nick knight- ritratto di leigh bowery
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Della notte. Del buio. Della solitudine. Di non essere visto. Non essere guardato. Ammirato. Odiato. Non essere amato. O non a sufficienza. Perché: c’è una “sufficienza” in amore? Di non averne mai abbastanza. Di non amare. Di amare troppo. Ma anche di niente. Assolutamente di niente. Delle ferite e dei tagli che non si chiudono, restano lì, bocche aperte, ingorde. Di non avere più idee. Non stupire più. Non sapere più. Paura di essere scuoiato. Di volere essere scuoiato. Di dover lasciare tutto e tutti. Dell’AIDS. Del dolore. Di non essere ricordato o di esserlo nel modo sbagliato. Di essere compatito. Ritagliato come le figurine che suo zio incollava su un album quando era ormai bruciato dall’Alzheimer. L’AIDS. Ho paura, Nicole, ho paura. Di essere lasciato. Di lasciare soli gli amici. Di stare male. Non riuscire più a godere del dolore. Non fare più paura. Lui, il gigante, l’orso, che, se solo avesse voluto, avrebbe potuto farli fuori tutti, bastava infilarli a grappoli tra le sue gambe e stringere fino a stritolarli. Di non sapere più trasformare il dolore in piacere. Un alchimista: questo era, uno stramaledetto alchimista. Paura di essere piatto, banale. Del grigiore. Del conformismo. L’AIDS. L’AIDS. Del buio. Del bambino rinchiuso nel seminterrato. Della menzogna. E non essere più visto e guardato e amato. Guardatemi, ecco, sono io. Sono qua. Guardate anche dentro al mio buco del culo: è tutto gratis, a vostra disposizione. Guardate il brillio della mia pelle. Dei miei piedi. La perfezione del mostro. Paura di essere un mostro. Di non esserlo più. Che tutti se ne vadano. Della morte. Paura di perdere tutto: gli amici, i capelli, le parole. Dell’asfalto. La ressa. Paura di non essere. Più. Niente. Di non essere. Di essere troppo. Di essere cattivo. Non esserlo abbastanza. Del male. L’ospedale. L’AIDS.
Erano forse queste le paure che abitavano in quel corpo grandioso e immenso e potente che Lucian Freud, il pittore, dipinse su tele a grandezza naturale o anche più grandi: seduto, in piedi, disteso, di schiena, davanti, di lato, per capirne, carpirne il segreto? Alcune, dico, delle paure?
O forse no, nessuna paura. Le aveva smaltite tutte Leigh Bowery le paure nella sua breve vita avventurosa, esponendo il corpo ad ogni sguardo, a ogni piacere, a ogni dolore.
.Quando per la prima volta mise piede nel suo studio, Freud, il pittore, pensava di dipingerlo in uno di quei travestimenti assurdi pacchiani pazzeschi surreali che Bowery, il fashion designer, il performer, l’animale notturno, l’omosessuale dichiarato si inventava: inimmaginabili costumi da boia, drag queen fluo, Jessica Rabbit in latex nero, massaia vittoriana con il casco da scooter o l’elmetto prussiano. Ma come entrò nello studio, Leigh si cavò tutto, pure la pelle si sarebbe cavato, se avesse potuto, e così nudo il pittore lo ritrasse: quel corpo grande, grasso, anche addormentato lo dipinse, con il suo enorme arnese a riposo, e uno scricciolo di donna gli mise al fianco, anche lei addormentata, così bianca e fragile lei, un mucchietto di ossa delicate. Eppure fu lei, proprio lei, quel donnino minuscolo che di nome fa Nicole Bateman e che lui, Leigh Bowery, sposò dopo aver finto di partorirla in uno spettacolo, a restare con lui, fino all’ultimo. Lei ad accompagnarlo in quel viaggio di cui nessuno doveva sapere. Se chiedono di me, dì che sono andato a Papua, in Nuova Guinea. No, all’ospedale no, non dirlo a nessuno. Neanche dell’AIDS.
Era il primo di gennaio del 1995.
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1993 è datato il dipinto di Lucian Freud, per il pittore la sua opera più potente e monumentale dove Leigh e Nicole sono ritratti a letto insieme. And the bridegroom (E lo sposo) decise di chiamarlo, pensando al verso And the bridegroom seeks the bride (E lo sposo cerca la sposa) dal poema “Epitalamio” del poeta inglese Alfred Edward Housman.
.NOTA. Il 3 gennaio 2023 ero a Londra. Uno dei motivi, non il principale, era vedere la mostra Lucian Freud: New Perspectives, alla National Gallery. Come spesso accade nella vita, che vai in cerca di una cosa e ne trovi un’altra che non ti aspetti, così, grazie a Freud ho scoperto la storia di questo artista che non conoscevo e mi ha emozionato profondamente. Leigh Bowery. Ho letto poi che Madonna, Lady Gaga, il fotografo David LaChapelle, e nel campo della moda John Galliano, Rick Owens, Maison Margiela, Vivienne Westwood e Alexander McQueen sono stati influenzati da lui. Ho guardato in rete le sue foto, i filmati delle performance: nessuno ha raggiunto quella pazzesca creatività, la folle e dissacrante vena narrativa dei suoi camuffamenti, la sua disperata, dissennata vitalità.
“La frustrazione che provo quando vedo come appaio: piatto, brutto e conformista, supera la diffidenza e l’insicurezza di vestirmi e apparire per come sono davvero. So che odio dover usare i mezzi pubblici o camminare nella ressa, se sono vestito nel modo che voglio, ma credimi, questo è il paradiso rispetto all’essere piatto”.
“Vestiti come se tua vita dipendesse da quello, oppure fregatene”.
Così scrisse Leigh Bowery nelle sue pagine di diario, prima di essere portato via dall’AIDS, a meno di 34 anni. Nicola Bateman era con lui.
Adriana Ferrarini
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fergus greer-leigh bowery-session IV look 22 (taboo)
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RIFERIMENTO IN RETE
Al link sottostante si può vedere una buona scelta dei suoi travestimenti:
Leigh Bowery. Se non l’avete mai incontrato prima, è il momento di rimediare
https://www.per-spex.com/articles/2019/3/4/taboo-the-legend-of-leigh-bowery