clive hicks jenkins
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Saggio sulla paura è un buon titolo per un libro di poesia. I titoli brutti mantengono sempre le loro promesse e allineano versi della stessa levatura, i titoli belli hanno dalla loro una buona percentuale di risultati positivi. Questo saggio sulla paura mantiene ciò che promette.
Ci sono libri che restituiscono fedelmente l’atmosfera di un’epoca. Ricordo negli anni ’70 la poesia di Eros Alesi, mai pubblicata in volume e apparsa su Nuovi argomenti. Dava voce a certi sommovimenti che attraversavano il paese e che hanno interessato tutta una generazione: la ribellione nei confronti dei padri, il richiamo irresistibile delle esperienze legate alla droga, i pellegrinaggi in India alla ricerca di nuove strade, il carcere, il manicomio, il suicidio, tutte quelle vibrazioni sotterranee emergevano nei versi con prepotenza: “che il giorno. in cui sei venuto a prendermi dalle camere di sicurezza di Milano ho visto che tu ti vedevi solo. che tu volevi o tua moglie o tuo figlio o tutti e due in quella casa di due stanze più servizi. che ho visto che tu hai visto che eri disposto a tutto pur di riavere questo. che ho visto che tu hai visto la tua mano stesa in segno di pace, di armistizio. che ho visto che tu hai visto sulla tua mano uno sputo”.
Questo saggio sulla paura ci regala questa rivelazione: “Il ragazzo gentile che scrive poesie era capace di cose terribili”. Scrive Bifo in un suo bellissimo libro che essere profeti significa semplicemente saper leggere il presente. Che cosa vediamo quando camminiamo per la strada? quando prendiamo il treno o facciamo la fila alla posta? Non soltanto negli occhi della gente, anche nelle parole, nei comportamenti: una diffidenza che induce alla solitudine, una paura torva e manifesta, una sfiducia nel prossimo, una volontà spesso omicida, il desiderio di prevaricazione e di violenza, una chiusura entro ristretti ambiti che regalano una sicurezza illusoria, una instabilità psichica sempre più diffusa. Questo accade quando la stella polare della nazione è il PIL, quando è l’economia a dettare legge e la guerra di tutti contro tutti è il panorama quotidiano con cui ci confrontiamo.
Penso a quando questo libro sarà finito
io perderò il lavoro
lo sfratto verrà ingiunto
tu mi lascerai
e le analisi non saranno affatto rincuoranti.
La mia routine si cova nella certezza del disastro
d’altra parte me l’ha detto anche mia madre, prima o dopo
arriverà una lettera spedita dal comune
in cui ci sarà scritto
che è tutto da rifare.
Il libro si apre con una lettera indirizzata a Carlo Bordini, che testualmente recita all’inizio: “Caro Carlo, io mi volevo ammazzare. Sono giorni che vado a vuoto come un fesso e ho il terrore che questa infelicità sia diventata il mio unico spasso”. E in chiusura dice: “Sto scrivendo questa poesia alla stazione, mentre cammino a testa bassa. Ho deciso di scrivere un saggio sulla paura – lei non mi dice più niente”.
È uno di quei libri che vibrano di contemporaneità, dove il primo impatto è il dato sociologico, che si impunta e reclama la prima attenzione, in cui “identità privata e collettiva diventano ogni giorno più divaricate”.
Ve ne siete andati tutti, ho perso un’infinità di appuntamenti e adesso.
Penso che non pensarci è stato come non pensare a me
che mi penso in continuazione, come una specie di parente lontano.
Su queste cose lasciate a metà aleggia una smania
che non è desiderio e nemmeno indifferenza.
E poi tornarsene a casa la sera, guidare veloce tra le buche
essere il perpetuo moto di un indefinito al di qua
sentire il bisogno di fare del male a qualcosa o a qualcuno.
L’ultimo verso sento che colpisce come una pugnalata e sento, ancora più terribile, che questo bisogno di fare del male a qualcuno o a qualcosa sia un sentimento parecchio condiviso e diffuso, e mi viene spontaneo intuire che la guerra non sia che la somma di tante piccole, individuali aggressività, e che lo sfociare di tante piccole aggressività sia un portato di fisica sociale, con un procedimento identico o almeno similare alla somma di elettricità atmosferica che trova nel temporale la sua via d’uscita naturale, il suo sbocco obbligatorio.
Un libro molto interessante di Franco Berardi “Bifo”: Heroes. Suicidio e omicidi di massa, pubblicato nel 2015 da Baldini & Castoldi, indaga sul drammatico fenomeno degli omicidi di massa succedutisi a partire dagli anni ’90, e dei quali registriamo ancora oggi gli esiti disastrosi e sempre più ravvicinati nei tempi. Scrive nell’introduzione: “L’infelicità ci divora da quando la pubblicità ci ha sottoposto a un bombardamento di felicità obbligatorio, la solitudine digitale ha moltiplicato gli stimoli e isolato i corpi, e il capitalismo finanziario ci ha costretto a lavorare il doppio per guadagnare la metà”. E ancora: “La verità è che chi si uccide considera la propria vita un peso intollerabile, e vede nella morte la sola salvezza, e nella strage la sola vendetta. Un’epidemia di suicidio si è abbattuta sul pianeta terra, perché da decenni si è messa in moto una gigantesca fabbrica dell’infelicità cui sfuggire sembra impossibile”.
Questo saggio sulla paura registra, fedele come un sismografo, le angosce che attanagliano una quota consistente di quella generazione che si dibatte nell’incertezza che deriva dalla precarietà, dalla sfiducia nel futuro, dalle lusinghe sociali sempre più insistenti che spingono in direzione del successo, del consumo, del prestigio, e stretta e costretta da un’offerta di lavoro sempre più ricattatoria, sempre più tesa allo sfruttamento. Si tratta di un libro che misura la temperatura di una parte significativa della nostra gioventù ma che tende a dilatarsi e a includere strati sociali sempre più ampi, perché alla mostruosa fabbrica dell’infelicità sfuggono sempre in meno.
L’aggettivo “necessario” associato alla poesia mi ha sempre creato un discreto imbarazzo, perché anche le brutte poesie, quelle che non si innalzano dal livello di sfogo adolescenziale, originano dalla istintiva necessità di alleggerire un’inquietudine, di ammorbidire un’angoscia. Dirò di questo libro allora che è importante, che in presenza di libri che custodiscono la loro bellezza nell’esplicitare sentimenti diffusi e condivisi con precisione chirurgica, trovo deprimente la consapevolezza che libri di questa portata siano destinati a circolare tra poche decine di lettori, mentre libri brutti e assolutamente inutili ma sostenuti dal frastuono pubblicitario ottengano un immeritato successo.
Un libro di poesia non andrebbe giudicato dalla sua portata sociologica, e infatti se un riscontro sociale questo libro contiene è perché la sua struttura stilistica gli consente la giusta penetrazione all’interno dello sguardo e dell’attenzione del lettore.
Farsi cauti, provare la resistenza senza spaccare
reprimere il coito e l’orgasmo
immaginare il suicidio.
Questo è il punto in cui mi trovo all’età di trentacinque anni.
I bordi di questa poesia sono da una parte un’asciuttezza lessicale che trova nell’essenzialità il suo valore, e dall’altra parte una smisurata sincerità, la capacità di svelare le pieghe intime del sentire. A volte regala l’impressione di una voluta sciatteria, mai disgiunta però da una sicura eleganza espressiva, ricorda così quei jeans super firmati e tuttavia strappati e sbocconcellati nel tessuto. In definitiva una praticità finalizzata a comunicare il groviglio di sentimenti. Anche la scelta dei titoli delle varie sezioni che compongono il libro esplicitano il bisogno di chiarezza e di essenzialità: Il presente domani, Gli errori, La dolce vita agra, La deficienza. E anche una evidente tendenza al racconto prosastico, a sconfinare continuamente dal verso alla pagina di prosa, in un andirivieni che avvicina sempre più il lettore.
Costruiamo questa vita monca
fatta di atti mancati poche possibilità tirare avanti.
Gli orizzonti che vediamo non sono lineari, hanno una piega
in mezzo come delle V infinitamente espanse.
Passiamo il sabato a discutere i difetti di un bilocale sulla Casilina
ipotizziamo che trasferirsi ancora più in periferia abbasserebbe la rata del mutuo
attraversiamo Alessandrino Torre Maura Giardinetti e non vediamo niente.
Ma non è alienazione, è qualcosa che sappiamo spiegare.
Il tempo si ammucchia fuori dalla finestra, il lavoro si assottiglia
come una candela, identità privata e collettiva diventano ogni giorno più divaricate.
Nel legno della nostra convivenza, un parassita ha dissodato un solco.
Potremmo alzare la testa e vedere cosa è fuori, ma fuori
è lo specchio riflesso di quello che è dentro, ovvero un bisogno
in cui siamo giocati fino all’ultimo lembo di pelle.
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Narcisso
Tempo, scusa, fermati
fammi ‘sto piacere
facciamo che domani
non arriva mai
tra poco vado a letto
e tu ti fermi, no?
e poi non è che muoio
ma resto lì per sempre
e non mi sveglio più.
Paolo Polvani
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clive hicks jenkins
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Testi tratti da Saggio sulla paura di Fabrizio Miliucci
Di una cosa mi interessa innanzi tutto il punto di rottura
provare a vedere quanto regge – ai malumori
ai logorii che riverso sugli altri e su quello che ho intorno.
Da quando ho memoria, tutto ciò che mi è appartenuto era rotto
monco mancante. Il fatto che non si torna più indietro
che la riparazione non equivale a nuova verginità
è il mistero su cui mi arrovello ogni notte, nel sogno.
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I libri
riardono
più di una voce
non sono altro da sé
non vanno avanti senza pause,
i libri possono soffocare animali di tutte le taglie: stai attento ai libri.
Quando provi a nuotare nei libri
ogni parola
appare più lucida che nella realtà
perché nella realtà non esistono i libri.
Pensavo di essere solo uno sconfitto
e affollavo le case
di labirinti
di libri
per nascondermici dentro.
Ho comperato scaffali per lunghezze interminabili
e li ho riempiti di ninnoli e di libri
ma alla fine non avevo più sangue nelle vene.
Non ho potuto fare altro che inaridire
mentre leggevo le tue storie sui libri
e non ho potuto fare altro che convertirmi
allʼinutile presenza di me stesso
guardando nello specchio della pagina.
Ci sono dieci pause che valgono
in una vita intera
dieci vuoti
dieci spazi non scritti.
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Sconta una deficienza d’animo lo specchio della nostra disapprovazione,
un’incuria atavica che eccita le crepe del nostro autistico respingere le cose.
Attraversiamo i giorni a testa bassa attirando sciagure che compensino
un’inclinazione tragicomica.
Gli alberi ingranditi a dismisura sottraggono respiro al panorama, la sterilità
prestabilita ci consegna dei giganti che per noi guardano troppo lontano.
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NOTA SULL’AUTORE
Fabrizio Miliucci lavora come insegnante e ricercatore. Ha pubblicato articoli su diversi autori (Pavese, Gozzano, Penna, Baretti, Ponge e altri) in riviste come “Paragone”, “Critica letteraria”, “Studi novecenteschi”. Nel 2019 ha pubblicato una monografia su Giorgio Caproni (Mimesis). Di prossima uscita, da Mondadori, la sua curatela della raccolta di Luigi Pirandello “La rallegrata”, nel primo volume delle “Novelle per un anno”.
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Fabrizio Miliucci, Saggio sulla paura- Pietrevive 2022