CON UNA CANZONETTA POPOLARE RISTABILIREMO L’EQUILIBRIO- Paolo Polvani: Note di lettura a Lavorabile umana di Elisabetta Stragapede

deb garlick

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Il verso di Patrizia Cavalli “Le mie poesie non cambieranno il mondo” mi è sempre stato utile per inquadrare la poesia in un ambito non compresso da un soverchio ottimismo, per restituirle un principio di realtà fondamentale. Lo conservo come si conservano sulla scrivania le foto dei propri cari, e lo riguardo sempre quando incrocio raccolte di poesia che gettano uno sguardo empatico sul mondo circostante, e sviluppano temi che ben si inquadrano nella cosiddetta poesia civile, come accade nel libro di Elisabetta Stragapede, La variabile umana. Ma se non scalfiscono gli assetti della politica, dell’economia, in definitiva di tutto quello che della realtà appare, costituiscono allora un soffio destinato a svanire? a perdersi nel corso della loro vita di fugace cometa? 

Una prima risposta è che costituiscono una testimonianza di un corpo a corpo con la lingua, di un tentativo di piegarla, di manipolarla, e in ultima analisi di valorizzarne le potenzialità segrete, di tirar fuori degli accordi inconsueti, che portino luce e vitalità al bagliore delle parole. Non sempre e non a tutti riesce questa evidenziazione delle capacità nascoste della lingua. In questo caso Elisabetta utilizza una lingua decisamente protesa in direzione dell’allusività, con un lessico lanciato come sassi nell’acqua per assistere al miracolo dei cerchi che si formano sulla superficie. I suoi versi sono spesso graffi sulla pelle della lingua, cenni, accenni, indizi come graffiti sui muri, tracce basilari dalle quali il lettore vorrà imbastire una storia, recuperare dentro di sé il percorso di un avvenimento, riconoscerne i contorni di realtà, come accade in questi brevi e intensi versi che richiamano situazioni attualissime e drammatiche:

 

C’è un uomo che galleggia nell’acqua di mare,
sarà il sale o la memoria che non lo fa affondare?
Bolle pneumatiche tutt’intorno e qualcuno
che resterà ad aspettare digiunando le ore.
Il tempo è una foto che ci sta a guardare.

 

Sarà dunque la memoria che non lo fa affondare? Ecco un altro elemento che ha la possibilità di restituire un senso alla scrittura in versi, la capacità di bloccare il tempo come in un’istantanea, di definire i contorni di una storia, nei suoi elementi essenziali, e consegnarla al futuro, che non la faccia affondare. In questo trovo che Elisabetta sappia districarsi molto bene nel fissare con pochi tratti le caratteristiche peculiari di una situazione. Qui come non tornare alla memoria della Morte per acqua di Eliot, a quel Flebas il fenicio morto da quindici giorni cui il mare spolpa le ossa in sussurri? Rendere acuminati i versi, affilati, che possano penetrare nell’attenzione e nella memoria del lettore, e diventare un oggetto nuovo di luce.

Inoltre uno spargimento di sana empatia non necessariamente persegue un obiettivo pedagogico, si obietterà che chi si accosta ai versi è già dotato di una naturale predisposizione all’empatia, ed è sicuramente vero. Tuttavia in un’epoca di sfrenato individualismo, di una spietata competitività, dove anche un ministero di base come quello della istruzione viene associato al merito affinché non ci si dimentichi di infilare la baionetta tra i denti nel quotidiano assalto che è ormai la nostra vita, e dove c’è da meravigliarsi che le guerre che incendiano il pianeta siano in definitiva di numero limitato rispetto all’aggressività che si respira per le strade e nella vita, allora questa dose di empatia, questa capacità di entrare nei panni degli altri, di accarezzarli con uno sguardo buono, diventa una specie di argine, di ultima trincea, di impeto strenuo ed estremo di resistenza, in definitiva un gesto di coraggio e un esempio da condividere con i lettori, un appello a restare umani.  

 

Gina

Quando sei tornata
al ventre silenzioso
la neve era ancora un’ipotesi
e il sole resisteva alla luce.
Che cosa ci avresti detto
dell’ora che raggruma
si è perso nel fiato mozzo
di un letto d’ospedale.
Quando abbiamo abitato lo sbaglio?
Dove smarrito l’abbraccio?

 

Scrive Anna Toscano nella postfazione: “Non è un libro sull’empatia, nemmeno sull’identificazione, è un libro sul guardare alle cose e alle persone per dare loro, in versi, voce e parola. Lo scambio, io sono te e te sei me, accade poiché la parola diviene parola condivisa, umana, poetica, inclusiva”. E più avanti prosegue: “La realtà, il quotidiano, sono la linfa vitale per l’osservazione e per la scrittura e alimentano una poesia non solo civile ma in special modo umana”.

Il libro si avvale di una struttura originale, scandita da parole che richiamano i luoghi e i giochi dell’infanzia: nomi, è la prima sezione in cui con brevi tratti vengono disegnati profili di persone marginali, dove “i conti con la realtà non tornano più”, e dove compaiono figure familiari, e dove il motivo principale sembra abitare queste domande: “Quando abbiamo abitato lo sbaglio? / Dove smarrito l’abbraccio?”; cose, città, mestieri, parole sono le sezioni successive, e anche qui lo sguardo non smette di indagare e interrogarsi sulle vicende umane e sul senso della vita: – Io, che trascino borse lise, e i cani / abitiamo un ponte / e tutte le mattine c’è un Caronte / a scioglierci dal giogo di rifiuti umani -.

Un libro che rovista nelle amarezze e nelle ristrettezze del quotidiano e dove tuttavia la parola si fa ossigeno, visione di speranza. 

Paolo Polvani

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Testi tratti da La variabile umana di Elisabetta Stragapede

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Antonio delle buste

 

Antonio delle buste
avrà certamente una nenia nella testa
quando si addormenta
in grembo alla fortuna
col suo fedele destriero di ferro
carica a zavorra di sacchetti.
Da tempo immemorabile
Antonio delle Buste
si fa schermo
con occhiali da pilota
contro la perfidia del vento dei mulini
e parla della vita come si conviene
da filosofo.

 

Ciccillo

Niente andò perduto
nel nitore della tua assenza
i tralci abbracciarono le dita
e la fatica le radici.
Niente andò dimenticato
l’odore rimase vigile
ad abitare la casa
e il cardo rifiorisce discreto.

 

La variabile umana

 

Siamo l’impasto ancestrale
onomatopee da catturare
l’odore acre della scintilla primordiale
il dono rubato
il canto del segno
la mano che inventa il tempo
e quella che lesta lo uccide
la nuvola sghemba nel cielo che arrossa
il suo quadro che brucia le ossa.

 

 

NOTE SULL’AUTRICE

Elisabetta Stragapede vive a Ruvo di Puglia e lavora in editoria. Animatrice culturale, promuove la lettura attraverso l’associazione In folio, da lei fondata e diretta. Alcune sue poesie sono state pubblicate su diverse antologie poetiche. Ha pubblicato La misura del tempo, Secop edizioni 2018.

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Elisabetta Stragapede, La variabile umana – LiberAria edizioni 2022

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