ISTANTANEE- Fernanda Ferraresso: accordatura della stasi

ana ventura

 

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Costanza Lindi, collaboratrice fino a qualche tempo fa di Cartesensibili, mi ha inviato prima di Natale un libricino tascabile, sottile sottile ma denso di riflessioni, accordature appunto, della stasi, come specifica il titolo.
Una ragazza così giovane che medita sul ristagno, o sullo stare fermi, rallentati in sé o nel proprio sangue, la linfa vitale, o in qualsiasi altra se-crezione, per uno scompenso, oppure un arresto, che causa immobilità. E istantanea mi torna alla mente, in un flash, qualcosa che ho letto molto tempo addietro, molti anni fa, quando ero giovanissima.
Scriveva Montale in Satura

Dicono che la mia
sia una poesia d’inappartenenza.
Ma s’era tua era di qualcuno:
di te che non sei più forma, ma essenza.
Dicono che la poesia al suo culmine
magnifica il Tutto in fuga,
negano che la testuggine
sia più veloce del fulmine.
Tu sola sapevi che il moto
non è diverso dalla stasi,
che il vuoto è il pieno e il sereno
è la più diffusa delle nubi.
Così meglio intendo il tuo lungo viaggio
imprigionata tra le bende e i gessi.
Eppure non mi dà riposo
sapere che in uno o in due noi siamo una sola cosa.

e credo, dopo aver riletto la poesia di Montale che, meglio di qualsiasi altra chiave, sia questa la via per aprire la parola come una casa che fa corpo con la MATRICE della plaquette di Costanza.

Dalla mia bocca, ridente taglio
trasparenze variopinte.

Ombre sigillate tra i denti
nel vuoto istante in cui

dimentico

che sono trascinata
come un corpo morto.

Come sono finita qui
non riesco a crederlo.
E lo accetto
ringraziando l’onda

in una preghiera.

Poco prima aveva mostrato le operazioni intorno ad una matrice da stampa, l’incisione, cioè l’atto pre-cedente la stesura dell’inchiostro e poi il resto della stampa non è stato mostrato come se tutto stesse lì, in quelle operazioni antecedenti, in quel fermo immagine sul lavoro della matrice,  un lavorio attento della pre-parazione in cui tutto porta alla pulizia dell’immagine che ne seguirà. Un togliere, non un mettere! Così forse anche le nostre vite, sottoposte a quel lavorio sulla matrice che noi tutti siamo, vengono, dai fatti che viviamo, ripulite da ciò che eccede, che andrebbe a confondere e produrrebbe un’immagine confusa. Solo la casa immobile, ognuno di noi, in sé, lavora quel disegno, quel segno es-tratto dalla pellicola che scorre, fuori, in quel noi-tutto in cui non ci vediamo.

Confonde
il rumore della parola.
Nel cellophane le
parole giuste di una volta

un attimo fa,
               là fuori.

Tutto fila liscio là fuori,
come una pellicola.

Qui
una casa immobile
e muta.

Ma solo poco oltre l’autrice, dimostrando che nulla resta fuori e tutto ci entra in corpo trasformandoci, aggiunge:

Mastico
echi di voci
rumino carte.

Il silenzio non asseconda.
Ingoio
inquieta, un riposo
difficile

desidero abbondanza

Subito dopo, ma potrebbe essere lo stesso scritto, nuovamente aggiunge altri segni e la parola che le scava sembra voler togliere loro la materia di cui si compongono.

Il dubbio sceglie le ombre
in un lancio scostante
alle spalle.
Dubitanti le addobbiamo
con consuetudine amara.
Senza nomi.
(…)

 

Nel cuore del libretto la scrittura s’infiamma e sembra produrre proprio il rumore del falò che accende, non il fuori che visualizza, ma quel sé che in quel fuori si specchia

Dal balcone il vociare arde
in piccoli falò tra i palazzi.
Un gelo dentro che fa eco
al tonfo troppo vivace.

Se solo riuscissi a bruciare lentamente
come una sigaretta
per diventare leggera   ondeggiando.
Ma loro sì, io no.
Non cose qualsiasi  da fare
per attraversare il centro
fessura strettissima, breve.

Ma nel gelo dell’eco  fare cose
vivaci più del tonfo.

Fino ad ingoiare il dunque
sorvolando il falò che brucia
la paura che mi servirà 
per il fondo.

E seguendola in questo suo sorvolare il falò, che in sé comunque sente ardere, arriviamo alla soglia conclusiva del libretto, come una tomografia che ha scavato i nodi della sua matrice e in questo suo ade mostra l’adesso.

Con quale cuore oggi mi osservi,
io che non sopporto l’idea di essere vista

                        capovolta

mentre sorrido, fuori da te.

Capovolta accanto a una luce
che resta uguale. Fuori da me.

(…)

Prossimi alle ultime battute, nuovamente sulla soglia del verso, come un se-stante nel sangue, Lindi ci consegna l’opera a cui vorrebbe dedicarsi, perché già il condizionale che usa in apertura del testo fornisce il senso di una  manovra in atto.

se fossi in grado di leggere il creato senza
muovermi saprei allora brillare della sua luce,
non mia.
– anche tu! – mi dici
e non sai che io non esisto
poiché non so muovere altro che me.

Vorrei tacere e piangere.
Non muovere un muscolo, oggi.
Nemmeno per dirti che ho un corpo
che danza ancora
stando fermo.

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Fernanda Ferraresso

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4 Comments

  1. a te come sempre e …spero che collaborerai con noi per una proposta che apparirà nella prossima uscita di marzo di cartesensibili. Grazie sempre per esserci cara Marta. f

  2. Leggo queste poesie in una gelida giornata di inizio marzo e risvegliano in me un luce di condivisione che da tempo non avvertivo. Mi è sempre difficile commentare e tanto più giudicare, però posso dire che sento queste poesie saldarsi ai miei pensieri, cercarli, soffiare in essi e in essi brillare. Destano un desiderio di abbraccio, se pur silenzioso e disincarnato. Trovo che il nome e il cognome dell’autrice rappresentino perfettamente queste poesie, ne siano la sintesi.

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