TRAME E LUOGHI – Adriana Ferrarini: Trame di donne dal Teatro Noh al Museo Orientale di Venezia

particolare di un costume del teatro noh

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TRAME nel doppio senso: dal mondo della tessitura a quello delle narrazioni, lo stesso filo si fa tessuto e veste da una parte, racconto e azione scenica dall’altro.

Il Museo Orientale di Venezia mette in mostra costumi e maschere del teatro Noh. I kimoni, in parte esposti lungo le pareti, come farfalle catturate con le ali aperte, in parte appesi a un bastone a oscillare lievemente, hanno nomi diversi e misteriosi: chōken, maiginu, kariginu, karaori, atsuita, ognuno dei quali si identifica con un certo tipo di personaggi.

I personaggi a loro volta determinano la categoria cui appartiene la rappresentazione: dei, uomini, donne, donne-pazze, demoni: cinque sono le categorie del teatro Noh.

(https://www.the-noh.com/ )

Fra le storie messe in scena da questo teatro altamente simbolico e codificato, ne ho scelte tre, fra le più rappresentate, ognuna delle quali ha per protagonista un essere femminile. La prima racconta di una ninfa celeste, la seconda di una donna vecchia, rientra quindi nei “drammi della vecchiaia”, la terza di una pazza e appartiene ai  “drammi della pazzia” che rientra nel IV tipo.

N.B.: Le foto dei pezzi esposti al Museo Orientale sono numerate. Al termine le didascalie.

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.foto 1

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.LA NINFA CELESTE

Hagoromo, l’abito di piume, è uno dei drammi più rappresentati del teatro Noh.

Racconta di  una ten’nyo, una creatura celeste, che per fare un bagno si toglie la sua veste di piume. Un pescatore la vede appesa a un ramo e non vuole più restituirgliela. Ma senza di essa, lo spirito celeste non può tornare in cielo, e già sente che le forze la stanno abbandonando. Persino i fiori sul suo capo si afflosciano. Il pescatore acconsente a ridargliela, ma lei dovrà ballare per lui la sua danza celeste. La ten’nyo con l’abito di piume esegue la danza che descrive il Palazzo della Luna. Alla fine scompare nella foschia, oltre la cima del Monte Fuji.

Secondo un’altra versione, il pescatore nasconde l’abito, così da costringere la ninfa celeste  — ormai impossibilitata a tornare nel suo mondo — a sposarlo. Solo dopo alcuni anni le confessa quello che aveva fatto: la ten’nyo ritrova così il suo abito e può tornare in cielo.

Sul palcoscenico, durante la performance, la creatura indossa uno splendido maiginu, che letteralmente significa “seta che danza”. Assomiglia al chōken, ma è più lungo, i suoi pannelli laterali sono cuciti insieme, si sovrappone davanti ed è indossato con una cintura in vita.

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foto 2- foto 3

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LA DONNA VECCHIA

Il tema dei “drammi della vecchiaia” è il dolore di invecchiare. Protagonista di questo è Sotoba Komachi una donna un tempo di una bellezza sconvolgente. Ora è una anziana che viene rimproverata da un monaco perché si è seduta su uno stupa, tempietto votivo. La vecchia gli risponde dicendo che la misericordia del Buddha è profonda e non così superficiale come crede il monaco. Quindi recita con sicurezza una poesia e infine rivela la sua identità, lasciando ammutolito il monaco.

Ricorda allora la sua giovinezza quando era straordinariamente bella e si lamenta della vecchiaia. Poi diventa frenetica perché lo spirito vendicativo di un antico innamorato la possiede. Lei gli aveva imposto di farle visita per 100 notti: solo al termine, avrebbe ceduto al suo amore. Ma Shōshō, l’innamorato, alla 99° notte era morto.  Perciò il suo fantasma ossessionato maledice e affligge l’anziana Komachi.

Komachi alla fine riacquista la sua sanità mentale, dice agli umani che dovrebbero pregare per diventare un Buddha dopo la morte e decide di vivere per raggiungere l’illuminazione.

Ono-no-Komachi, il personaggio principale di questo dramma, è vissuta realmente, tra la metà del IX secolo e l’inizio del X secolo nel periodo Heian in Giappone (794-1192). Oltre a essere una donna di sconvolgente bellezza, era una poetessa di talento.

La protagonista può indossare un mizugoromo, un chimono corto che letteralmente  significa “indumento d’acqua” e in qualche caso un chōken.

I cinque drammi che rientrano nella categoria Rōjo-mono (Donne vecchie), sono considerati estremamente difficili da interpretare per gli attori Noh.
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foto 4

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LA DONNA PAZZA

Una madre impazzita per il dolore è la protagonista di uno dei drammi della follia chiamati kyōjomono (drammi delle donne pazze).

Al tramonto di un giorno di primavera, un barcaiolo sta raccogliendo passeggeri al molo per il traghetto che attraversa il fiume Sumida-gawa. Arriva una donna pazza venuta per cercare suo figlio rapito da un mercante di schiavi. Mentre traversa il fiume, il barcaiolo racconta di Umewakamaru, un bambino morto sulla sponda esattamente un anno prima, 15 marzo. Chiede ai passeggeri di partecipare alla cerimonia per il primo memoriale della sua morte. Tutti scendono, ma la pazza resta sulla barca e continua a piangere.

Generalmente i kyōjomono si concludono con un lieto fine. Nella maggior parte delle storie di donne pazze, sebbene a una madre sia stata portato via un figlio o un marito, ed è per questo sconvolta, poi incontra la persona amata e riacquista la sanità mentale

Non è così il dramma che prende il nome dal fiume Sumida-gawa. Il figlio di cui la donna è in cerca è il bambino di cui si celebra il memoriale. Il fantasma di Umewakamaru appare dall’interno della sua tomba. La donna si avvicina e cerca di abbracciarlo, ma il fantasma le passa tra le braccia.

Alla fine, l’orizzonte a est inizia a illuminarsi e il fantasma scompare all’alba. La madre continua a piangere sul tumulo.

Sul palco di Sumidagawa lo shite che impersona la madre impazzita per il dolore indossa il costume infilando solo una manica per rappresentare così il suo animo sconvolto.
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foto 5

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I COSTUMI

Diversamente dalla spoglia essenzialità del palcoscenico, i costumi indossati dagli attori attirano l’attenzione del pubblico per il loro sfarzo. Taglio, colore, motivo decorativo rivelano la natura e la classe sociale del personaggio. Oltre a caratterizzare il ruolo, i costumi evocano l’atmosfera della rappresentazione, lo scenario e lo stato d’animo.

In antico erano probabilmente simili all’abbigliamento comune ma dopo l’epoca di Zeami, grazie al mecenatismo dell’aristocrazia militare, cominciarono a impreziosirsi, utilizzando tessuti operati, ricamati, di importazione cinese o produzione locale, che testimoniano lo sviluppo delle arti della tessitura.

I costumi sono caratterizzati da tagli e linee rette, stoffe spesso rigide, tese, perfettamente sagomate, una grande varietà di disegni e motivi decorativi. Una ventina di diversi modelli sono abbinati e indossati in numerosi modi, spesso sopra dei sottoabiti imbottiti: l’attore necessita dell’ausilio degli assistenti di scena per prepararsi e drappeggiare l’abito nella maniera stabilita dalla tradizione. Il costume enfatizza l’imponenza dei volumi ma nello stesso tempo consente all’attore di muoversi con eleganza.

La collezione del Museo d’Arte Orientale conserva alcuni costumi per l’abbigliamento superiore di personaggi maschili e femminili: tra questi un chōken, un maiginu, alcuni kariginu, dei karaori e degli atsuita. Appartengono all’abbigliamento inferiore i due hangiri e gli ōkuchi.

 

Adriana Ferrarini

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DIDASCALIE IMMAGINI

Foto 1. Un chōken (“lunga seta”),  una cappa da danza sfoderata, leggera, con maniche larghe, aperta sui lati e sul davanti, che viene chiusa con cordoni intrecciati rossi annodati al centro. È indossata da personaggi femminili o creature celesti nelle danze, talora anche da personaggi maschili di giovani guerrieri del clan Taira.

Foto 2,3. Due karaori (“tessitura cinese”). Il karaori è un abito lungo che si indossa sopra altre vesti, in broccato di seta variopinta, intessuto con grande profusione d’oro. I motivi sono soprattutto fiori ed erbe stagionali, con effetto di trimendisionalità dovuto alla combinazione dei colori. Nei personaggi femminili può includere tonalità di rosso per le giovani donne.

Foto 4. Il kariginu (“veste da caccia”) è una sorta di casacca con maniche molto ampie e collo arrotondato. È usata da personaggi maschili e può essere foderata per ruoli solenni, di divinità, sovrani o ministri ad esempio, o sfoderata per nobiluomini o spiriti di antiche piante.anche da personaggi maschili di giovani guerrieri del clan Taira celebri per la loro raffinatezza.

Foto 5. Un atsuita. Tra i tessuti importati dalla Cina nel XV secolo vi era l’atsuitamono, un prezioso tessuto pesante, avvolto intorno a tavole spesse, da cui deriva il nome dell’abito di scena, atsuita, utilizzato per ruoli maschili o, con disegni e colori sobri, per ruoli di donne anziane. Nel caso in cui l’atsuita sia indossato da divinità feroci o bestie, viene utilizzato un disegno sfarzoso, mentre per vecchi o eremiti o creature dei monti il motivo decorativo è meno appariscente, sovente organizzato per fantasie a quadri.

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locandina mostra

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RIFERIMENTI IN RETE

https://www.the-noh.com/index.html

 

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