Maĥmud Darwish- Lo hanno ucciso due volte

 eric matson –nazaret con il monte tabor

Lo hanno ucciso e ancora lo uccidono  due  volte l’uomo. Nel corpo e nella memoria. E hanno ucciso milioni di volte la propria umanità  facendone deserto di misura più grande dei più grandi deserti. L’uomo non guarda il suo simile, è geografia che non produce quanto un filone d’oro, di petrolio, di diamanti o di uranio o semplicemente d’acqua potabile, anzi ci si specula sui pezzi da estirpare e vendere per farne buon guadagno, sfruttando materiale umano alla pari di un qualsiasi altro  giacimento. L’uomo ormai, alla pari di Caino, si nasconde a se stesso non più scappando da un dio, che ormai è il suo ego, ma dal proprio pensiero, paludando ciò che gli resta in pensieri-forzieri di ricchezza fatua, dipinta sulla carta che si stampa e vende traendone altro guadagno. Poi viene anche il suo tempo e non c’è oro o tecnica, forziere o giacimento che la vita gli renda. Per questo ho scelto di portare un autore, un poeta che fa pensare, che ci mette davanti allo scomposto riflesso di noi stessi: Maĥmud Darwish. Nacque ad al-Birwah, un villaggio presso la città di Ăkka, in Galilea, Palestina, nel 1941. All’età di sette anni, nel 1948, visse la tragedia del suo popolo, quando il suo villaggio fu attaccato dai sionisti e la popolazione si disperse in altri luoghi. La famiglia Darwish lasciò la Galilea e si trasferì in Libano, sfuggendo alla situazione che si era venuta a creare dopo l’occupazione militare israeliana. Il padre di Darwish, però, rifiutò di diventare profugo e preferì ritornare nella sua patria. Al rientro in Palestina, un anno dopo, la famiglia trovò il suo villaggio completamente distrutto, ed al suo posto un insediamento ebraico. Così,   si stabilrono in un villaggio di nome Deir el-Asad: il senso dello smarrimento entra nella vita del poeta in tenera età, e da quel momento in poi, Darwish si sentirà sempre   “un profugo nella sua patria”. Se penso che ognuno è prima di tutto patria di se stesso e degli altri allora noi siamo ormai tutti profughi.

fernanda ferraresso

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eric matson-gerico, il monte delle tentazioni

eric matson-gerico, il monte delle tentazioni.

 .Maĥmud DarwishPoesie

 

Passanti tra parole fugaci

O voi, viaggiatori tra parole fugaci
portate i vostri nomi,
ed andatevene.
Ritirate i vostri istanti dal nostro tempo,
ed andatevene.

Rubate ciò che volete dall’azzurrità del mare
e dalla sabbia della memoria.

Prendete ciò che volete d’immagini,
per capire che mai saprete
come una pietra dalla nostra terra
erige il soffitto del nostro cielo.

O voi, viaggiatori tra parole fugaci
da voi la spada … e da noi il sangue
da voi l’acciaio, il fuoco … e da noi la carne
da voi un altro carro armato … e da noi un sasso
da voi una bomba lacrimogena … e da noi la pioggia.

E’ nostro ciò che avete di cielo ed aria.
Allora, prendete la vostra parte del nostro sangue,
ed andatevene.
Entrate ad una festa di cena e ballo,
ed andatevene.
Noi dobbiamo custodire i fiori dei martiri.
Noi dobbiamo vivere, come desideriamo.

O voi, viaggiatori tra parole fugaci.
Come la polvere amara, marciate dove volete
ma non fatelo tra di noi, come insetti volanti.

L’aceto è nella nostra terra finché lavoriamo,
mietiamo il nostro grano, lo annaffiamo
con le rugiade dei nostri corpi.

Abbiamo qui ciò che non vi accontenta:
un sasso … o una soggezione.

Prendete il passato, se volete, e portatelo
al mercato degli oggetti artistici.
Rinnovate lo scheletro all’ upupa, se volete,
su un vassoio di terracotta.

Abbiamo qui ciò che non vi accontenta:
abbiamo il futuro….e abbiamo
nella nostra terra, ciò che fare.

O voi, viaggiatori tra parole fugaci.
Ammassate le vostre fantasie in una
fossa abbandonata, ed andatevene.

E riportate le lancette del tempo
alla legittimità del vitello sacro
o al momento della musica di una pistola !

Abbiamo qui ciò che non vi accontenta
abbiamo ciò che non c’è in voi:
una patria sanguinante
un popolo sanguinante, una patria
adatta all’oblio o alla memoria ….

O voi, viaggiatori tra parole fugaci.
E’ giunto il momento che ve ne andiate
e dimoriate dove volete, ma non tra noi.
E’ giunto il momento che vi ne andiate
e moriate dove volete, ma non tra noi.

Abbiamo nella nostra terra, ciò che fare
il passato qui è nostro.
E’ nostra la prima voce della vita,
nostro il presente … il presente e il futuro
nostra, qui, la vita …e nostra l’eternità.

Fuori dalla nostra patria …
dalla nostra terra … dal nostro mare
dal nostro grano … dal nostro sale
dalla nostra ferita …da ogni cosa.

Uscite dai ricordi della memoria
O voi, viaggiatori tra parole fugaci !….

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eric matson- gerusalemme dal monte degli ulivi

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PENSA AGLI ALTRI

Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
Mentre dormi contando i pianeti , pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.

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eric matson- villaggio di kafr malik-samaria

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CARTA D’IDENTITA’

Ricordate!
Sono un arabo
E la mia carta d’identità è la numero cinquantamila
Ho otto bambini
E il nono arriverà dopo l’estate.
V’irriterete?

Ricordate!
Sono un arabo,
impiegato con gli operai nella cava
Ho otto bambini
Dalle rocce
Ricavo il pane,
I vestiti e I libri.
Non chiedo la carità alle vostre porte
Né mi umilio ai gradini della vostra camera
Perciò, sarete irritati?

Ricordate!
Sono un arabo,
Ho un nome senza titoli
E resto paziente nella terra
La cui gente è irritata.
Le mie radici
furono usurpate prima della nascita del tempo
prima dell’apertura delle ere
prima dei pini, e degli alberi d’olivo
E prima che crescesse l’erba.
Mio padre… viene dalla stirpe dell’aratro,
Non da un ceto privilegiato
e mio nonno, era un contadino
né ben cresciuto, né ben nato!
Mi ha insegnato l’orgoglio del sole
Prima di insegnarmi a leggere,
e la mia casa è come la guardiola di un sorvegliante
fatta di vimini e paglia:
siete soddisfatti del mio stato?
Ho un nome senza titolo!

Ricordate!
Sono un arabo.
E voi avete rubato gli orti dei miei antenati
E la terra che coltivavo
Insieme ai miei figli,
Senza lasciarci nulla
se non queste rocce,
E lo Stato prenderà anche queste,
Come si mormora.

Perciò!
Segnatelo in cima alla vostra prima pagina:
Non odio la gente
Né ho mai abusato di alcuno
ma se divento affamato
La carne dell’usurpatore diverrà il mio cibo.
Prestate attenzione!
Prestate attenzione!
Alla mia collera
Ed alla mia fame!

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eric matson- il villaggio di betania

 eric matson- il villaggio di betania

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PROFUGO

Hanno incatenato la sua bocca
e legato le sue mani alla pietra dei morti.
Hanno detto: “Assassino!”,
gli hanno tolto il cibo, le vesti, le bandiere
e lo hanno gettato nella cella dei morti.
Hanno detto: “Ladro!”,
lo hanno rifiutato in tutti i porti,
hanno portato via il suo piccolo amore,
poi hanno detto: “Profugo!”.
Tu che hai piedi e mani insanguinati,
la notte è effimera,
né gli anelli delle catene sono indistruttibili,
perché i chicchi della mia spiga che va seccando
riempiranno la valle di grano.

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eric matson- israel

eric matson- israel

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UNA LEZIONE DI KAMASUTRA

Con la coppa incastonata d’azzurro
aspettala
vicino alla fontana della sera e ai fiori di caprifoglio,
aspettala
con la pazienza del cavallo sellato,
aspettala
con il buon gusto del principe raffinato e bello
aspettala
con sette cuscini pieni di nuvole leggere,
aspettala
con il foco dell’incenso femminile dappertutto
aspettala
con il profumo maschile di sandalo sui dorsi dei cavalli,
aspettala.
E non spazientirti. Se arriva in ritardo
aspettala,
se arriva in anticipo
aspettala
e non spaventare gli uccelli sulle sue trecce,
e aspettala
chè si sieda rilassata come un giardino in fiore,
e aspettala
chè respiri un’aria estranea al suo cuore,
e aspettala
fino a che non sollevi il suo vestito scoprendo le gambe
nuvola dopo nuvola,
e aspettala
e portala su un balcone per vedere una luna annegata nel latte,
e aspettala
e offrile l’acqua prima del vino e non
guardare il paio di pernici che le dormono sul petto,
e aspettala
e accarezza lentamente la sua mano
quando poggia la coppa sul marmo
come se sollevassi la rugiada per lei,
e aspettala
e parlale come il flauto
alla coda spaventata del violino,
come due testimoni di ciò che il domani vi prepara,
e aspettala
e leviga la sua notte anello dopo anello,
e aspettala
fino a che la notte non ti dica:
Al mondo siete rimasti soltanto voi due.
Allora portala dolcemente alla tua morte desiderata
e aspettala….!

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Mahmoud Darwish (in arabo: محمود درويش , è nato a al-Birwa, un villaggio nei pressi di Akka (Acri), nella Palestina del nord, il 13 marzo 1941 ed è morto per le conseguenze di un intervento chirurgico al cuore, a Houston, in Texas, il 9 agosto 2008).  È autore di circa venti raccolte di poesie (pubblicate dal 1964) e sette opere in prosa, di argomento narrativo o saggistico. È considerato tra i maggiori poeti in lingua araba. È stato giornalista e direttore della rivista letteraria “al-Karmel” (Il Carmelo), e dal 1994 era membro del Parlamento dell’Autorità Nazionale Palestinese. I suoi libri sono stati tradotti in più di venti lingue e diffusi in tutto il mondo. Solo una minima parte della sua produzione letteraria è stata tradotta in italiano. Scarsa anche la traduzione in lingua inglese della sua opera. – See more at: http://poesia.blog.rainews.it/2014/03/17/riyadh-vieta-la-vendita-delle-poesie-di-darwish/#sthash.DbvFotGr.dpuf

1 Comments

  1. L’ha ribloggato su La lanterna del pescatoree ha commentato:
    Un anno fa, abbiamo condiviso l’esperienza di Benny Nonansky che cercava di far rivivere l’opera poetica di Mahmoud Darwish. Ma quell’opera è ancora minacciata. Condivido l’articolo di Fernanda Ferraresso per Cartesensibili, cui sono acclusi alcuni componimenti del poeta.

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