ISTANTANEE- Fernanda Ferraresso: Note di lettura a proposito di “Voltarsi” di Antonio Bux

alexey terenin

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Di cosa possiedi l’anima se manca
fiato in mezzo al tempo o parola a metà
tra respiro e spegnimento – ordine di smettere –
di cosa dunque temi il sovvertire, se già è girato
un vento contro il mondo, se già ti carica la gola
di rimpianto e di spavento al tocco la memoria
e sola senza canto una morte si propaga su nell’aria
e tu ricadi nel profondo senza stacco ma con mite transitoria
stanchezza d’animo spegni sul fondo
ti tiri via da ogni mutamento?

 

Apre così la raccolta di Antonio Bux, Voltarsi, e poco prima una epigrafe è un sibilo leggero che s’intrufola piano nella mente ma è un programma intero, in cui l’estensione della vita di ogni singolo è fiato in mezzo al tempo, la parola incompleta tra due fasi di uno stesso respiro: in-spirare- e-spirare. Qui dentro, tutto.
Tutto il mutamento apparente, in cui siamo immersi, che si svuota nella sua stessa transitorietà del mutare e anche ammutolire, silenziando ogni passaggio in passante, ma non mai passato.

 

E solo un’eco
avvera il tuo corpo

come a tradurre l’infinita schiera di altri di cui il tuo corpo, ogni corpo, è eco che si diffonde e pronunciandosi avvera ogni uno, nella stessa unità.

E di questo, forse, si trova conferma nei primissimi versi che aprono la raccolta:

Se una domanda ritorna
per sempre la sola risposta

fine non è
esserci più forse sapersi consumare

domanda- risposta-sapersi consumare – senza fine, oppure senza che sia fine.

Suonano sibillini e allo stesso tempo chiusi quei pochi versi, parole in cui la mente strizza come uno straccio il vocabolario comune che cerca di asciugare uno spargimento di liquido scorrere vitale in cui però, senza essere pronunciata, vive anche la morte.

Ed è alle righe dei versi che seguono, la trincea di quello specchio, di quanto appena ha tratteggiato, che si mostra, anche se di sguincio, in un guizzo che non si riesce a trattenere subito tra le mani della logica che invece vorrebbe impossessarsene.

Acqua risorta
nella morte uno specchio:

per un solo corpo
cresce il buio
oltre.

 

Nel riflettere lo specchio emana bagliori da cui ciò che appare è l’essenziale della riflessione,  la combustione, che avviene tra le stelle quanto tra i combustibili, anche quelli che sembrano più inerti-inermi. La stretta vicinanza del legno con il verbo, coniugato al congiuntivo imperfetto, mostra il sostantivo fosse, che indica la morte, la fine dei corpi e questo gioco del congiuntivo, che appunto è il legante insieme con l’imperfezione, che indica continuità di un processo, con-giunge e coniuga estremi che sembrano differenti in un solo/sole riflesso che è l’eco, con cui l’autore ha aperto la silloge e viene ripetuto in questi versi accoppiati che però s’infilano nella gola e nella strettoia della mente, mostrando l’es- tinto, perché tratteggiato come l’immagine di un legno e la fossa braciere in cui si es-tingue, mostra l’essenziale fiamma con cui istintualmente e irresistibilmente tutto arde e verso una comune ade pro-cede.

Se il legno fosse
come il corpo

e se il corpo fosse
così estinto

come il fuoco allora
tutto incendierebbe

che senza fiamma
non vi è istinto.

Ogni passo che segue è questo andare d’ambio, che congiunge una forma ad un’altra, mostrandone l’impronta comune, senza soluzione di continuità, il sempre e il semel.

Lo smembrare i versi per scomporne la sequenza concatenata indica, penso, la volontà precisa di Bux di mostrare ciò che solitamente ci sembra appunto qualcosa di comune e quindi qualcosa a cui si può restare indifferenti mentre sta proprio lì dentro ciò che fa la differenza ed è la sfasatura di un istante, la parola che si sposta in un a capo oltre il limite a cui ci abituiamo a mostrare l’essenziale. Faccio un esempio. Bux scrive:

Ascolto il non durare
ed è tutto ciò che rimane

dopo quando si parla
nell’eco l’assenza.

Se lo stacco fosse stato oltre quel dopo e la sequenza si fosse mostrata così

Ascolto il non durare
ed è tutto ciò che rimane dopo
quando si parla nell’eco l’assenza.

ciò che avremmo appreso senza nessun fermo sarebbe stata un’acquisizione semplice, facile, quella appunto a cui ci abituiamo, vivendo e morendo, scomparendo nel tempo e a cui non facciamo caso perché non ci induce a porci domande personalmente. Lo stacco, il distacco di quel dopo posposto all’inizio dei versi seguenti implica una messa a fuoco di quel quando si parla, da cui appare quanto l’autore ha inciso nella primissima epigrafe della raccolta, ovverosia quell’eco che si produce e ci produce nell’assenza. E ancora una volta ciò che appare slegato è strettamente accoppiato, anzi accorpato a tutto quanto si svolge e sognosonnosono è l’opera in cui l’intero antichissimo affresco della vita si compie, mostrandoci il come, la forma, non l’orma, in cui ci compie.
E questo si ripete in ogni pagina, come se il vento si divertisse a scompaginarne l’es-tensione per mostrarne il nocciolo, o la mandorla amara, o forse il cuore di amore.

Cielo è senza uomo, sì
come terra è senza uomo

per sempre se non altro
che l’uomo è senza sé.

Fernanda Ferraresso

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alexey  terenin

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Poesie tratte da Voltarsi di Antonio Bux

 

Proteggere gli alberi, proteggere la terra
e noi stessi, proteggere il nome
proibito della vita, proteggere il canto

del cielo e gli uccelli, com’è che cantavano
gli uccelli? Non si sentono più, allora
bisogna proteggere il loro silenzio.

.

Le nuvole sono sempre serene.
Disegnano felicità, avendo il loro cielo.
Come vorrei che le nuvole

mi somigliassero, come vorrei vedessero
in me il loro cielo. Perché io sono qui
e sono tutta la terra.

.

Non del fuoco che si ama
ma dell’unione tra due fuochi
senz’amore, e per stoppie

così vivi, di questi roghi
i luoghi si infiammano
e le persone sole.

.

Fino a quando diranno vivi,
saprai molto poco di te.
Dei deserti conficcati, dei muri
che crollando, hai numerato.

E non in tempo, per esistere, non
nella tua di mente, ma naturale
da poter dir loro tacete,
restate qui, con me taciuti.

Così sapranno chi sei quando
un giorno rose e piogge
e piogge e rose non saranno
e tu con loro, e lì la vita.

.

Lasciatemi in fiore, penetrare dalla terra
come un verme inseguito dalla sua bava
o dal sole ancora freddo, l’ultima gramigna
lasciatemi crescere, dentro un albero tranquillo
da solo nella foglia, morendo per mia radice.

.

Al tempo devo lo scorrere
e al corpo l’ombra degli altri.

Nessun dio mi riformerà
ma solo in una stanza

saprò segreto me stesso
perdere ogni coscienza.

Eppure una stanza non è
che un poco di dimensione

la cieca vertebra o l’esistenza
trascorsa in altro da me

però uguale. Così io sogno e chiedo
speranza, d’essere mio qui per gioco

già altrove. O di trovare il ricordo
distante, in chi mi ha vissuto

e ora per gioco sogna il ricordo
oppure sparire per niente.

Ma ho forse chiesto io
questa luce di vedere sempre i miei occhi?

Ora ho Dio qui con me nella stanza
e solo vuole che io sia presente.

 

.

Antonio Bux, Voltarsi – Graphe.it Edizioni 2022

(versi editi e inediti 2012-2022)

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