eve sellars
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Se gli uomini perdono la gioia
non è più vita la loro,
sono come ombre che respirano.
Sofocle
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La nota più difficile è la gioia,
quella che da più tempo abbiamo scordato
la più incompresa.
Non provare a comandarla, la gioia
non è un dispositivo da attivare.
Chiedi la misura della gioia a un albero,
Torna indietro,
in cui hai rotto il suo patto.
Cosa è successo?
Come sei precipitato?
Chi ti ha chiuso
nelle cantine buie
della malinconia?
Frana, da tutti i tuoi saperi
riapri le stanze.
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Quando ti prende il male
della vita storta
abbi infinita cura di te
della tua capacità
di andare piano.
dentro ogni respiro
Rallenta il fiato
fino al momento in cui
dentro ogni respiro
verrà a trovarti un profumo.
Dai un nome
a ogni tuo passo
fuori dagli inciampi mortali
della fretta.
Lascia che un fiore ti racconti
osserva
dietro ogni filo d’erba
un paesaggio
dietro ogni spigolo
un mondo.
Lascia che il rosso
della facciata di una casa
ti sia d’augurio
per tutto il giorno
e che il primo volto
incontrato per strada
sia per te un romanzo
di domande.
Quando ti prende il male
della vita storta
retrocedi,
lascia al tuo sguardo
un’altra possibilità
regala al tuo cuore
un mistero più profondo,
alle labbra
la parola preziosa
che
nomina le cose.
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I libri sono pane buono.
Sono barche, scialuppe, piccole astronavi,
permettono viaggi profondissimi e
velocissimi.
Ogni libro è un paesaggio.
Cupo, fosco, contratto.
Lieve, incantato, svagato.
Alcuni libri aprono la giornata,
meglio del caffellatte.
Aprono i pensieri e li portano in alto.
Altri sono un campo di battaglia
dove si lotta con il dolore,
con la sua ferocia.
Ed è buffo vederli lottare
in altri tempi, in altri luoghi.
Ogni tanto in qualche libro,
trovi un’anima gemella.
Perché i libri sono pane buono.
E la digestione non è forzata.
È una lenta assimilazione
dei succhi, degli umori migliori,
certe frasi, o passaggi dimenticati
risaltano fuori all’improvviso,
animaletti guida
nelle strade del quotidiano.
I libri sono amici,
ti aspettano, a volte per anni,
nelle pieghe di una libreria.
A loro piace essere chiamati
per amore, non per obbligo.
Quando la loro parola necessaria
si unirà al necessario tuo cuore,
allora succederà il miracolo:
diventeranno sangue, il tuo.
.
In qualche luogo della mente
ho un ponte, un torrente e un mulino.
Ho uno sfumare lieve di colline,
linea dopo linea,
in lontananza.
Ho acqua trasparente
che riflette i colori del cielo
soprattutto il rosa.
Ho pesci che scorrono
di vite silenziose,
che non si fanno sentire.
Ho lo spessore solido dei muri di una casa
che custodiscono il fuoco e il forno.
Ho un bambino che corre
incontro alla madre
e il piccolo grido
diventa tramonto.
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La vita è sempre un rischio mortale.
Eppure, nel punto più alto dell’ottovolante,
quello che fa più paura, da batticuore
proprio lì si spalanca l’infinito
E nel precipitare si riempiono d’aria le braccia
e nessuno può più trattenere
il riso e l’urlo bambino.
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eve sellars
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E dire a tutto il resto: aspetta.
Abitare il minuscolo,
il granello
la goccia d’acqua,
salutare la lucertola
che gioca col tuo piede
e dire a tutto il resto: aspetta.
Salutare
la fatica delle fanfare,
essere giorno
senza angoscia.
E dire a tutto il resto: aspetta.
Abitare Dio
in ogni centimetro,
abitare il pensiero
della formica e del ragno,
per un giorno un’ora
un solo istante
sospendere.
Dire a tutto il resto: aspetta.
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Portami a una festa.
Dimmi questa festa
è per te, per tutti noi.
Dammi la mano e fammi fare un salto,
toglimi la giacca, toglimi gli occhiali
spettinami un poco i capelli,
chiedimi di regalarti
la mia parola più cara
prendila, inghiottila
e con un bacio regalami la tua.
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Io non voglio un amore equilibrato
non voglio un amore che faccia crescere,
voglio un amore che faccia inciampare
e cadere
e rialzarsi
felice della polvere e delle ferite.
Io non voglio un amore
commestibile digeribile,
voglio te che sei il mio contrario
che sei l’altro mio cuore.
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Caccia via la tristezza adesso,
perché la meraviglia
ti prende per mano ti indica il sentiero
che porta tra i boschi,
dove gli alberi non li puoi contare
e neanche le sfumature di verde
le vibrazioni di luce,
qualcuno alza i rami verso il cielo
come braccia in attesa del volo.
E tu lasci il peso della vita inchiostro
il tuo pianto adesso è rugiada
che saluta il mattino.
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Il mio libro più prezioso
è un libro di stoffa
se lo apri,
tra pagina e pagina
cade terra rossa,
ogni terra è un ricordo
di un luogo che ho visitato
nel mio libro più prezioso
alcune pagine sono fatte di pane
altre sono accartocciate, arse
dal fuoco che a volte mi ha bruciato
nel mio libro più prezioso
non ci sono lettere
ma scritture di conchiglie
di semi,
ci sono ossi e pietre
nel mio libro più prezioso
una pagina è nera
.
eve sellars
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Qualche passaggio dalla nota introduttiva di Franco Arminio.
(…)
Allora insieme cominceremo
a modellare il fango, la neonata
tenerezza della carne.
In questi e tantissimi altri suoi versi si sente la necessità del suo dire, la sincerità del suo invito a cogliere quella che in due parole possiamo definire la meraviglia della presenza. Il richiamo alla gioia è quanto mai necessario in un tempo in cui professare il broncio alla propria epoca è esercizio molto diffuso. E spiace che ci sia ancora molta poesia che si compiace di essere oscura e astrusa, come se questo fosse garanzia di qualità.
Chi scrive come Gherzi non fa per niente un discorso facile. È un lavoro di esposizione e nello stesso tempo un appello a trovare un terreno comune per affrontare i giorni dello spavento con cui il capitalismo ci avvince alle sue merci: promettono giovamento e invece dilatano il vuoto che ci morde, che abitiamo con sempre maggiore isteria.
Nostro destino è essere
gioia in movimento.
Così finisce il libro ed è un perfetto riassunto del nostro provare a diventare quello che già siamo, senza farci distrarre dai commercianti del panico che buttano fuori da ogni spiffero il nero della loro aria. Servono queste poe- sie, servono molto anche quando sembra che la contesa tra l’ingenuo e l’incanto sia vinta dall’ingenuo. Bene, anche in poesia è sempre meglio l’ingenuità che la furbizia. Gherzi è un uomo generoso e la sua non potrebbe essere una lingua avara. Il “dispendio d’amore” è la sua stella e speriamo che diventi la stella di noi tutti.
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NOTA SULL’AUTORE
Gianluigi Gherzi è nato e vive a Milano. È poeta, scrittore, attore e regista teatrale. In teatro ha curato regie, scritture e ha recitato per alcuni dei più importanti gruppi di teatro di ricerca italiani.
Ha spesso portato l’esperienza del teatro e della scrittura narrativa e poetica all’interno di centri permigranti, centri sociali giovanili, classi di adolescenti, gruppi di abitanti nelle periferie della città.
Insegna teatro e scrittura e negli ultimi anni ha tenuto numerosi seminari dal titolo “La poesia nella voce” che affrontano maniera specifica il rapporto tra scrittura poetica e oralità.
Come scrittore ha pubblicato, con Sensibili alle foglie, i romanzi Tuani – I re della strada (2003) e Pacha della strada – Una donna, un barrio, in Centroamerica (2008) scritti insieme con Giovanni Giacopuzzi e dedicati ai bambini di strada e alla favelas del Centro-America, il romanzo Atlante della città fragile (2013), racconto corale delle fragilità e delle vulnerabilità presenti nella città; sempre con Sensibili alle foglie ha pubblicato insieme con Giuseppe Semeraro il testo poetico A cosa serve la poesia – Canti per la vita quotidiana (2016) che, diventato anche spettacolo, è stato presentato nei teatri e nei festival di tutta Italia. Inoltre con AnimaMundi ha pubblicato Ti aspetto nella mia casa a disordinare (2019) e, insieme con Cristiano Sormani Valli, A che pagina è la nostra fortuna. Passi nei giorni straordinari (2020).
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Gianluigi Gherzi, Alfabeti della gioia- AnimaMundi edizioni 2022