carpegna- palazzo dei principi
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È una fresca sera d’estate quando un’amica mi conduce al Palazzo dei Principi a Carpegna, piccolo paese del territorio di Montefeltro.
Circondato dal verde modulato delle colline marchigiane e ai piedi del monte da cui prende il nome, il paese deve la sua importanza alla famiglia dei Conti di Carpegna, una delle più nobili del passato. Con un impianto viario che segue i diversi piani su cui è disposto, con il verde che riempie interi lotti, il paese ha al centro il Palazzo dei Principi, giunto intatto sino adesso dopo oltre trecento anni di vita. La data di costruzione è infatti del 1674.
La facciata si presenta imponente con i due corpi di fabbrica simmetrici spinti in avanti a sottolineare un’immagine fortificata, il portale, ampio e alto, si allinea con le modanature del marcapiano. La scala a doppia rampa e ingentilita da sottili colonnine, conduce all’ampio salone d’ingresso che si affaccia sul giardino retrostante; è qui che si tengono nel mese di agosto una serie di eventi o di mostre.
Entriamo quella sera a visitare la mostra collettiva di pittura, scultura e arti visive che prende il nome di “CarpegnArt-Artisti nel Montefeltro 2022”.
La mia amica me ne ha già parlato, non tanto in relazione ai tanti manufatti artistici presenti quanto a una installazione particolare dal nome “Gli altri nel nostro mondo”.
Chi sono questi “altri”? Leggo nella presentazione che si tratta di pazienti del Gruppo Atena, ospiti della Rems (Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza), dello Srp1(Struttura residenziale psichiatrica) di Macerata Feltria e della Comunità terapeutica “Mulino Giovanetti” di Montegrimano Terme. L’installazione si compone di venti sculture modellate in ceramica dagli “altri”.
Il lavoro, veramente notevole, è nato da uno studio dell’autoritratto di artisti delle avanguardie artistiche del ‘900, e, attraverso un percorso di arteterapia, ha dato poi origine al proprio autoritratto emozionale realizzato in ceramica raku. Nulla dunque di legato al reale, alle fattezze del bello o all’imitazione di lavori dei Maestri, ma un’esplorazione dei propri sentimenti, sensazioni, stati d’animo in una ricerca e rappresentazione del proprio sé.
Le sculture hanno dunque due dimensioni: la prima è quella esteriore in cui il partecipante ha voluto raccontare il proprio percorso di vita, l’apparenza delle cose, la visione che gli altri ricevono, deducono dal viso e dalle sue espressioni, mentre la seconda è molto più intima e segreta. Appartiene a una interiorità protetta, nascosta per tante paure a volte confessate e a volte taciute; ci sono i sensi di colpa, verso gli altri e verso sé stessi, i rimorsi a cui non si può più dare risposta, gli errori commessi di cui si porta il peso, la perdita di affetti che si è fatta col tempo una prigione, la malattia psichica con tutte le restrizioni e limitazioni che comporta.
L’installazione conduce il visitatore alla scoperta delle venti sculture accompagnate da uno scritto del partecipante, ma, essendo queste simili a dei calchi, occorre entrare in una sorta di corridoio per vedere l’interno di ognuna. E così a una faccia demoniaca, dipinta di rosso, con tanto di piccoli corni, incisivi aguzzi e sporgenti, orecchie a punta, e occhi senza pupille…corrisponde nella parte cava un cuore attraversato da una ferita malamente cucita.
Inquietante e contrastante, persino repellente. Eppure…è solo il loro mondo quello così nascosto, custodito e, per un percorso terapeutico, svelato? E il nostro mondo invece quale è? Corrisponde la parte esterna a quella interna? Forse all’esterno noi mostriamo un cuore ferito, magari non cucito in modo così evidente mentre all’interno nascondiamo un piccolo ghigno demoniaco. Sarebbe utile farlo anche noi questo lavoro, almeno per conoscerci meglio.
Finisco con una maschera che può avvicinare l’interiorità degli “altri” a quella dei “normali”. Si chiama “Faccia di mattone”.
All’esterno mostra un viso atteggiato a una smorfia, la bocca è spalancata ed è spinta in fuori una lingua blu, così come blu sono le sopracciglia dritte sugli occhi allungati. Si tratta di una risposta irriverente, magari infantile e ingenua, alle regole sociali sentite come imposizioni, ma se dentro si ha una dose anche piccola di anticonformismo la linguaccia di “Faccia di mattone” appare come un invito a condividere un desiderio di libertà.
All’interno, in un fondo colorato di rosso, appaiono infatti due animali simbolo della libertà e della leggerezza. Entrambi sono legati al volo. Si tratta di una colomba bianca e una farfalla colorata. E chi di noi, altro o normale che sia, non li tiene custoditi dentro in un’aspirazione verso la spazialità, l’apertura, il volo?
Teresa Mariniello
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faccia di mattone – esterno e interno
Buongiorno a tutte/i, quante foto possiamo inserire nell’articolo? Se non sbaglio Fernanda aveva posto il limite di due, se non è così io posso fornire più foto per i miei articoli. Un abbraccio a tutti Teresa