TRA LA PAROLA POETICA E LA MUSICA- Sergio Pasquandrea: Che cos’hanno visto gli occhi grigi

albrecht dürer – testa di vecchio (1521)

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Non credo che a Pino Daniele sia mai stata resa giustizia per la sua abilità di paroliere. Tutti, credo (spero), sono d’accordo sulla sua statura di musicista, sulla sua abilità nel mescolare elementi all’apparenza eterogenei come il blues, il jazz e la tradizione napoletana; molti apprezzano anche il suo peculiare slang multilingue, in cui si mescolano napoletano, italiano, inglese, spagnolo, parlesia e chissà cos’altro.
Ma vorrei sottolineare che Pino è anche stato – perlomeno per tutti gli anni Ottanta: sulla sua produzione successiva, preferirei sorvolare – uno dei più originali e profondi autori di testi nella popular music italiana. Fra i tanti esempi che potrei citare, ne metto qui solo uno, tratto da un disco secondo me ingiustamente sottovalutato.

“Bonne soirée” esce nel 1987. Nella prima metà degli anni Ottanta c’era stata un’impressionante sfilza di capolavori: “Pino Daniele” (1979), “Nero a metà” (1980), “Vai mo’” (1981), “Bella ‘mbriana” (1984), “Sció live” (1984), “Ferryboat” (1985), i quali finiscono per relegare nell’ombra questo disco. Che invece è un lavoro coraggioso, in cui il cantante – nei due anni precedenti impegnato in un lungo tour europeo – introduce nel proprio gruppo sidemen di gran lusso come il bassista gallese Pino Palladino, il batterista americano Jerry Marotta, il percussionista francese Mino Cinelu e il sassofonista inglese Mel Collins, insieme a Bruno Iliano alle tastiere.
Cambiano anche le sonorità, che assumono decise tinte arabeggianti, ispirate al contemporaneo rock-arabe francese. Insomma, un album dal piglio internazionale, insolito nel panorama italiano dell’epoca, forse un po’ penalizzato dall’assenza di un grande hit come quelli degli anni precedenti.

Ma “Bonne Soirée” non si esaurisce nella pur pregevole ricerca musicale. Lo dimostra la canzone che vi propongo, intitolata Occhi grigi. L’uso esclusivo del napoletano si accorda alla perfezione con le sonorità orientaleggianti, evocando in maniera lirica e intensa il monologo interiore di un uomo anziano che, alla soglia estrema della vita, si volta a considerare la propria esistenza (Pino Daniele, all’epoca, aveva solo 32 anni, ma coglie tutto ciò con la sensibilità dei poeti).
Ho aggiunto qualche nota per spiegare i termini che potrebbero risultare più oscuri a un non-napoletanofono.

 

Occhi grigi

E mo sto buono
A parte ‘a pressione
Nun piglio café
Sto accorto pure a te
Si’ sempre ‘a vita mia

‘E figli so’ gruosse
Quaccheduno è ‘nzurato (1) e
Ognuno ‘a via soja
‘O munno è mmano a vuje
Facitelo bbuono

‘E viecchie nun se sfottono
E po’ fanno ‘e muorte
‘O no’ statte cu’ mme
Quanti ccose che he ‘a sapè

Cu’ l’uocchie grigge hanno visto ‘a Cursea (2)
A notte ‘int’o suonno se murmulea (3)

Nun fa’ rummore mo’ jesce ‘a ‘strazione (4)
Picciò, famme sentì
Vicchiaia ca nun va
Tutte c’hanna passà

Jesce surore (5) pe’ fora ‘a stazione
‘O no’ statte cu’ mme
Quanti ccose che he a sapé

Cu’ l’uocchie grigge hanno visto ‘a Cursea
‘E bombe, ‘int’o suonno se murmulea

Io spenderei tutto il tempo per starti vicino
Ma senza parlà
Trent’anne ‘e fatica e nun può chiù aspettà
E ‘o càvero (6) che fa ascì pazzo
E nun se po’ suppurtà

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NOTE AL TESTO

(1) nzurato: sposato.
(2) Cursea: Corsea, antico quartiere di Napoli, presso il Rione Carità, scomparso durante il “risanamento” fascista.
(3) murmulea: mormora.
(4) ‘strazione: l’estrazione dei numeri del lotto.
(5) surore: sudore.
(6) càvero: caldo.

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Buon ascolto.

Sergio Pasquandrea

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