ISTANTANEE- Fernanda Ferraresso: I canti dell’interregno di Pina Piccolo

kevin peterson

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Internet è il grande interregno in cui tutto quanto nasce tutto si perde in righe di scrittura e chachet che poi incidono una memoria di server come servi instacabili.
L’interregno è un luogo di forze oscure e materia invisibile, catturabile da monitor e menti che osservano ogni giorno, in questo nostro oggi, i luoghi di confine e i transiti. E’ il regno della notte, la nostra oscurità che traccia in ciascuno i limiti e le misure da prendere, non contro le ansie, le paure e le ossessioni che da sempre gli uomini e le donne coltivano in questa peregrinazione di mutanti, ma per acutizzarne tutti gli effetti e così promuovere un potere che coltiva solo terrore, isteria, consumando le persone, facendone merci come tutte le altre cose, le terre, le foreste o le bestie. Sì, questo il mondo che tratteggia con tinte forti, il mondo che viviamo ma purtroppo anche siamo, noi tutti, in muta, perché tutto quanto vive subisce trasformazione in morti a vista e in altre di cui sono precluse le sorgenti a tempo indeterminato.
Ho conosciuto Pina Piccolo in questo interregno della rete, tutti ne siamo catturati anche se pensiamo il contrario, e poi l’ho incontrata, dal vivo, ho conosciuto il suo impegno attento e la sua accoglienza. La sua amicizia è per me una casa salda, durevolmente aperta alla costruzione di un dialogo che arricchisca entrambi, anche se per lungo tempo questo non accade fisicamente, ma semplicemente in rete, dove  a volte o spesso “tramiamo” insieme.
Instancabilmente centrata su quanto è materia della vita, il ben-essere dell’umanità, con ampiezza di sguardo e sensibilità, si è prodigata, in innumerevoli occasioni, attraverso la promozione di eventi di notevole impegno e qualità, in traduzioni e presentazioni, per portare alla luce voci che altrimenti sarebbero risultate lontane, incondivisibili. Sempre la vita, sempre la volontà di esprimere l’esperienza di una vita che ci promuove a conoscerci, consapevoli che l’altro è quel noi non ancora conosciuto ed è lì, a un passo, sul volto e l’espressione di chi affiora da barbarie di cui siamo inconsapevoli ma non per questo meno responsabili o sostenitori: non sapere non fornisce la scusante ammissibile.
Pina Piccolo ha tr(a)amato moltissimo, tutta la vita, come si ha modo di constatare nelle sue poesie, spesso “memorabili”, sempre appassionate scritture tangibili. Leggendola si tocca la sua parola ma anche la sua anima, che non parla una lingua soltanto, ma fa sua quella di altre nazionalità, in un’aperta trincea in cui lottare significa non tirarsi indietro davanti alla paura della sofferenza, o degli orrori che la parola raccoglie, offrendo un’ospizio o un albergo per andare oltre, transitando l’anima di chi la fa passare in sé.
Tre sezioni, Interregno – Cosmagonie- Suonare il piffero della rivoluzione, compongono la raccolta edita da Lebeg,  una casa piccola editrice composta da persone davvero competenti, che hanno contribuito a configurare le sessioni che l’autrice dedica sempre a tutto quanto compone il suo esperire, in archi temporali tra il 1974 e il 2017,  e sono varchi di cammino molto lungo, ricco, denso di memoria e occasioni di condivisione storica, oltre che sempre etica. Non c’è solo letteratura qui dentro, dentro questo piccolo libro dal formato tascabile, si possono tenere in mano così tanti anni di politica e scelte criticabili, come Pina Piccolo fa con mente lucida e acutezza che spaesa, nel senso che i limiti comuni non sono quelli abitati dall’autrice, che vive interamente tutta la terra come suo paese nativo e ne fa un natale, contro quel natale commerciale che detesta e non festeggia. L’umano nelle mani e dentro quelle pagine bianche e fitte di tessiture, di nodi inscioglibili sono  le traduzioni delle nostre responsabilità e il legame con altri noi, uomini del passato che hanno agito per quel ben-essere di cui ho detto all’inizio di questa proposta di lettura.  All’università dovetti leggere e studiare, per un esame con Cacciari, un suo libro, Krisis- Saggio sulla crisi del pensiero negativo da Nietzsche a Wittgenstein. L’effettualità del pensiero negativo fondato sulla chiara consapevolezza che non esiste dialettica risolutiva delle contraddizioni del sistema, della struttura stessa del sistema che ha come natura la crisi al suo interno, e la problematicità e l’indeterminatezza come elemento costitutivo dei rapporti che lo formano, anzi lo fondano, mi è venuto davanti agli occhi leggendo le pagine di questa autrice che ha una  coscienza piena, relativamente a quanto coincide con il negativo attuale, o tende a coincidere con il massimo di effettualità. Ne risulta perciò, oltre alla carica della passione, una tragicità che da ogni dato porta a galla quel seme originario sintetizzato in queste poche parole

<<La crisi consiste appunto nel fatto
che il vecchio muore e il nuovo non può ancora nascere;
in questo interregno appaiono una gran quantità di sintomi morbosi.>>

da INTERREGNO pag.7- citazione da A. Gramsci- Quaderni dal carcere (Q3- p.311)

Ma tutta la scrittura dell’autrice ha una carica esplosiva fortissima, pregna di quel liquido passionale ma anche logico, di sintesi e intelligente acutezza che supera l’ingannevole di ogni notizia per raggiungerne la sostanza viva, la materia originale. Intensa, accoglie l’idea e l’ideale in un corpo che è presenza all’oggi, con tutta la spietata e tagliente arguzia che deriva dalla conoscenza della storia che è nostro ieri comune. Per questo il suo messaggio è di fuoco, è la bottiglia molotov che ci esplode in mano leggendola e non puoi evitarla, non puoi lanciarla lontano, troveresti sempre un altro te stesso e devi essere dunque tu il punto, l’ appoggio saldo che faccia fronte all’incursione di questo quotidiano orrore, fattosi così comune da non vederlo e non sentirlo più. Oggi, noi che come un tempo ci sentiamo al sicuro nelle nostre case di cemento e ferro, noi come ieri  intacchiamo l’arancia e l’avorio della vita perché di nuovo ma senza la scusa di non sapere

nelle nostre tiepide tane,
superbi e pavidi
come sciacalli,
tra lo schiamazzo della televisione
e le solitudini
degli avatar,
ce ne stiamo a ordire inferni
per gli altri
dietro l’angolo di casa.

da ARANCE E AVORIO pag. 46

Fernanda Ferraresso

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kevin peterson

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INTERREGNO

Le mura di Gerico
non crollarono al richiamo
del corno d’ariete.
Nel vuoto arcano
dell’osso
vi fu un rifugiarsi
leggero di piume
di angeli spelacchiati
in fuga dla turbinio
dell’umano interregno,
quell’interstizio infame
evocato dal cervello
del ‘sardo rosso’
a lungo imprigionato
tra le mura,
scomoda figura.

<<La crisi consiste appunto nel fatto
che il vecchio muore e il nuovo non può ancora nascere;
in questo interregno appaiono una gran quantità di sintomi morbosi.>>

Questa la canzone che gracchiava
la gazza , poco ladra molto regaliera,
spargendo verità per l’aire
nel giardino del manicomio
tra la polvere della speculazione edilizia:
<<Ologramma! Ologramma!>>
diceva del programma
che si discuteva al palazzo.
<<Ceppi e contagi>>non cani randagi
né nutrie né ratti,
ma <<Misfatti, misfatto!>>
nelle vostre AUUUUSL
Aziende Unità Sanitarie Locali.

Sindrome morbosa
della rosa della rosa della rosa
coltivata nella Rift Valley del Kenya.
Mani nere l’han curata, accarezzata,
poi strappata, spedita nella stiva se n’è volata,
poi è atterrata, per un’ora immagazzinata e poi, per le strade di Palermo di Bologna di Torino,
un bengalese poco più che bambino
me l’ha offerta a mezzo euro
perché non era più fresca di giornata.

«Saldi, saldi, saldi!»
teniamoci saldi
nell’interregno
tra le sindromi morbose
sindoni irradiate
antropogenici cambiamenti
antropologici mutamenti
e ammutinamenti
costituzionali scrostamenti
e crollo di nazioni.
Negli interstizi
vaga la voce,
fluisce la nota
che la bussola resetta
e come arca
spera e aspetta.

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kevin peterson

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AVVISO DALLE SPONDE

Messaggio di fuoco
bottiglia molotov di barcone.
Non si ritrae la sponda,
esplode
il limine d’Europa
davanti al volto stupito dei Conigli
dall’aria ignara
scossi dal tremito della Terra
unica sensibile all’avviso.

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SIA LODE AL VENTO

E’ vento selvaggio
il fiato
che gira le pale
dell’utopia.
Non quello addomesticato
dei tombini del teleriscaldamento
che solleva le gonne
di dive ossigenate,
che anima manifesti sornioni
di mosche cocchiere
aspiranti imbrigliatrici di vento.

Selvaggio, non guarda in faccia nessuno
e lacrimogeni sparge
insieme a vaghe speranze di cambiamento.
Alimentatore di fuochi
li fa crescere a dismisura
e poi cadendo li smussa.

Terribilmente giusto e crudele,
portavoce
di clandestine rabbie del pianeta
contro la specie,
centrifuga nell’aria
natura e produzioni dell’umano.
Puoi far finta di niente
mentre spira da sud da nord
da est da ovest
e allora ti colpisce con l’orzaiolo
palpebra pesante della coscienza.

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LO SPIRITO DEI TEMPI

Si ciba di carne
abbattuta di droni
e di mosche
cocchiere.
Alberga nella carcassa
di balena spiaggata
dal sonar.
Aleggia tra
le sequoie antiche
protette
da alcuni cuccioli di uomo
che lì si sono annidati.

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Pina Piccolo, I CANTI DELL’INTERREGNO – Lebeg Edizioni 2018

 

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