Ma cosa mangia l’homo poeticus? Un trifoglio? Penne all’inchiostro di seppia? Vive d’aria o di terra?-Danilo Kiš consiglia i giovani scrittori

Zdzisław Beksiński

Danilo Kiš- Consigli a un giovane scrittore

Coltiva il dubbio riguardo alle ideologie e ai princìpi dominanti.
Tieniti a distanza dai princìpi.
Fai attenzione a non inquinare la tua lingua con quella delle ideologie.
Persuaditi di essere più forte dei generali, ma non ti misurare con loro.
Non credere di essere più debole dei generali, ma non ti misurare con loro.
Non credere nei progetti utopistici, salvo in quelli che concepisci tu stesso.
Mostrati ugualmente fiero davanti ai principi e alle folle.
Abbi la coscienza tranquilla riguardo ai privilegi che ti conferisce il tuo mestiere di scrittore.
Non confondere la maledizione della tua scelta con l’oppressione di classe.
Non essere ossessionato dalle urgenze storiche e non credere nella metafora dei treni della storia.
Non saltare, quindi, sui “treni della storia”: è solo una stupida metafora.
Ricordati sempre di questa massima: “Chi centra l’obiettivo sbaglia tutto”.
Non scrivere reportage sui Paesi che hai visitato come turista; non scrivere affatto reportage, non sei un giornalista.
Non credere alle statistiche, ai numeri, alle dichiarazioni pubbliche: la realtà è ciò che non si vede a occhio nudo.
Non visitare le fabbriche, i kolchoz, i cantieri: il progresso è qualcosa che non si vede a occhio nudo.
Non ti occupare di economia, di sociologia, di psicoanalisi.
Non seguire le filosofie orientali, lo zen, il buddhismo, ecc., hai cose più importanti da fare.
Sii cosciente che la fantasia è sorella della menzogna, e perciò pericolosa.
Non ti associare con nessuno: lo scrittore è solo.
Non credere a quelli che dicono che questo è il peggiore dei mondi.
Non credere ai profeti, perché tu sei profeta.
Non fare il profeta, la tua arma è il dubbio.
Abbi la coscienza tranquilla, i principi non ti riguardano: sei tu un principe.
Abbi la coscienza tranquilla, i minatori non ti riguardano: sei tu un minatore.
Sappi che quel che non hai detto ai giornali non è perduto per sempre: è la torba.
Non scrivere a comando sui fatti del giorno.
Non scommettere sull’istante, te ne pentiresti.
Non scommettere neanche sull’eternità, te ne pentiresti.
Sii insoddisfatto del tuo destino, solo gli imbecilli sono soddisfatti.
Non essere insoddisfatto del tuo destino, sei un eletto.
Non cercare scuse morali per coloro che hanno tradito.
Guardati dalla “terrificante coerenza”.
Guardati da false analogie.
Credi a coloro che pagano cara la propria incoerenza.
Non sostenere la relatività di tutti i valori, la gerarchia dei valori esiste.
Accogli con indifferenza le ricompense dei principi, ma non fare nulla per meritarle.
Convinciti che la lingua in cui scrivi è la migliore di tutte, poiché non ne hai un’altra.
Convinciti che la lingua in cui scrivi è la peggiore di tutte, anche se non la cambieresti con nessuna.
“Ma perché sei freddo, e né caldo né freddo, io sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap. 3,16).
non essere servile, i principi ti prenderanno per un usciere.
Non essere presuntuoso, sembreresti l’usciere dei principi.
Non ti lasciar persuadere che quel che scrivi sia socialmente inutile.
Non credere che quel che scrivi sia un lavoro “socialmente utile”.
Non credere di essere tu stesso un membro utile alla società.
Non farti convincere che per questo sei un parassita della società.
Credi che un tuo sonetto valga più delle dissertazioni dei politici e dei principi.
Fatti un’opinione personale su tutto.
A te le parole costano poco.
Le tue parole sono le più preziose.
Non parlare a nome della tua nazione, chi sei tu per pretendere di rappresentare chiunque, oltre te stesso?
Non stare all’opposizione, tu non sei di fronte, sei sotto.
Non ti mettere accanto al potere e ai principi, tu sei al di sopra.
Combatti le ingiustizie sociali, senza farne un programma.
Non permettere che la lotta contro le ingiustizie sociali ti distolga dal tuo cammino.
Conosci l’opinione altrui e poi dimenticala.
Non fare un programma politico, non fare alcun programma, tu crei dal magma e dal caos del mondo.
Guardati da chi ti propone soluzioni finali.
Non essere lo scrittore delle minoranze.
Rimettiti in questione, appena una comunità cerca di adottarti.
Non scrivere per il “lettore medio”: tutti i lettori sono medi.
Non scrivere per l’élite, l’élite non esiste, l’élite sei tu.
Non pensare alla morte e non dimenticare che sei mortale.
Non credere all’immortalità degli scrittori, sono fesserie da professori.
Non essere serio in modo tragico, è una cosa comica.
Non fare il commediante, i boiardi sono abituati al divertimento.
Non fare il buffone di corte.
Non credere che gli scrittori siano “la coscienza dell’umanità”: hai già visto troppe canaglie.
Non farti persuadere che sei niente e nessuno: hai già sperimentato che i principi hanno paura dei poeti.
Non andare incontro alla morte per nessuna idea e non persuadere nessuno a farlo.
Non essere un vigliacco e disprezza i vigliacchi.
Non dimenticare che l’eroismo richiede un prezzo molto alto.
Non scrivere in occasione di feste e commemorazioni.
Non scrivere elogi: te ne pentiresti.
Non scrivere orazioni funebri per gli eroi della nazione: te ne pentiresti.
Se non puoi dire la verità – taci.
Guardati dalle mezze verità.
Quando tutto il mondo fa festa, non c’è ragione che anche tu vi prenda parte.
Non fare favori a principi e boiardi.
Non chiedere favori a principi e boiardi.
Non essere tollerante per educazione.
Non difendere la verità a ogni costo: “Con gli imbecilli non si discute”.
Non farti convincere che tutti abbiamo ugualmente ragione e che i gusti non si discutono.
“Essere in due ad avere torto non significa che si è in due ad avere ragione” (Karl Popper).
“Ammettere che un altro abbia ragione non ci protegge da un ulteriore pericolo: credere che forse tutti hanno ragione” (idem).
Non discutere con ignoranti di cose che sentono da te per la prima volta.
Non avere una missione.
Guardati da coloro che hanno una missione.
Non credere al “pensiero scientifico”.
Non credere all’intuizione.
Guardati dal cinismo, anche dal tuo.
Evita i luoghi comuni ideologici e le citazioni.
Abbi il coraggio di dire che la poesia di Aragon alla gloria della GPU è un’infamia.
Non cercare per lui circostanze attenuanti.
Non lasciarti convincere che nella polemica Sarte-Camus avevano ragione entrambi.
Non credere alla scrittura automatica e alla “deliberata indeterminatezza” – tu aspiri alla chiarezza.
Rifiuta le scuole letterarie che ti si impongono.
Quando senti parlare di “realismo socialista”, rinuncia a qualsiasi altra discussione.
Sul tema della “letteratura impegnata” rimani muto come un pesce – lascialo ai professori.
Manda a fare una passeggiata chi paragona i campi di concentramento con il carcere de la Santé.
Manda al diavolo cento volte chi dice che la Kolyma era diversa da Auschwitz.
Chi afferma che ad Auschwitz sterminavano solo i pidocchi e non gli uomini – tu sbattilo fuori.
E con chi sostiene che tutto questo rappresenta una “necessità storica” – stesso trattamento.
“Vien dietro a me e lascia dir le genti” (Dante).

Danilo Kiš, uno dei  romanzieri europei della seconda metà del secolo scorso, ritenuto il migliore anche se il meno acclamato.  E’ morto nel 1989. In Francia  Fayard pubblicò i suoi scritti nel 1993, quasi a ridosso del conflitto che si svolgeva nella ex-Jugoslavia e questo motivato dal fatto che la sua scrittura e le sue riflessioni erano di grande attualità, perché ruotavano con lucidità e asprezza intorno al rapporto tra ideologia e letteratura. La tardiva pubblicazione  delle sue opere in Italia, anche se succede spesso nel nostro paese, serve un’acclazione per portare un autore o un artista sul podio e in vetrina, riesce ad evidenziare un’attualità che permane in quelle parole, parole che  guardano al provincialismo letterario, chiuso in congreghe e botteghe, e al nazionalismo e territorialismo esaperato che sembrano fraternizzare con la situazione della Jugoslavia  degli anni Settanta-Ottanta, oggi vivo e ottenebrante le menti di molti nel nostro paese.

Kiš , nato a Subotica, in Voivodina (Regno di Jugoslavia), figlio di un ispettore ferroviario ungherese, di religione ebraica, e di Milica Kiš, una montenegrina di Cettigne,  perse suo padre, e diversi altri membri della sua famiglia, nei campi nazisti, e di questo porta chiare in sè quelle che possiamo definire le scritture dell’orrore : nazionalismi,  guerra, la follia del piano di stermino sia nazista che stalinista alle quali contrappone una scrittura  come luogo dei luoghi, ovvero chiave in cui la storia supera i confini di ogni fantasia, supera la capacità di lettura del reale ponendolo oltre, nel territorio inoppugnabile della poesia, anche se nato da cronaca della quotidianità, per farne una documentazione in cui l’immagine poetica guarda e vede ciò che tocca l’uomo. E’ una sfida ai limiti, alle barriere, alle imposizioni, e dentro quella sfida la ricerca dell’uomo, del suo enigma complesso, sfaccettato, niente affatto lineare  e quindi snocciolabile da archivi in cui leggere dati, lavorare ed elaborare numeri, lettori di transiti e transitorietà. Molto più arduo catturare un uomo: la sua complessità, si muove tra  ragione e follia, allucinazione e intuizione, depravazione e privazione, senso ed estraneità. L’ARTISTA NON PUO’ ACCETTARE DI ASSOGGETTARSI A UN VOLERE, A UN POTERE CHE CREI UNA QUALSIASI BARRIERA, CHE SEGNI UN PERCORSO DA SEGUIRE OBBLIGATORIAMENTE. Lo scrittore,  lavora in piena autonomia, afferma Kiš, in virtù della sua profonda consapevolezza politica, per la conoscenza ampia dei fatti storici, ed è questo che gli consente di non  lasciarsi strumentalizzare o di accettare censure, o patteggiare sui propri pensieri, le proprie posizioni, le scelte. Quanti possono, oggi, affermare di muoversi in tale autonomia? La libertà porta ad una guerra continua per evolversi dalle dogane e dai ghetti di  se stessi.

f.ferraresso, 2012 gennaio

“Homo Poeticus” di Danilo Kiš- Adelphi, Milano 2009.

Traduzione di Dunja Badnjevic

Riferimento in rete:

http://www.adelphi.it/libro/9788845923951

6 Comments

  1. Come dissentire? Ma i poeti sono persone, spesso con un io ipertrofico, e sbandano come tanti, come tutti.
    Dunque , facciamo del nostro meglio per avere presenti questi semi di saggezza e farli germogliare.
    Narda

  2. Che natura o un dio o un nume vi benedicano; per i granelli, le tracce, gli oligoelementi, l’interagire minimo, il dolcissimo rovello che viene da doni mai nuovi da “ripulire” e abitare, inutilizzabili se ricevuti supinamente e/o non intimamente accolti.

  3. Penso che chi scrive e quindi si guarda in più di uno specchio, possa verificare più degli altri, che sembrano andare di fretta, le proprie storture e i propri profili quando ognuno nell’altro si deforma. Chi scrive non penso sia sorretto dall’io se non come la gruccia di un abito, il sussurro di un suggeritore di cui tenere conto sì sapendo che di soffiata si tratta ma c’è altro, molto altro ancora. E proprio questo, il fatto della limitatezza, dovrebbe mantenere aperta la finestra di chi guarda la sua vita dentro il mondo trovandone non l’evasione ma la partecipata attenta cooperazione, fosse anche per starsene in silenzio tutto il tempo che serve per poi agire anche scrivendo. ferni

  4. danilo kis va spesso giù duro.
    mi piace che dica delle cose e il contrario di esse.
    è questo il principio del dubbio e il diritto di cambiare idea, sempre.
    di lui ho letto
    enciclopedia dei morti.

  5. Anticronia

    al sacrario del dubbio lo sguardo
    non volgere dagli spazi anteriori
    spregiando il sentore di retroguardia
    l’umore di grembo che ne smuove

    la dimensione vera -il suo di fianco.
    A margine, si sa, non hai occhi
    tremiti al più e un perenne limitare
    di latiboli oscuri, un fidarsi stanco

    qui svelta non s’avvolge l’onda della vita
    dall’abbraccio che sperde la parola

    se non vola.

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