NOTE DI LETTURA- Vittoria Ravagli e Fernanda Ferraresso: A proposito di “Ti saluto vita” di Teresa Mariniello

molly mears

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…E noi ci aggiriamo,
col respiro chiuso
in un mondo straniero.
Intrusi, senza conoscere la via
per nuova vita.

Da “Aprile” pag. 32

 

Leggere Ti saluto vita di Teresa Mariniello, per le edizioni Terra d’ulivi, è stato per me un po’ come rivivere pezzi della mia stessa vita, risentirla raccontata da lei, nelle sue poesie leggere e profonde. E’ quel modo speciale di amare soffrire sperare gioire che è tutto insieme e che minuto per minuto cambia e ritorna e sparisce ed ha un fondo di nuvole e amore, di dolcezza, sfinimento, speranza e la certezza che noi, i nostri amori, le nostre vite giacciono profondamente nel cuore e ne fanno un tappeto su cui camminare nell’attesa di volare…

Il libro scandisce i tempi de la pandemia, la guerra e racconta del nostro sentire: il fuori, il dentro, la relazione, l’innocenza

La visione delle nostre vite è cambiata, siamo insicuri, incerti, per la violenza dei fatti incalzanti,  resi più tragici da un racconto pubblico che estenua. Come funamboli siamo a volte  spaventati e indecisi. Eppure gli amori che abbiamo, la meraviglia, la bellezza, ci sostengono e lo sgomento si attenua, andiamo avanti. Ritroviamo con paziente fatica il nostro centro e ci adattiamo piano, a volte, non sempre. Non esiste il sempre. Sprazzi di gioia rischiarano momenti insperati.

Così ora mi addentro nella lettura e per ogni tema scelgo qualche poesia; lo faccio con fatica, sono da leggere tutte e da portarsi dentro come succede con alcune musiche, con paesaggi mai uguali che si rivedono con quella gioia che niente altro dà, mentre i fiori rinascono con la nostra stessa fatica. 

 

Il fuori

Noi due “racchiusi nel giardino dei ricordi…che abbiamo lo stesso odore di vento…”

 

Noi due, 
all’angolo del grande tavolo 
racchiusi nel giardino dei ricordi, 
i tanti tuoi 
che scavo nella sabbia 
e che mi lasci trovare. 
Solo perché abbiamo lo stesso odore di vento. 
E intorno si mescolano 
a fogli di circolari le stanche delusioni 
di chi è cresciuto male. 
Brilla in basso il suono dei tamburi 
rimbalza sulle tag dei nostri giovani. 
Quasi io e te giovani. 
Con questo vento 
ancora venti anni di meno. 

 

In  classe “sto bene così… Ed è qui il mio seme, /si è acceso e poi perso/in questi giovani bagliori…”
C’è luce e rimpianto.

 

In classe 

Sto bene così. Sola 
con le mie quattro cose. 
Che qualcuno si affacci 
quando vuole all’uscio 
o una risata mi riporti fuori 
sotto il pino marittimo. 
Ricordi come petali 
tra pagine più volte lette. 
Sto bene così, ora 
mentre Livia mi è a fianco 
e sorride all’architettura 
ai segni che le traccio 
nel passaggio del testimone. 
Ed è qui il mio seme, 
si è acceso e poi perso 
in questi giovani bagliori 
che passano passano 
e sono adesso, dove. 
Ed io qui 
ad esaltare una emozione 
perché Livia me lo chiede, 
con sguardo di velluto, morbido 
sui pesanti anfibi, 
sul metallo di borchie e spilli

 

La Guerra

con  i suoi morti in mare nel silenzio del mondo, con la disperazione delle madri, con le voci delle donne afghane perseguitate. Squarci di dolore, quello di tutte le guerre, soluzione patriarcale dei conflitti

 

Mare nero 

Schiudi le mani su questo mare 
nero di pece e di notte 
sulle sue lente onde gravide, 
nel silenzio rauco 
lo sguardo dell’uccello umiliato 
chiede lacrime 
per il grumo sulle ali rapprese. 
La danza del mio bambino 
si confonde alle altre innocenti 
ora storpiate, lacerate, immobili.

 

Ditele perché 

Ancora sibila il suono 
scorre nell’alto azzurro, 
e già lei 
mette il suo cuore di punta 
come fosse badile 
e scava giù dentro attorno 
fra pietre e schegge 
e con febbre d’occhio cerca; 
mastica terra e preghiera 
per un esile biancore di dita 
che affiori dalla semina della morte.

 

Landais per le donne afghane 

Così mi vuoi, senza sillaba. 
Io ti voglio col cuore punto da uno spillo.
.

Bello quando non ti vedo più. 
Al tuo posto nuvole con cielo azzurro.
.

E prendimi pure la bocca, 
la lingua sia il mio serpente velenoso.
.

Io. Braccata come la bestia 
che lacrima mentre scorge il gancio.
.

Tu succhi la vita degli altri. 
Il tuo trono affonda in una palude ombrosa. 

.

Nessuno ti chiuderà gli occhi. 
Intorno tu muoverai solo finte grida.
.

Come sorgente spalancata 
la vostra voce, il vostro gesto, sorelle.
.

Dentro di me c’è l’umido orto 
ci coltivo l’alloro tenace con rosa.
.
Lo so. Se c’è brusio c’è voce, 
poi parola nella scrittura navigante.

 

Pandemia

Queste poesie che sono dolore e speranza,  portano la durezza della realtà e luci di vita semplice nell’attesa, nella cura: “…Occorre impastare pane/ far crescere lievito/ custodirlo…”.  

Da “Domenica di primavera” pag, 31

 

Milano, marzo 2020

E la città perde il suo passo
sotto questo silenzio,
come di neve.
Quasi sperduta si aggira
tra piazze e gallerie,
in cerca di altro
dall’aperitivo o dai multisala.
Riscopre l’abbraccio e la stretta
nella assenza,
e il vuoto
troppo riempito prima
appare ora un abisso.
Un gorgo ottuso.
Ma ci sono statue che segnano un centro
limpide allo sguardo
e lapidi di resistenza
a furiosi nemici
che iniziano all’ascolto,
al ricordo di libri di scuola
e di voci segnate dai venti.
E così la città
dispiega le mani
e le allarga sul presente.

 

Aprile

Rattrappiti questi giorni
come acini d’uva
sospesi su un ramo d’autunno.
Mentre la primavera
danza altrove,
col merlo che non s’alza
al tuo passo,
con le rondini alte
in un cielo di città.
E noi fermi
in una bolla ottusa
attendiamo,
una risposta, un numero
che non basta.
E noi ci aggiriamo,
col respiro chiuso
in un mondo straniero.
Intrusi, senza conoscere la via
per nuova vita.

 

Il dentro

Con la morte intorno e nel cuore,  la vita  preme per riprendersi il tempo perso.

 

Ama i tuoi morti

È nel passaggio del testimone
nel gesto che accompagna,
nel tener vivo
il loro segno in noi.
Nel centro del cuore
caldo e sorridente
si disfa la durezza
di Signora Morte.

 

Vita

Vita,
che corri nelle strade
e chiami a gran voce
colori e genti.
E indichi poi
l’altra via
odorosa
di ciclamini e glicini.
E tu, sconosciuto ignaro,
che ora mi affianchi
e riempi di riflessi la mia acqua fonda,
così io la tua.
E tu, ora compagno d’anima,
poggi la bicicletta sul ciglio
e io la domanda
tanto a lungo inattesa.
E noi, in un angolo di cuore
bambino e temerario,
ci allacciamo.
Nel silenzio alto delle nuvole
a farci vuoto della mente.

 

La relazione

Si avvicina il passaggio ad altra vita di chi si ama. Come un presagio Teresa vede, sente: “Ancora, solo un po’/di sfuggita attraverserai queste stanze./ Ci resterà il tuo profumo/ di limone speziato…” Da “Profumo di limone” pag. 49

 

Latte e miele 

Della divina arte non mi è rimasto 
che un gesto innocuo 
debole magia per proteggerti 
tributo simile ad antichi graffiti 
incisi su nuda roccia. 
Te ne andrai dunque solo. 
Attraverserai un breve regno d’ombra 
un deserto di suoni e colori. 
Custode del tuo sorriso dalle mie mani a coppa 
berrai ancora latte e miele.

 

Attesa 

E mentre aspetto. 
Né più né meno di allora 
ritrovo nell’incavo del braccio 
la promessa tacita. 
Forse tu forse io 
e intanto tu e intanto io. 
Il colore del noi.

 

L’innocenza

E’ innocenza l’amore totale senza condizioni degli animali che vivono con noi; con loro c’è uno scambio profondo, un rapporto vero che ci aiuta a vivere. C’è tenerezza, struggimento in questa fine e  molta dolcezza “…senza crepe nella forza dell’intesa.”.


Quasi diciassette 

Te ne stai andando 
piano piano 
mansueta e inconsapevole. 
Forse 
Sto diventando i tuoi occhi, 
ti mostro gli angoli d’acqua 
dove entrare, 
sto diventando le tue orecchie, 
ti porto ai tuoi amori 
all’arrivo. 
Ma ancora al mio fianco 
per magia 
senti la mia voce dirti: 
dai che ce la facciamo! 
Il nostro noi, 
senza crepe nella forza dell’intesa.

 

Nel compimento d’amore 

Si spalanca la via 
ma non conosci la direzione, 
intorno sono le foglie d’autunno 
del nostro grande albero. 
Resti ferma 
nel bianco della tua anima 
nella fragilità del respiro. 
Appena un appoggio 
del tuo capo stanco 
sulla mia gamba, forse un saluto 
forse un chiedermi 
di aiutarti a lasciarci. 
Ancora ti ho detto: 
dai, che ce la facciamo. 
Ad andare tu 
a compiere io.

 

Vittoria Ravagli
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rekha garton

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In sei parti, proprio come l’estensione spazio temporale dei giorni di una settimana, l’autrice lavora ed elabora tutti gli istanti, compresi quelli della pandemia. Mentre ancora il virus ci cerca, ci insegue senza darci tregua, fino al giorno del riposo, Mariniello raccoglie pagine di bellezza e le pone nella biblioteca del tempo e dello spazio, facendone stanze che vive. Altri gesti, pensieri, riflessioni, sguardi, relazioni con quel fuori mai così distante, si intrecciano con l’accanimento di una guerra, spesso contro noi stessi, tragicamente inconsapevoli di abbandonare una componente importante. La nostra umanità, la sensibilità, l’attenzione che ci attraversano e abitano, ma anche l’amore, in tutte le sue componenti, che ci rende intimi, profondamente vicini a quanto pensiamo sia lontano ma in realtà è accanto, a volte con leggerezza altre in una penetrante presenza, sono gli sguardi che aprono le parole dell’autrice, ospitando il mondo che ognuno è per l’altro. E’ proprio in quegli attimi, a cui spesso non rivolgiamo attenzione, che si mettono in cova, dentro di noi, le uova e i semi dei frutti di domani, attraverso loro sono venuti a fare tana persone, luoghi, oggetti, piante, animali e noi con loro, ad ogni attimo ci siamo trasformati, per quell’esserci e farsi, noi in noi.

Fernanda Ferraresso

 

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Teresa Mariniello, Ti saluto vita– Terra d’ulivi Editore 2022

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