Nicéphore Niépce
Non ci si pensa mai ma
le cose potrebbero
potrebbero spaccarci , farci a pezzi
entrandoci in corpo
Non galleggiano le cose
Non sono un plancton di colori e suoni
Hanno un corpo con-tun-dente
Ci penetrano
vanno a fondo
Entrano nella gola le orecchie il naso ci calpestano il cuore
con tutti i loro miliardi di piedi colonizzano i nostri
globuli di sangue
ne fanno studi di gestione turistica
portano in giro dentro di noi le essenze e ci navigano con arte.
Tra i vasi e le arterie abbiamo Van Gogh e Cezanne
Matisse, liquidi Pissarro e persino dei Picasso
con la punta di un pennello giusto su una Guernica
abbandonata tra la prima e la seconda vertebra dorsale dove Dalì
si mostra un’allegoria di primavera
come fosse la prima parola mai pronunciata da dio.
*
E se le parole
appena nate non stessero subito in piedi?
Se non avessero gambe per correre lontano nell’erba
fra gole di desideri e rischi a coda di rondine che ci crescono
spontanei in corpo?
Cosa succederebbe se all’improvviso si facesse muto
questo nostro starci accanto
in una galleria di ritratti in bianco e nero
ognuno roseo nel volto e nel pensiero
scuro e senza volo?
Cosa, cosa accadrebbe
di ogni parola se si azzoppasse strada facendo
e andasse in carrozzella
se precipitasse giù da un burrone o
svanisse letteralmente svanisse
in un punto di bianco
calcolo d’altro calco
errata corrispondenza
tra la pagina e ogni altra ortografia
f.f.-inediti
meri ciuchi
stupenda!
Il dubbio, e se, e cosa accadrebbe, una frontiera del male, del vuoto , del dolore, della solitudine, la più esacerbata, la più onnivora, la più angosciante di dispersa umanità.
“Cosa succederebbe se all’improvviso si facesse muto
questo nostro starci accanto
in una galleria di ritratti “.
Un’Apocalisse dell’impossibilità e della disumanità.
E questo ‘urlo’ lirico, di ribellione, sì, ma di orgoglio, il tuo, il nostro, condiviso. Poiché:
“Non ci si pensa mai ma
le cose potrebbero
potrebbero spaccarci , farci a pezzi
entrandoci in corpo”.
Una freccia, un campanello d’allarme, che parla coralmente di altro, dell’attenzione e del farci sentinelle e vigili di un corpo comune…
MERAVIGLIOSA, Ferni, grazie!
Agnese.
Un’analisi acuta, profonda, ad occhi aperti, come osserva adeguatamente Agnese. Adeguata ed espressiva anche la scelta del corredo iconografico ed i riferimenti, all’interno del testo, a pittori che hanno sentito e sfidato il silenzio e lo schianto tramite la ricerca della bellezza residua, sopravvissuta e sopravvivente. Felicitazioni, Ferni, e un caro saluto a te e a tutti i “cartasensibili”. I.M.