ecografia di un feto di 3-4 mesi
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La prima cosa è la convessità del ventre.
Una convessità ampia e lieve quanto la linea dell’orizzonte. Sopra il cielo, pieno di cirri annuncianti primavera, dentro la terra. In mezzo il mare ondulato e scuro che soverchia la spiaggia con le sue onde in una lunga notte di luna. E questo oceano, ora più fluido ora più viscoso, nasconde al centro una piccola, languida sirena che si offre docilmente al moto periodico delle maree – sei tu. Nuoti o ti lasci trasportare? Ti culli o sei travolta? Sei immersa nel mare, il mare profondo raccolto tra la linea dell’orizzonte e la battigia della spiaggia – la tua placenta.
Sotto di te il corpo di madre che ti sostiene. Sopra di te, il cielo stellato verso cui volare.
La mia mano si ferma ben oltre la linea dell’orizzonte – ci separano strati e strati di cellule vive. Le dita si appoggiano e accarezzano la convessità del ventre. Tastano, digitano, indagano. Ma ancora non ti sentono. La mano si illude di poterti dare calore, di scaldare il tuo mare notturno. Tu giaci, immota – in realtà, in un continuo, plastico dinamismo. Immota rispetto ai miei polpastrelli, al palmo che si strofina sull’ombelico materno, tua àncora verso il cielo. La mano ti cerca, ti protegge – vorrebbe plasmarti come creta.
Perché tu sei quell’essere in divenire ancora informe. Un vermicello con qualche appendice. Un po’ pesce, un po’ rana, un po’ lucertola, un po’ cucciolo di mammifero – ma all’inizio più pesce. Si dice che l’ontogenesi ricapitoli la filogenesi, massima evoluzionistica dell’anatomia comparata. E tu, embrione umano, sei tutti gli animali che ti hanno preceduto, sei il risultato d’una evoluzione senza fine. Potenza della natura – potenza dell’essere in potenza!
Embrione e poi piccolo essere umano, un feto – il fecondato, il cresciuto – con testa, mani, piedi e tronco. Adesso ti sto guardando, hai soltanto tre mesi e mezzo di vita intrauterina e già mi sembra che tu sorrida – mi sorrida?
Siamo alla terza ecografia. La ginecologa sparge il gel sulla pancia e intanto spiega i progressi dei nuovi ecografi tridimensionali che, invero, rimandano immagini di una precisione e nitidezza impressionanti. La osservo muovere la mano con il guanto sulla convessità del ventre che, a tratti, assume delle piccole concavità a causa della pressione che esercita la sonda. La mano si sposta con un sinuoso moto traslazionale e infine ruota la sonda con fare artistico, si direbbe quasi un balletto – pare stia guidando il timone di un’astronave che deve attraccare a una boa spaziale. Davanti a noi lo schermo, sfondo scuro e immagini in chiaro, verso cui siamo rivolti tutti e tre – o quattro? – con l’intento di afferrare al volo le immagini talvolta curiosamente piatte, talvolta prospettiche e avvincenti, che esprimono la tua vitalità.
Ti trovi nella tipica posizione accartocciata – fetale, appunto –, con le gambe piegate a novanta gradi, un braccio affiancato al torace, l’altro che si muove continuamente nel liquido amniotico e ogni tanto con la mano tocca la fronte, sotto la quale intravedo una parvenza soffice come crema: la forma rudimentale di un naso a patata.
La ginecologa ferma le riprese, scatta fotografie, compie misurazioni tracciando segmenti bianchi sullo schermo a congiunzione di punti antropometrici indecifrabili. Adesso cambia la prospettiva, da sagittale a frontale, e risalta in tutta chiarezza la tridimensionalità dell’immagine: sei tu! – mia figlia! Un viso con occhi, naso e bocca, un corpo robusto di un’altezza che raggiunge il novantacinquesimo percentile. Che emozione!
La sonda ruota e vedo due mezze lune affiancate che si formano e si sfaldano – a seconda della profondità a cui arriva l’ecografo. Di nuovo, due semicerchi sempre più nitidi appaiono davanti ai nostri occhi. Sono gli emisferi cerebrali in formazione, dice la ginecologa, stiamo guardando il cranio dall’alto.
Mi manca il respiro. In effetti, ora vedo i contorni del tuo volto. Mi sembra quasi una mancanza di pudore l’intromissione digitale che stiamo compiendo. Entrarti nella testa, scandagliarti il cervello mentre tu, indifesa, non puoi opporre alcuna resistenza a questa imbarazzante invasione – eppure siamo fermi sulla convessità del ventre, non stiamo violentando il tuo corpo.
Volete sentire il battito del cuore? chiede la ginecologa. Sì, certo. Mi metto in posizione: inarco il busto, chiudo gli occhi e mi metto in ascolto del tuo cuore. Sento la pulsazione –
E la pulsazione dice: Io sono qui, tu dove sei?
Lorenzo Galbiati