Totem di Fabia Ghenzovich

 native alaska  totem

Native_Alaskan_Totem_Pole

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“Contemplare il fuoco che cova negli occhi di un lupo e andare fino al limite del mondo” -CHRISTIAN BOBIN

Apre con questo esergo. Totem,  la raccolta che Fabia Ghenzovich ha pubblicato con Puntoacapo editrice.
Ma poi ciò che si tocca da subito  è una sintesi e un intaglio nella polpa del legno che è il nostro corpo-natura-casa-memoria , fatto da un insieme di voci che non ci lasciano mai e vengono da un lontano sempre vicinissimo ieri, dalle storie dei “nativi” e dai miti, cioè noi, trasfiguratisi nel tempo e sono ancora oggi come ieri le voci ancestrali ed arcaiche con cui le nostre storie prendono vita, si fanno inizio restando in questo recinto di sogni e realtà come incubi, poiché ciò che si perde è molto, è noi stessi, la parte sostanziale del nostro corpo.

Tana era a falde la roccia
punte d’ossa e muscoli in tensione
nel balzo in avanti nel tempo
della pietra nel sangue
d’istinto un lupo per esempio
ecco quel che abbiamo perso
la prima vera pelle – la sola che ci salva

E poco oltre una fermata in cui la storia è passata in rassegna, la storia in cui l’uomo ha manipolato così profondamente se stesso da non farlo sentire corpo parte di un corpo unico e completo, dall’alfa al cielo, ma un peduncolo zoppo che non sa cosa ha intorno.

Lui sta a guardare con abulica codardia
e sembra dire – capita a loro, io che c’entro?
esattamente come accanto ai lager
si visse la routine del giorno
una vittima? No, è solo l’odore
di carne bruciata ad appesantire l’aria
o come alcuni animali indifferenti
e variamente affaccendati gironzolano
attorno alla bestia mentre divora il proprio simile.
Né il lampo di terrore che dilata la pupilla li tocca
né li scuote l’istinto di tanto in tanto
allungando il collo verso la scena
dello smembramento per curiosità
o forse per compiacimento d’esser vivi
non si chiedono se quella anche per loro
potrà essere l’ultima volta
.
Ed è su questa certezza, che è il vedere l’orrido che abbiamo dentro, che l’uomo muove i suoi passi oggi, intorno ad un totale disastro fattosi suo precipizio esterno ed interiore.

Totem anima/luna
all’unisono un solo corpo
come prateria residua qualcosa
che nasce per appartenenza o sogno
di un vinto per lo più.

La brevità dei testi sembra il centro di un canto che si snoda come il corpo del serpente, di fatto emblema di vita e di legame tra questa e l’altra, vita anch’essa oltre la morte, sostanza profonda della Loba, come se in fondo al movimento imposto da questo farneticante mondo, ci fossero impronte fresche che  si conoscono e ci additano, quelle che sono certamente le pericolose calate, le rocce aguzze  e i crepacci da cui diventa difficile uscire soli.

Ha della lupa l’occhio fine
il seme selvatico e una storia
vecchia la Loba cantando
un osare un fiuto un vedere
a ritroso un futuro lontano.

L’umanità che esce e mette in mostra la sua radice in queste pagine,  radice del totem, che tutti ci accumula nel suo asse issato al cielo, interrata nella sua parte non vista, risulta dolente, non solo malata e ancora di più appare evidente la sua innocenza violentata. Ma. Quanto sta sotto e dentro queste righe di poesia, tutti coloro che sono entrati in queste pagine, sono l’immagine in autoscatto di una umanità rintanata nelle proprie cose e nelle proprie case, alle prese con i problemi della quotidianità,  c’è qui  il ritratto di una memoria già vissuta, in ogni epoca passata, perché pare, anche in queste pagine dove la madre è lupa come agli albori della nostra storia e ancora prima nei miti dei nativi, di risentire voci perdute oltre il limite degli alberi, oltre le radici note e più familiari e dentro la pupilla aperta del cielo, che  tutti ci comprende egualmente, qualcosa che già ha avuto voce e si rifà futuro. E’ una sibilla anche Fabia, che guarda dentro il pozzo di questo oggi e cerca il buono, cerca il pane, anche dentro la parola.

Per il pane buono del corpo
per questo stare fecondo
– nonostante –
per questa voce chi dice salva
la pace – chi dice Sibilla?

E forse questa volta anche la Sibilla vuole dare un segno di svolta, vuole scrivere la sua foglia su una vetrina verde, di speranza per un futuro che si radica anche nell’orrore in cui sembra che tutto precipiti. Così  nell’ultima parte del libro, nella sezione DELLA LUCE e altre storie, l’autrice scrive:

Domani qualcosa sarà altra cosa
se persino il bagaglio che portiamo
prima o poi perderà il suo peso.
Nessuna ultima scadenza
nessun avvento – se questo accade
– se può accadere adesso
quel divenire d’ogni istante
come la ragazza che non s’accorge
di seguire con grazia naturale
l’orbita di una stella o sei tu
che mi passi accanto
con aria scanzonata tra la folla
tracimando di contento.

E se non bastasse come lettura del futuro, dai vapori sulfurei della Pizia ancora un responso sembra dare leggerezza a tanta gravità che affossa il mondo e si era messa in evidenza all’inizio del percorso. Quasi in chiusura è alla  luce che Fabia assegna il compito di segnare in terra la sua via, in poche righe la sintesi.

L’amore comprende tutte le lingue
nel niveo di una voce – io sono noi siamo
un canto più fondo della notte
spalancato su nidi di pleiadi
segno ancora della luce
qui in terra gravida
mai uno spreco la sua benedizione.

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fernanda ferraresso
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 tlingit k’alyaan totem pole

Tlingit K'alyaan Totem Pole

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Da Totem di Fabia Ghenzovich

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Salivavano all’odore della carne
fauci / tagliole pronte allo scatto
frecce / vertebre tese
verso l’età del coraggio
dell’uomo l’abitudine
il greve vassallaggio.

*

Già prodromi di stirpi
della razza che fu senza pari
gli eretti i primi violentatori.
Noi.

*

Un segreto patto di non belligeranza
sconfinando uomini e lupi
l’uno per fame con altre specie
l’altro per sete
di lucro e commerci.

*

Ricompone la vecchia le ossa
ritesse plasmando
primaria natura che svaria
sfuria e sconquassa questa gola
di risacca questa aridità di steppa.

*

Lupa solitaria una donna
seduta sulla panchina nel parco
ha una pepsi nella mano
un sogno smarrito nel grembo
che potrebbe svelare un bambino
una risposta innocente
assoluta e stretta alla prima ferita
celata nel buio spinta nell’abisso
dietro una pupilla
a margine della luce altrimenti luce

*

Soffermarsi sulla necessità
deriva sotterranea conclamata
nell’abitacolo compresso
dell’altrui spesso e nostra costrizione
di silenzi sistemici un affondo
dallo scavo generando tuttavia
una trama mutevole che più spalanchi mondi
minimi universi per una declinazione
di naturali alchimie pane e rose
e diluvio siamo stati

*

Eppure cosa in bilico ci resta
tra perdita e bellezza?
Di quale lontananza parleremo
di quale errore se a margine
del tutto preordinato inganno
ci sfugge e frange acquattato
già un clone.

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Totem_Ghenzovich

Fabia Ghenzovich, Totem, puntoacapo Editrice 2015

7 Comments

  1. “Ecco ora parla il corpo
    parla con voce di carne e foglia
    voce di riva e casa
    dove s’accampa l’intero
    del corpo più scuote l’involucro
    il vuoto a perdere che sono – il pieno
    che scava mondo
    carne e foglia riva e casa.”

    Questa appena pubblicata su Tumblr…
    Sono queste incredibili coincidenze che mi fan restare basita…leggevo proprio ore delle sue poesie…

    Anche questa raccolta è straordinaria! Grazie Ferni!
    E complimenti a Fabia

  2. Felicissimo di trovarti qui, cara fabia, con alcuni luoghi (e la bellissima presentazione di fernanda) della tua recente opera. In attesa di leggere il libro, trovo intanto la tua poesia sempre più affascinante, profonda, come già era nel “cielo aperto del corpo”, e qui forse ancor più cruda, tagliente, uno scavo fino alle radici, all’essenza nostra miserabile/meravigliosa. Toccante il tuo discorso poetico, musicale e quasi “dolce” (in aspro contrasto spesso con il “tema”), ma densissimo, levigato, spolpato all’osso. Vera poesia, insomma, bravissima! un caro saluto a te e a ferni e un arrivederci a presto. francesco

  3. vi ringrazio di cuore per le vostre voci amiche e ringrazio Fernanda per la vicinanza che mi ha dimostrato, a presto allora per una lettura condivisa chissà!

  4. Ė stata per me una grande soddisfazione potere inserire in Collana la Ghenzovich e i suoi suasivi testi.Complimenti a Fernanda per l’intraprendenza e la sempre vivida capacità critica.Un abbraccio a entrambe.
    Valeria Serofilli (www.valeriaserofilli.it)

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