattiti sugli stereotipi culturali.
Grewal usa Barbie come punto di partenza per capire, e ancora cito parafrasando dal testo, la transnazionalizzazione del genere attraverso la cultura consumistica e quindi i modi attraverso cui le corporazioni multinazionali intervengono nella manipolazione della cultura e della formazione in India, ma ugualmente anche in altre nazioni.
A questo proposito, mentre Grewal fa riferimento a un altro testo (ancora troppo pochi, a suo parere) che indaga con occhio accademico, critico “femminista” sul ruolo di Barbie, quello di Erica Rand, Barbie’s Queer Accessories,”[2] il discorso si estende alla questione dei diritti civili esplorando questioni che coinvolgono razza, classe, orientamento sessuale, e violenza di ogni tipo, psicologica, domestica e sessuale.
Emergono allora due testi poetici importanti, uno analizzato proprio da Rand, e si tratta della poesia “Soft Targets” di Essex Hemphill (1957 – 1995), poeta Afro-Americano attivista per i diritti dei gay, e un altro di mia memoria di Denise Duhamel, “Buddhist Barbie.” Due punti di vista diversi che in parte riassumono i contenuti del libro di Grewal (e di Rand), importante e ben scritto. Ancora una volta, se estendessimo la vista al di là delle apparenze, se ricordassimo anche solo le regole base della critica osservativa, potremmo aiutarci a superare questo commercio del senso che paralizza e strumentalizza ogni nostra azione. Confinati in modelli imposti da chi comunque mostra una “superiorità morale” come quella descritta da Grewal, la letteratura ci offre sempre prospettive di cambiamento e di ricerca, che sicuramente ci aiutano a non fermarsi a un modello imposto che molto spesso, per dirla giocando, non ci veste proprio per niente bene.
Cristiana Pagliarusco
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barbie stile michelle obama- kara con la sorella kianna
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Soft Targets
Essex Hemphill He was arrested and detained for nailing Barbie doll heads to telephone poles. He was beaten while in custody, accused. After healing, he resumed his irriverent campaign, this outlawed spook terrorist continued hammering horse nails through Barbie heads and setting them aflame. Barbie never told Black girls they were beautiful. She never acknowledged their breathtaking Negritude. She never told them to possess their own souls. They were merely shadows clutching the edge of her mirror. Barbie never told Black girls they are beautiful, not in the ghetto evenings after double dutch, nor in the integrated suburbs, after ballet class. da The Oxford Anthology of African-American Poetry, a cura di Arnold Rampersad e Hilary Herbold. Oxford University Press, 2006, p.179 |
Bersagli Facili
Essex Hemphill Fu arrestato e trattenuto per aver inchiodato teste di Barbie ai pali del telefono. Fu picchiato mentre era in custodia, accusato. Poi guarito, riprese la sua irriverente campagna, questo terrorista fuorilegge spettrale continuò a martellare chiodi di cavallo conficcati nelle teste di Barbie per poi dar loro fuoco. Barbie non ha mai detto alle ragazze Nere che erano belle. Non ha mai riconosciuto la loro Negritudine mozzafiato. Non ha mai detto che possedeva le loro anime. Erano solo ombre aggrappate al bordo del suo specchio. Barbie non ha mai detto alle ragazze Nere che erano belle, Nemmeno nelle sere nel ghetto dopo saltata la corda, nemmeno nei sobborghi ben accetti, dopo la classe di danza. |
Buddhist Barbie
Denise Duhamel In the 5th century B.C. an Indian philosopher Gautama teaches “All is emptiness” and “There is no self.” In the 20th century A.D. Barbie agrees, but wonders how a man with such a belly could pose, smiling, and without a shirt. da Kinky. Orchises Press, 1997 |
Barbie Buddista
Denise Duhamel Nel V secolo avanti Cristo un filosofo indiano Gautama insegna “Tutto è vuoto” e “Non c’è io”. Nel XX secolo dopo Cristo Barbie concorda, ma si chiede come un uomo con una tale pancia possa presentarsi, sorridendo, e senza una camicia. |
Riferimento nel testo:
*con il termine [W]hollywood ho inteso giocare con le parole Whole + Hollywood, a definire così l’industria americana del tutto e del niente: del tutto, perché omnipresente e totalizzante; del niente, perché Hollywood in sé rappresenta l’inesistente e/o fittizio.
[1] Grewal, Inderpal. Transnational America: Feminisms, Diasporas, Neoliberalisms. Durham: Duke UP, 2005. Print. Le traduzioni in italiano qui riportate sono mie.
[2] Erica Rand. Barbie’s Queer Accessories (Series Q). Duke University Press Books. 1st edition. 1995.
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The Oxford Anthology of African-American Poetry, a cura di Arnold Rampersad e Hilary Herbold. Oxford University Press, 2006
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Riferimenti in rete:
https://www.poets.org/poetsorg/poem/buddhist-barbie