8 marzo… non è una festa- Nadia Agustoni

foto storiche (basta un clic del mouse per ingrandire)

8marzo.

Quante volte abbiamo sentito “8 marzo la festa della donna”? Ma non è una festa. E’ la Giornata Internazionale della Donna Lavoratrice. E’ la giornata delle donne con un impiego allora? Non esattamente. Non esiste una donna che non lavori; in casa o fuori casa, in casa e fuori casa, a nessuna mancano gli impegni col fare. E’ molto semplicemente una giornata in cui si ricordano gli obiettivi raggiunti in fatto di diritti civili e conquiste nella vita e per rimettere al centro le questioni su obiettivi essenziali, ma ancora da conseguire. E’ un giorno in cui si regalano molte mimose, ma pochi sanno che la scelta di quel fiore è stata fatta a Roma nel 1946 dalle donne dell’UDI e per il solo motivo che era il fiore meno costoso.

Quando negli anni 60/70 esplose il femminismo, prima negli USA poi in Europa, si scatenarono le destre e i fondamentalisti religiosi del tempo, ma nemmeno a sinistra se ne rallegrarono. L’accusa alle femministe di essere delle borghesi ebbe gioco facile e sporco, ma chi la proferiva apparteneva a quella stessa classe, ne godeva i privilegi e fingeva di dimenticare che quella classe borghese aveva guidato la rivoluzione francese con il suo: “ libertà uguaglianza fraternità”.

Quanto credessero nell’uguaglianza lo sperimentò duramente Olimpia de Gouges, femminista ante-litteram. De Gouges aveva pubblicato nel 1788 le “Réflexions sur les hommes nègres” contro la schiavitù, mentre nel 1791 uscì la “Dichiarazione dei Diritti della donna e della cittadina” in cui affermava l’uguaglianza politica e sociale di uomini e donne. La ghigliottinarono due anni dopo perché si era opposta all’esecuzione di Luigi XVI e perché in conflitto con il Comitato di Salute Pubblica.

L’accusa alle femministe di essere delle privilegiate si è ripetuta nel tempo. Virginia Woolf nel suo libro “Le tre ghinee” ricordava quanto fossero essenziali i diritti conquistati e quanta urgenza ci fosse, nello stesso tempo, di non appiattirsi sull’imitazione dell’uomo. Diritti e indipendenza culturale, libertà nel pensiero e non solo di pensiero, anticonformismo nella vita, su questo rifletteva Virginia Woolf e significava allora e tuttora significa saper dire no alla corruzione, alla politica delle esclusioni e inclusioni ad hoc e saper trovare un cammino, anche professionale, che non sia collusione coi poteri forti, né avvallo di situazioni esecrabili o fare il tifo per chi discrimina, in nome di ragioni subdole o tradizioni presunte, un sesso, una classe, un colore di pelle o altro. Misuriamo da qui quanto manca alla meta e facciamolo con onestà. Lo facciano le donne e gli uomini, ognuno per sé, cominciando con il capire che se vogliamo davvero un altro mondo, almeno un po’ migliore, non possiamo permetterci di credere in una facile violenza. Questa non è altro se non l’invito ai più forti e sgradevoli a banchettare sulla pelle degli indifesi e non ci sarà mai una vera rivoluzione senza capacità di compassione.

Gli attacchi al nuovo femminismo degli anni 60/70 erano conformi allo status quo più di quanto possa sembrare. Il femminismo che ho conosciuto, ed era già la seconda ondata, era un insieme di gruppi molto diversi, formati da ragazze e donne di ogni classe sociale e le cui scelte di vita erano a volte opposte, proprio perché il contesto mutato permetteva la libertà di essere. Non mancavano discussioni accese e liti, ma si cresceva, si pensava e si cercava. La capacità critica era prima di tutto autocritica. Saper stare insieme era già un modo di vincere. Non era poco.

Nadia Agustoni

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Note al testo.

Olimpia de Gouges, Réflexions sur les hommes nègres 1788, Dichiarazione dei Diritti della donna e della cittadina 1791

Virginia Woolf, Le tre ghinee 1938, in Saggi prose racconti, I meridiani – Mondadori 1998

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