DIARIO- Adriana Ferrarini

karamazov- foto di scena

foto di scena.

Sul telo nero del fondale mantelline, pastrani, giacche, tutti dall’aria logora, oscillano appena al vento. Gli attori con addosso abiti di tela grezza sono già in scena, disposti su una fila di panche a sinistra e a destra del palcoscenico. Come se anche loro fossero in attesa di quello che a breve avverrà su quel quadrato magico.Il palco è allestito nel cortile del Castello Carrarese, luogo di fasti e di potere in epoca lontana, che nel secolo scorso fu luogo di pena e ora dovrebbe convertirsi a centro di eventi. Stratificazioni del tempo che si leggono nelle torri – una delle quali è stata osservatorio astronomico – nei muri scrostati, nelle grate arrugginite dietro cui si nascondono le celle di chi, qui dentro, ha scontato una condanna, elementi che combinati insieme trasmettono agli spettatori un’inquietudine strana, la consapevolezza di come tutto al mondo “passa e quasi orma non lascia”.

In questa cornice si snoda la vicenda di amore/ odio e passione e affetti frustrati della famiglia Karamazov che uno stupendo César Brie attorniato da splendidi attori racconta in due ore di spettacolo dal ritmo veloce di una sarabanda popolare. Con il viso imbrattato di sangue di Fedor, il padre, si apre la vicenda che come un ballata attraversa la giostra di amori del vecchio e dei figli, ognuno chiuso e ardente nella sua ossessione, nella sua fame insaziata di amore, nella sua necessità estrema di soldi, ognuno intenso e totale come lo sono i personaggi dostoevskjani.

Gli attoria cantano, suonano, prorompono in urla, si trasformano in altro: basta una cuffia in testa e diventano un cane, un mistico, un depravato, un folle e tutti poi si trasformano in marionette che, come nel teatro dei pupi, raccontano questa tragica vicenda, di cui sono protagonisti e narratori insieme, togliendole peso, sciogliendo la tragedia in ballata. Allo stesso modo si trasformano continuamente i pochi oggetti in scena e le panche diventano confessionali, palizzate, tavoli obliqui, che ci fanno vedere gli attori, o meglio “le vite degli altri”, da prospettive inusuali: dall’alto, in scorcio, di sbieco.

Cesar Brie, col suo pastrano rossiccio bordato di pelliccia, mezza veste da camera, mezzo cappotto, gli occhi chiari, astuti e viziosi che saettano il pubblico, è un Fedor indimenticabile nella sua innocente bassezza.

Ma quando gli attori se ne sono andati e sul fondale nero ci sono solo le grucce, vuote e a forma di croce, una domanda resta sospesa nell’aria: e se le nostre vite non fossero nulla più che un vestito, appena mosso dal vento?

23 giugno, domenica, ore 21, Castello Carrarese di Padova, per “Karamazov” – spettacolo teatrale con adattamento e regia di César Brie.

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Adriana Ferrarini

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César Brie è un attore e regista teatrale argentino. Inizia a fare teatro a diciassette anni, studiando al Centro Dramatico di Buenos Aires. Partecipa alla fondazione della Comuna Baires, e con gli attori del gruppo è costretto a trasferirsi a Milano nel 1974 a causa delle persecuzioni operate dalla dittatura militare argentina. Nel 1980 incontra Iben Nagel Rasmussen, si trasferisce in Danimarca e partecipa alla fondazione del gruppo Farfa, definendo la possibilità di un confronto diretto con l’Odin Teatret ed Eugenio Barba. Nel 1990, si separa da Iben e lascia l’Odin, con l’idea di concludere l’esperienza europea per un nuovo progetto in America Latina. Nell’agosto del 1991 con Naira Gonzales fonda in Bolivia il Teatro de Los Andes. Insieme alla comunità Yotala, in un piccolo paese vicino a Sucre, crea una struttura che produce spettacoli di ricerca. In questo periodo firma il suo capolavoro Iliade dove le parole di Omero si intrecciano alle violenze compiute dalla dittatura militare argentina. Il gruppo, oltre a produrre spettacoli in Europa, lavora su una ricerca della memoria andina, ricollegandosi ai miti del luogo. Nel 2010 César Brie è costretto a lasciare il Teatro de los Andes e la Bolivia a causa delle continue minacce dopo la realizzazione dei documentari Humilliados y ofendidos e Morir en Pando, riferiti agli eventi politici e sociali in Bolivia, e in particolare, ad una strage di campesinos nella regione del Pando. Attualmente vive e lavora in Italia.

1 Comments

  1. ci sono andata E DAVVERO ANCH’IO HO PERCEPITO QUASI LE STESSE SENSAZIONI. Le domande e le ragioni che muovono gli uomini in questi crocicchi esistenziali che ancora ci sequestrano da quanto è essenziale. Grazie. v

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