CARTESENSIBILI- PER AUGURIO : Un tralcio di vite un ramo di bacche e una manciata di semi. Insomma una semina da condividere insieme.

federica galli

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Lo spirito dell’infanzia è insopportabile per il mondo. L’infanzia è ciò che il mondo abbandona per continuare a essere mondo.
Christian Bobin, Mozart e la pioggia 

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Un resoconto di fine anno, anzi un tralcio di vite e un ramo di bacche visive e di memorie, una piccola raccolta di semi buoni da giorni e giorni di una vita intera e in terra, con il cielo dentro e attorno la testa, le mani le braccia, nelle tasche e nei polmoni tutti i suoi colori sapori umori e i fiati essenziali.
Se penso alle mie nonne e ai nonni soprattutto, alle vecchie zie e a mia madre, non posso non vederli tutti a curare, raccogliere e osservare, tutta la loro vita a cercare e ricercare, coltivare e insegnare. Lasciare nelle mani e nella mente dei figli, dei nipoti, anche degli amici qualcosa che io stessa ho ricevuto da loro. Guardare i loro gesti sicuri nel raccogliere
 è sempre stato come portarsi a casa un po’ dei campi o dei boschetti degli argini,  delle rive dei fossi, dei cavini a partitura degli aperti spazi. Le loro parole, sempre numerabili e contate, parsimoniose e chiare raccontavano la bellezza di ogni erba o pianta, o comune vegetale, indicandone le caratteristiche preziose, per la salute o per la preparazione di decotti, infusi e cibi per la tavola di tutte le stagioni, oppure utili per sfamare gli animali di casa, o sanarli da qualche loro problema. Anch’essi facevano parte della famiglia. Ricordo che sia nonna che la mamma chiedevano scusa e ringraziavano per ogni vegetale raccolto, come in una liturgia sacra, un rito in cui la vita si dona attraverso le sue tante forme, i suoi innumerevoli corpi. Tutti, tutti, esseri viventi.
Le ghiande erano per me la raccolta della meraviglia, le preparavamo per Natale in graziosi mazzetti da appuntare sulle giacche o sui cappotti, come spille, ma molto, molto più belle di tutti i gioielli.
Tornare a casa con i graffi sulle gambe era uno speciale riconoscimento per avere aiutato a raccogliere piante e semi, imparando i loro nascondigli. Non tutte le erbe si mostrano e molte piante hanno difese davvero temibili, grosse spine che pungono dolorosamente.
L’orto di nonna e anche il nostro, si accresceva ogni volta di altre specie, perché anche nell’orto c’è una particolare comunità di piante che si proteggono l’un l’altra tra loro o indicano la sofferenza di una specie cresciuta accanto e con necessità di trattamenti più diretti, magari da parte di alcuni insetti. Ci sono piante che richiamano le farfalle, altre che richiamano le api, altre specie che fanno da ospizio per gli uccelli e tutti insieme formano un cerchio magico a protezione della comunità vegetale.  Vedere nascere e crescere una pianta dà una gioia immensa, ma vedere quella comunanza in cui anche noi siamo parte a favore della vita, è qualcosa di impareggiabile. Ti rendi conto abbastanza presto, se le osservi tutte, che sono loro, quelli, gli esseri viventi, sono loro la specie superiore e più evoluta di noi.  Stando ferme, il piede piantato in terra, riescono a superare il travaglio di stagioni terribili e di produrre magnificenza, ciascuna in una modalità incredibile e diversa dalle altre. Antiche presenze del pianeta, saranno qui anche dopo la nostra scomparsa. E’ perché loro hanno colonizzato la terra e ripuliscono il cielo che noi siamo presenti, è da loro che noi tutti dipendiamo. Per questo loro continuo lavoro anche a nostro favore dovremmo essere grati, avere rispetto, prodigarci ad averne cura.  Invece se ci mettiamo a fare un calcolo ciò che troviamo è lo specchio della nostra attuale globale tragedia. Abbattimenti per speculazioni, per manipolazioni dei territori e degli equilibri vitali, dei cicli climatici. L’indifferenza e la superficialità, l’unico obiettivo del profitto rapido e a tutti i costi, ha inquinato gravemente ogni rapporto tra gli esseri e dentro ci siamo anche noi, sempre più incapaci di guardare e di vedere, di comprendere, di essere grati per la bellezza e la ricchezza che ci viene donata da ogni seme  bacca o fiore attraverso cui l’habitat continua a mantenerci in vita. Invece oggi, soprattutto i bambini, non hanno la possibilità di conoscere e osservare nell’arco di tutte le stagioni questi miracoli, queste comunioni tra tutti gli esseri viventi, grandi piccoli o infimi, le nuvole, il vento, la pioggia la neve…Se fosse possibile, se lo fosse dovunque sulla faccia della terra, forse le domande da porsi sarebbero diverse e le risposte avrebbero come centro la vita in una comunione reale di intenti e risorse. Forse, dico forse, allora vivere sarebbe un’esperienza decisamente migliore.
Questo l’Augurio per quest’anno e quelli che verranno come una natività continua, da fiorire ciascuno in sé e da coltivare e condividere senza temere di soffrire nessun genere di perdite.


Fernanda Ferraresso 

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federica galli

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nella foresta invernale
il bagliore soffice della luna
accarezza un abete:
ebbene si, rinascerà la vita.
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Kit Sutherland
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federica galli

 a Masha Amini
Oggi non sono qui
Come ieri, esattamente come il giorno
Prima di ieri e così via.
Io non sarò mai più qui.
I miei capelli mi han tradita?Non loro, cara, tutti gli altri.
L’ipocrisia del mondo intero
Ci tradisce, questa indifferenza
Che si fa colma in ogni stagione
Che le vene ci attraversa.Cosa può una poesia offrire
Alle miserie della vita nostra?
Un sospiro, un monito, un brivido
Di schiena, un rigurgito,
Finalmente?Oggi non sono qui.
lo non sarò mai più qui
A pettinarli i miei capelli, a srotolarli
Come preziosa pergamena.
Oggi non sono qui. Ricorda.

Anna Lombardo
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.federica galli

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RACCONTO DI NATALE

Sapevo che presto avrei scorto l’albero.
Lo si vedeva da lontano nel percorrere la via tortuosa che portava su in cima, da lì, da quel punto, appariva come una sentinella quieta eppure attenta; ma, appena svoltata l’ultima curva eccolo in tutta la sua magnificenza di rami nodosi e di tronco forte di anni. Verso il cielo qualche foglia leggera e tenace si slanciava dandomi sempre un senso di libertà e di espansione. Ci ero salita su quei rami e mi ero avventurata sino a su in alto, d’estate, tra i frutti del grande castagno; tutto da lì appariva diverso, non più piccolo, solo diverso.
Dietro l’albero ecco la casa che avremmo abitato per le vacanze di Natale. Ci aspettava dall’estate e nell’aprire le imposte ne avremmo sentito la gioia a non sentirsi più così sola.
Ero una bambina allora e me ne stavo tranquilla sulle ginocchia di mia madre che sedeva al fianco di mio padre che guidava. Dietro c’erano i miei due fratelli e la nonna.
Ma non saremmo stati soli ad aspettare il Natale, a noi si aggiungeva la famiglia della zia Assunta, sorella della mamma, con i suoi quattro figli, e la famiglia di mio zio Adolfo, fratello di mio madre, con i suoi cinque figli, che, siccome tutti in macchina non ci sarebbero stati, si dividevano viaggiando nell’ultima macchina, dell’ultimo fratello sempre di mia madre, zio Vincenzo. Era una grande famiglia la nostra, allegra e sempre con racconti da portare quando la sera ci si raccoglieva intorno al fuoco.
E per noi bambini sarebbe stata una gioia stare così tanti insieme, molto più liberi di quanto non lo fossimo nei nostri appartamenti di paese; intanto, vicino alla casa, c’era una costruzione, una specie di torre, dove potevamo raccogliere quanto di ricco il bosco aveva già donato al suolo, tronchi, rami, fogliame, bacche, ricci di castagne…ne avremmo fatto capanne che poi avremmo coperto con vecchie stoffe e con nastri colorati.
Ma…soprattutto, la torre era più vicina al grande albero e, ai piedi di questo, in un incavo c’era la tana della mia amica. L’avevo chiamata Rosina, anche se il suo colore era in verità più aranciato, ma…da volpe, volpina, era venuto fuori Rosina, e quello era rimasto negli anni.
I grandi non sapevano di questa amicizia, non ci lasciavano andare oltre il castagno proprio per timore che incontrassimo animali selvatici. L’unica a saperlo era mia cugina Anna, più piccola di me ma capace di mantenere un segreto e abbastanza impavida da seguirmi. Eravamo insieme quando l’avevamo trovata gli scorsi anni, e ogni volta l’eccitazione di poter rivedere la sua lunga coda e i suoi piccoli occhi ammiccanti, ci riempiva di gioia come per un miracolo antico.

Lei non si lasciava avvicinare troppo, stava a debita distanza, ben piantata sulle zampe ma pronta a scivolare via nel bianco intorno, ma, e anche qui c’è un ma, se le portavamo un piccolo avanzo di carne arricciava lievemente i baffi e muoveva un passo, e poi un altro verso noi, sino a spingersi all’ultimo, abbastanza vicino perché glielo si potesse lanciare quasi in bocca.
Il giorno dell’arrivo non poteva essere quello dell’incontro con Rosina, troppe cose da fare anche per noi bambini; intanto c’era l’albero da scegliere e da addobbare, rigorosamente fuori casa perché restasse vivo e abbastanza pieno perché gli si potesse posare tra i tronchi piccoli addobbi natalizi e bacche rosse e, solo il giorno di festa, torroncini e biscotti di varie forme avvolti in stagnola colorata. Poi c’era da aiutare nello spostare qualche mobile perché la grande sala, vicina alla cucina potesse vederci tutti seduti al tavolo e infine bisognava trovare delle calze, il più grande possibile, per poter ricevere i regali che la befana vi avrebbe infilato e infine bisognava appenderle, con mollette colorate con su scritti i nostri nomi, a un filo robusto che correva lungo il muro più vicino al camino.
Il giorno dopo eravamo però pronte; mentre cugini e fratelli recuperavano rami nella torre per poter costruire le capanne, noi ci dichiarammo pronte a cercare le bacche che non potevano essere quelle dell’anno precedente perché ormai avvizzite e da gettare nel fuoco.
Ci avvicinammo caute ed eccitate al grande albero e ci fu un frusciare tra i rami secchi di piccole creature che si spingevano su in alto. Riuscimmo a scorgere la coda di uno scoiattolo.
Alla base tra i nodosi rami, che facevano conche in certi punti, cercammo la sua tana. Era come negli altri anni ammorbidita da terra e da foglie che apparivano fresche, ma di lei un po’ più lontana non c’era traccia. Rimanemmo deluse raccogliendo ricci di castagno e lasciando, perché sapesse di noi, un pezzo del tacchino avanzato.
Al mattino seguente, perché naturalmente avevamo fatto in modo che i ricci non fossero abbastanza, nuovamente ci recammo all’albero e alla sua tana.
Il pezzo di tacchino era rimasto lì nel fondo, nascosto tra le foglie.
Mi prese un senso di smarrimento e paura, simile a una lieve vertigine.
Lasciai Anna lì di vedetta e mi avventurai sola tra i dintorni. Piccoli spilli di ghiaccio mi entravano tra le mani che tenevo scoperte ma proseguii. E la trovai.
Era distesa, quasi riversa e non scappò quando mi avvicinai.
La prima cosa che misi a fuoco fu il suo sangue sulla zampa e sulla trappola che la imprigionava, e poi il suo sguardo di bestia braccata.
Le gridai solo di aspettarmi e corsi, corsi sino ad Anna, e con lei corsi sino a mio padre. Era l’unico che poteva salvarla e non temevo la punizione che avrei
comunque ricevuto.
Lo trovai per fortuna all’esterno occupato a spaccare piccoli tronchi con l’ascia.
Bastarono poche frasi per il mio racconto, e del resto lui non era uomo da tante parole… Mi guardò accigliato e gli si scurirono gli occhi, ma prese degli attrezzi e degli stracci e dei legacci anche.
Rispedì Anna tra gli altri bambini ma a me permise di camminargli al fianco, non credo, a ripensarci che ne fosse contento, ma non aveva scelta per trovare il luogo che avevo chiamato “dell’agguato”.
Per prima cosa chiuse la bocca di Rosina con un legaccio, e non valsero le mie parole a renderla più tranquilla, poi deciso aprì la trappola liberandole la zampa e fasciandogliela stretta.
Infine, tenendola ancora tra le cosce, le tolse il legaccio dal muso dandole anche un piccolo buffo sul posteriore perché si avviasse verso la libertà.
Rimanemmo incerte entrambe, lei perché stremata e io perché triste.
Sentivo che non l’avrei più rivista e non mi bastava saperla viva per essere felice.
Piansi per il nostro abbraccio mancato.
Si avviò verso il fondo del bosco tenendo leggermente alzata la zampa, io presi la mano di mio padre e senza una parola fissammo insieme il fumo che usciva dal nostro grande camino.


Teresa Mariniello.

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federica galli

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Alcune domande sulla gentilezza
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Comporta forse dei costi la gentilezza?  Attiene
a una quotazione di borsa? Dipende
da oscillazioni di mercato?  Qualcuno pensa
che non sia da veri uomini?  Sia una faccenda
tutta al femminile? Forse che non ci vogliono
attributi?  La gentilezza di un albero
non è il risultato di una forza?  La gentilezza
del miele non proviene da una profusione di energia?
La gentilezza del sole è segno di debolezza?
E il vento? Non è gentile il vento?
Osservo la gentilezza del cielo e mi chiedo
se esista la possibilità del contagio, se
non sia da augurarsi
un’epidemia di gentilezza.


Paolo Polvani

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federica galli

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DOPPIA PROSPETTIVA- due modi di guardare

I

La retorica del Natale arriva puntualmente, ogni anno, con le sue luci e i regali, e come sfuggirla?
Mai nessuno che abbia il coraggio di dire:«Ti auguro un Natale come viene» così da poter rispondere:«Grazie, anche a te».
No, a Natale siamo tutti più buoni, lo vuole la consuetudine. Eppure Natale arriva anche dove c’è la guerra e nei campi profughi, dove c’è fame e privazioni e là i nostri auguri sono davvero parole vuote. Niente luci, regali e cenoni per loro.
Meglio ignorare cosa pensano di questa festa anche i senzatetto, i migranti e i poveracci in genere, quelli che il poeta veronese Berto Barbarani chiamava “i pitochi“.
Intanto facciamo bella la casa, adorniamo l’abete, vero o finto che sia, appendiamo la ghirlanda alla porta, ci rimpinziamo di prelibatezze a vantaggio di colesterolo e glicemia, a gennaio seguiranno ginnastica e dieta.
E gli “ultimi”? A loro ci pensano il Papa, la Comunità di S. Egidio, la Caritas e le dame di S. Vincenzo. La beneficenza insomma, che da sempre fa bene a chi la fa perché agli altri cambia poco o nulla della loro situazione, ma regala un profondo senso di autocompiacimento a chi dona.
Troppo cinismo? No, solo tante decadi di questa festa mobile che chiamiamo Natale. Qui ci sono un abete spelacchiato che sorregge malamente le decorazioni, una casa vuota e un corpo malato. Ingredienti certificati per un pessimo Natale.
Auguri a voi per un Natale come viene.

II

La fatica più grande è stata portare giù l’albero dalla soffitta, l’ho montato e decorato in due tempi e adesso luccica e pare quasi bello.
Ma devo ancora pensare a tutto il resto: regali, menù e, soprattutto, preparare le camere.
Procedo con ordine, una camera al giorno, completa di lenzuola e asciugamani, spolvero i mobili e i libri.
Cerco di predisporre una casa accogliente nella speranza che i dettagli parlino per me e trasmettano il mio affetto e il pensiero che cullo da mesi di rivederli tutti. Natale è l’unico momento dell’anno in cui ci ritroviamo insieme, e con una famiglia sparsa nel mondo e spalmata sul Paese, non è un’impresa semplice.
Mi stanco facilmente, devo fare delle pause,  però mi aiuto annotandomi le priorità, cerco di non dimenticare quello che si aspettano di vedere: la ghirlanda alla porta, le luci sull’abete, le candele sparse nel soggiorno, la tovaglia rossa ben stirata con i tovaglioli piegati ad albero…
E poi tutte le nostre P, a cui indugiamo tra le  chiacchiere, il  Bingo e i pranzi: Panettone, Pandoro, Pavlova, Pudding , nel senso di XmasPudding, che ho appena ordinato online, Panforte, e infine Plumcake e  Pane valdostano con fichi e noci, che preparo io, la vigilia.
Basteranno questi sforzi a farli stare bene per quarantotto ore vicino e intorno  a me? Riuscirò a sorprenderli con i miei regali e incrociare i loro desideri? Serberanno nei mesi a venire il ricordo di questi momenti condivisi?
E proveremo ancora una volta a giocare alla famiglia come se i decenni, i lutti e la distanza non ci fossero mai stati?
Non lo so, ma mi impegno ogni anno perché succeda.
Vi auguro un sereno, bianco e buon  Natale.


Laura Bertolotti
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federica galli

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. . .  Yasser desidera una casa, Glory vorrebbe un lavoro, Alina la fine della guerra, Jaroslav che suo figlio torni dal fronte, Aisha vuole ballare tutta la notte, Dakarai sogna di andare alla Mecca, Rashid spera di raggiungere l’Europa, Ornella prega che i figli tornino a Natale, Oscar vorrebbe tornare a camminare, Caterina imparare ad amare, Noel vorrebbe un trenino, Lucia un cappotto nuovo, Umit riuscire a comprarsi un’auto, Adele rendere felici i suoi bambini, Abdul essere amato da Noor, Kumiko prega che la nonna torni dall’ospedale, Larisa che con il Natale venga la pace, Vesna vuole diventare un’attrice, Nicola un campione di scacchi, Karel un calciatore del Milan,  Carmen brama scarpe in seta con i tacchi, Chen vuole aprire un ristorante, Milena non fare più la bracciante, Paolo spera di arrivare a fine mese, Angie vuole tornare al suo paese. . .

. . . quanti desideri in fila davanti alla culla del Bimbo divino. Quanti! E la fila continua continua. Da una parte e dall’altra non se ne vede la fine. Il piccolo Bimbo ha orecchie fini e un corpo di Luce. Non sente il freddo e la fame. I desideri sussurrano, tremano al vento, salgono lenti su verso il cielo. Che il piccolo Bimbo li possa ascoltare. Tutti.


Adriana Ferrarini

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federica galli

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Eccoci arrivati. Scostiamo la neve, fermiamoci. Abbiamo camminato tanto… Sediamoci qui. Tutto è semplice a perdita d’occhio; la natura è nella fase di quiete, di sonno, protetta da un manto leggero e candido..
Nelle nostre case siamo al caldo. Dal resto del mondo arrivano echi lontani, accenni. E’ tanto il dolore. Poi spariscono, cambiano. Sì succede, ma non pensiamoci troppo. Assolviamoci se non riusciamo a fare niente di significativo, non per indifferenza ma forse a volte per sopravvivenza.
Fermiamoci. Sediamoci insieme, come facevano da millenni donne e uomini saggi: in circolo sui grossi massi discutevano e prendevano decisioni per le loro comunità: il popolo attorno ad ascoltare.
Sediamoci, come facciamo noi quando dobbiamo ricordare chi se ne è andato da questa terra: ne parliamo insieme nel nostro giardino, cantando, piangendo. Sediamoci, come quando ci incontriamo per tentare di chiarirci le idee, sulle panchine di pietra rotonde, in un colloquio tra chi vorrebbe capire l’incomprensibile.
Ed ora la mia mente ricorda: da piccola il Natale era la nascita del bambino Gesù. Nel presepio preparato con cura arrivava il 24 notte. Non si facevano regali. Quando i Magi giungevano alla capanna il 6 gennaio, festa della Befana… allora sì, c’era una grande attesa da parte di tutti noi piccoli. Le Befane erano povere a quel tempo, fatte con poche lire e tanta fantasia: al mattino la tavola era piena di dolci e bambole di stoffa, caramelle e poesie…Ricordi dolcissimi.
Mi fermo e guardo. Quella piccola casa là in fondo dà il segno del riparo necessario, ospiti dell’immensa natura, dove ora il ghiaccio e la neve creano immagini preziose.
Facciamoci gli auguri. Ascoltiamoci dentro, ringraziamo di esserci, di non essere soli in questo tempo così difficile. Godiamo del buono che abbiamo e fermiamoci ad osservare la bellezza, le tante bellezze, le piccole gioie, inchiniamoci all’amore e ai segni che dà, per quanto possano essere tenui. E accogliamo ritmi diversi che permettano di vivere.
Ascoltiamo e diciamo parole di affetto e di amore perché è di questo che tutti abbiamo bisogno.
Auguriamoci di saperlo fare.


Vittoria Ravagli

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federica galli

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DAL MIO DIARIO

Questi sono i giorni che precedono la festività del Natale. Lo si deduce da tanti aspetti sparsi per ogni dove. Ogni giorno che trascorre si avvicina al venticinque dicembre, come fosse una data da consumare. Per non parlare delle vie delle città che straripano di merci inesauste stipate nei reparti dei negozi, dei ristoranti, dei fast food e ovunque;  nelle vie i segni si palesano per offrire la merce della festa. A me il fasto può fare un effetto opposto. Sarà per il lutto, sarà per come mi sento e per cosa mi si raccoglie tra un pensiero e un altro, ma non me la sento di occuparmene. Il nostro scatolone natalizio rimarrà in cantina questo anno, almeno per quanto mi riguarda. Per me si tratta di pensare, di scrivere, di dare forza a chi la chiede, di misurare nuovi passi perché così – e non ci vuole un chissà quale pensiero – non ci siamo proprio.
Ho sempre la paura che sia una grandissima beffa il confluire di troppi comportamenti umani. Anche il mio miserere non mi acquieta per nulla. A chi le propongo le mie profezie? Chi non scapperebbe nel sentirsi dire che tutto dovrebbe essere cambiato!
Cambiare dal dentro e preparare devotamente una infiorescenza.
Il senso della critica non mi interessa così come ho creduto. È il dolore che percorre la mia colonna vertebrale. Se lo facciamo noi il mondo, e ci diciamo parole bellissime, perché non ce la facciamo a cambiarlo?
Alle persone più sole, più emarginate, più disperate… il Natale non fa tanto bene.
Ci si riunisce in casa, in famiglia, e si festeggia l’Avvento, potrebbe essere molto piacevole starsene nelle zone del calore.
Ma, in questo anno, la mia tristezza mi blocca e sono felice di questo. Non riesco neanche a dire: Buon Natale.
Auguro una rivoluzione interiore!

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Francesca Eleonora Capizzi
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federica galli

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Abbraccia tutta quella quercia anche se non congiungi le dita. L’imperfezione è vita. Vedrai donne danzare in cerchio, udrai la loro voce che trafigge i sensi come freccia in un sogno.
Dentro i rami c’è il respiro delle loro parole, lo senti se poggi l’orecchio sulla scorza antica. Megafono del silenzio.
Albero nudo d’inverno intriso d’acqua, saldo nel tronco basso e tozzo, dimmi, quante donne hanno ballato attorno a te in cerca di quiete. Eri frondoso o scarno di luce? Dimmi, tu che sai le parole-respiro, conosci la gioia di fare pipe da ghiande? Sono mani bambine che scavano, intrappolano la piccola canna e aspirano per imitare lo gnomo sulla porta piccina, spiato nel bosco.
Alza lo sguardo e osserva il labirinto dei raggi di quercia. Supera il disorientamento dei sentieri incolti, interrotti, in ypsilon discesa. È vita nel cammino non tracciato. Guarda lo scoiattolo che salta senza paura.
Respiro parole, le sento salire e quanta fatica fanno nel divenire. Le donne che danzano attorno alla quercia al chiaro di luna le chiamano Streghe o sono Fate in trasferta, senza l’azzurro cono e strascichi di velo? Né l’una né l’altra. Però sanno quali rametti staccare dalla grande madre quercia per magiche bacchette. Le portano in tasca, le usano come farmaco che sana nella restrizione. Un tocco leggero e trasformano le foglie secche in vive, i petali morti in fiori. E voilà! Ghirlande di corolle attorno al capo, profumano d’estate anche se è rigido inverno.
Insieme con loro danza e chiedi Speranza per ogni foglia che verrà, sui rami sempre più allungati che cercano vita oltre il limite dello spazio bianco accogliente di un album da disegno.
Vieni pulviscolo di stelle, brilla sui raggi d’albero distorti dal vento, dissolvi l’umido che entra nelle ossa, illumina l’ondeggiare dei nastri che dita di Donna Silvestre hanno scelto per noi, baciati e annodati, segno buono nel chiaro di luna crescente.

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Elianda Cazzorla

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federica galli

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la voce nel frastuono di suono di metallo
cercava una postura d’ordinanza,
………………………………………………….. la scia
dell’ultima cometa polverizzava molecole
di carbonio, idrogeno
………………………………………….ma emissioni 
d’infrarossi nell’esplosione..  di supernove
restituivano una miscela di anelli aromatici 
simili a catene alifatiche e ………..al pianeta
ciò che era giovanissimo,
………………………………dopo lungo silenzio
quando il tempo……..spazio……….non era 
e le stelle intatte brillavano nell’oscuro cielo
cobalto nero ……….e le stelle non cadevano
sulla testa dei disperati,………….e le donne
come Eva…….potevano………..liberamente
attingere alla Vita…………….senza censura 
di potere costituito,……………….potevano
imprimere…………alla vita…….la direzione 
d e s i d e r a t a,…………………come stare 
nella……..natura……….di          corpi  
in relazione ai propri desideri, boschi e foreste, 

…………quale storia generare, dal coacervo
. …del fuoco dei secoli,……quali nemici in noi
di algebre complete,           sconfiggere……ancora, e
alberi da piantumare,………ora che è necessario il rifiorire
della vita……….da ogni sillabo……di governo incivile, ora
che è ora che non torna nuova, se non si fa insieme la storia


Maria Grazia Palazzo

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federica galli

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VIAGGIANDO INSIEME FINO AL MATTINO

Quando il viaggio si fa inoltrato e la notte ci sorprende in regioni aspre e solitarie non possiamo tornare indietro, ma solo procedere camminando, magari cantando, per sentirci meno soli e per mantenere accesa quella lampada che dovremmo essere a noi stessi, come affermava Buddha.
Il viaggio notturno, se sappiamo riconoscerlo come autentica opportunità, si carica di preziosi significati: i sentieri della notte hanno molte cose da raccontarci.
Così, proprio in questo periodo, il più buio dell’anno, si agitano ricordi, rimpianti e nostalgie che affiorano alla nostra coscienza dal pozzo oscuro dell’anima: sono le presenze-assenze di coloro che non ci sono più, che vivono in un’altra dimensione, ma anche immagini di ciò che eravamo e di ciò che siamo.
Quelli legati alla fine dell’anno e alle feste natalizie e solstiziali sono passaggi fondamentali che per ognuno si caricano di significati particolari e costituiscono un passaggio simbolico importantissimo.
Le dodici notti che vanno dal 24 dicembre al 6 gennaio segnano un percorso interiore in cui operano potenti forze spirituali, capaci di divenire importanti pietre miliari nel cammino della conoscenza.
Le feste che scandiscono la ciclicità del tempo nel corso dell’anno non sono state istituite casualmente, ma sono simbolo ed emblema di una realtà spirituale.
Come non pensare, in questi giorni brevi e bui, a Santa Lucia e a San Giovanni della Croce, due profondi conoscitori dell’Oscurità e della Luce: la prima, patrona della vista e guida di Dante nell’intraprendere il difficile cammino di salvazione, il secondo, immenso Poeta della Notte Oscura dell’Anima.
Entrambe le loro feste cadono rispettivamente il 13 e il 14 Dicembre, nell’ultimo mese dell’anno.
Vivere l’epoca attuale non è facile: cataclismi, pandemie, guerre, lutti e povertà hanno segnato la vita di moltissime persone.
Il dolore e lo smarrimento tengono in ostaggio le nostre emozioni e impediscono di guardare avanti, lo scoramento e la paura ci paralizzano.
Sarebbe facile rintanarsi e ripiegarsi in noi stessi, lasciandoci vincere dalla disperazione, oppure diventare aggressivi, pieni di livore e risentimento nei confronti del mondo, ma possiamo invece accogliere tutto questo e decidere di attraversarlo.
Immagino un lungo cammino freddo e buio compiuto in una notte che sembra non finire mai.
Le ombre degli alberi nudi si allungano sui nostri passi.
Le assenze e le ferite che ci portiamo dentro sono diventate insostenibili.
Ricapitoliamo i passaggi della nostra vita e la mente si spaura perché non sa immaginare un futuro.
Lancinante è la consapevolezza di quanti agguati incombano su di noi.
Eppure, lontano, nell’oscurità più fitta degli alberi si apre una radura e in cielo brilla la luce di una stella.
Restiamo in ascolto.
Apriamoci al mistero e lasciamo andare il peso che stiamo portando, accogliamo il presente per quello che è, con i suoi vuoti, le sue mancanze, le sue insufficienze.
Nessuno può credere di poter attraversare la vita restando integro.
Siamo stati toccati nel corpo e nello spirito, come Giacobbe dopo il lungo combattimento con l’Angelo.
Accettiamo di essere feriti, vulnerati ed esposti, abbandoniamo ogni forma di resistenza.
Camminando, lentamente cominciamo a uscire dalla nostra notte interiore.
Il nostro olfatto inizia a percepire il profumo del muschio, della neve.
Gli occhi ci bruciano, per aver pianto troppo o troppo poco, ma percepiscono in lontananza un chiarore appena accennato.
Accarezziamo la corteccia degli alberi, sentirne le asperità e le rugosità infonde coraggio.
Ci fermiamo a una fonte che zampilla a lato del sentiero, beviamo un sorso d’acqua pura che ci riconforta.
Sentiamo il rumore di altri passi, simili ai nostri e ci accorgiamo che tutto questo buio non lo stavamo attraversando da soli.
Molte altre persone camminavano insieme a noi e non ce ne eravamo accorti.
Avanziamo insieme verso la luce.
Quando così inoltrato si fa il viaggio non si può tornare indietro, ma solo continuare a procedere fino al sorgere dell’Aurora.

 

La Dea Madre Oscura
sparge le sue piccole piume bianche sulla terra
è ora di dormire e gli spettri iniziano
la loro sarabanda invisibile

Tutto tace sotto la sua coltre di gelo
ma un timido chiarore inizia a filtrare
dal fondo del pozzo
quando ogni avventura volge al termine
comincia il lento riaffiorare della Luce

Chiudi gli occhi e sogna
tutto torna nel corpo del sogno
che reclama ciò che per diritto gli spetta

Procedi con il tuo intento inflessibile
operando lì dove i più hanno abdicato


Lucia Guidorizzi



4 Comments

  1. Molto bella. Tanti tanti cari Auguri per un sereno Natale e un Nuovo Anno con il nostro impegno perchè sia nel segno della Pace. >

      1. Un AUGURIO con tutto il cuore per un Nuovo Anno pieno di salute, serenità e bellezza.

        Zaccaria Gallo >

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