andrzej wróblewski
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Con Vita Mortale e immortale della bambina di Milano, Domenico Starnone torna a parlare di bambini, come già in Scherzetto (Einaudi, 2017). In quel romanzo c’era un nonno alle prese con un nipote quattrenne, invece in questo intinge la penna nella memoria della sua infanzia per regalarci un ritratto indimenticabile della nonna materna, Anna Di Lorenzo, mai chiamata così in casa.
Il suo nome, per le numerose sorelle, era Nannì, per mia madre mammà, per mio padre suocera, per noi quattro nipoti maschi nonnà, proprio così, con l’accento sulla a. Nonnà era un grido esigente, un imperativo infastidito, una pretesa di obbedienza immediata.
Una donna sempre intenta a faticare in casa, senza nessuna considerazione da parte dei familiari e con un occhio di riguardo solo per l’autore, per cui nutre una vera predilezione.
Da decenni non si aspettava dalla vita nemmeno più una caramella d’orzo, ma da me passò subito a estrarre dolcezze di tutti i tipi. Ogni mia manifestazione la entusiasmava e non solo perché migliorasse la sua esistenza, che era uno zero spaccato, ma perché, se solo battevo le ciglia o dicevo ah, quel battito e quella interiezione provavano, secondo lei, che ero il migliore degli organismi viventi comparsi nei millenni sul pianeta.
Del resto, anche il maestro Benagosti dice alla madre che il bambino è «destinato a grandi cose», così lui se ne convince e scrive poesie, seminando errori d’ortografia ma sognando la fama.
Un bel giorno questo bambino scopre il fascino della bellezza, del garbo, persino della lingua di una bambina osservata dalla finestra e avvicinata solo una volta, in cortile. La sua fantasia, peraltro funestata da pensieri contrastanti di morte, si allarga a immaginare un legame con lei, le attribuisce un’origine geografica e ne fa un modello di riferimento per la sua vita. Per lei arriva persino a sfidare a duello il suo amico Lello, altrettanto innamorato della stessa bambina.
Poi il tempo passa, la bambina inspiegabilmente sparisce, lui cresce tra successi e insuccessi scolastici e si rivolge alla nonna, illetterata com’è, per preparare un esame universitario.
Romanzo di formazione? Forse, ma non solo, presenta una riflessione a tutto tondo anche sull’età adulta.
Ero quel che ero, uno dei tantissimi aggregati di materia vivente, bisognava smetterla con i deliri dell’infanzia. Perciò, di passaggio in passaggio, mi prescrissi una laurea senza troppo impegno, un lavoro da svolgere con onestà, un ruolo di marito fedele e di padre affettuoso, una vita contenta di sé. Ciò fatto, mi accinsi a invecchiare con discreto anticipo.
Starnone dimostra un occhio spietato ma senza malinconia, come quando scrive dell’amico Lello con fidanzata, ormai adulto e diventato ingegnere.
Erano belli e beati. Li ho incontrati non molto tempo fa e, anche se anziani, con ben tre figli sui cinquanta, sono ancora sfolgoranti come da giovani.
Con questo volume di piccolo formato, come di piccola statura era la nonna, l’autore ci consegna un libro intenso, profondo, costruito sulla «fragilità della parola» a suo dire, sempre perfettibile e vulnerabile come lo sono i sentimenti.
Laura Bertolotti
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NOTA SULL’AUTORE
Domenico Starnone vive e scrive a Napoli, con il romanzo Via Gemito ha vinto il Premio Strega nel 2001. Collabora con il settimanale Internazionale e con altre testate.Ha lavorato anche come insegnante e ha scritto pagine spassose sul lavoro d’aula. Alcuni suoi libri hanno avuto una trasposizione cinematografica, tra cui La scuola, per la regia di Daniele Luchetti, Auguri professore, di Riccardo Milani, Denti, con la regia di Gabriele Salvatores e Lacci, di Daniele Luchetti.
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Domenico Starnone, Vita mortale e immortale della bambina di Milano- Einaudi 2021