villa reale monza- facciata sul parco, orangerie, locandina virtuale evento
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L’Orangerie della Villa Reale di Monza ospita la mostra dedicata all’artista Antonio Ligabue, e forse è questo il luogo più adatto.
I giardini della Villa Reale circondano tutto il complesso architettonico con un’alternanza di prati distesi e di macchie d’alberi ultrasecolari; querce, cedri del Libano, cipressi e altri giganti del verde su cui si posano grandi varietà di uccelli, su cui si arrampicano scoiattoli e roditori.
Furono i primi in Italia ad essere progettati secondo la tipologia del giardino all’inglese con specchi d’acqua, grotte e cascate. Architetto, dei giardini e della Villa reale, Giuseppe Piermarini.
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villa reale monza- giardino, roseto e orangerie
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Davanti all’avancorte della Villa, l’Orangerie, si trova il Roseto di più recente impianto e idealizzazione rispetto al parco; fu voluto nel 1964 dall’industriale Fumagalli con lo scopo di estendere la passione per la coltivazione di un fiore così vellutato.
Si entra dunque nell’Orangerie attraversando il roseto tra l’armonia e la gentilezza di questi fiori, lasciandosi sul fianco il prospetto della Villa Reale e dietro il grande parco popolato da animali. Tra questi un cervo, avvistato nell’autunno con stupore di tutti.
Forse venuto a testimoniare della gentilezza di rosa di un uomo così particolare come Antonio Ligabue, forse venuto a rendere omaggio a lui che amava moltissimo tutti gli animali e con loro parlava con più facilità che con i propri simili, tanto che quando arrivava in una fattoria emettendo suoni incomprensibili agli altri uomini, gli animali tutti gli si accostavano con gioia facendo cerchio intorno a lui, vicini nell’aia i cani, le galline, i gatti e, a mano a mano e da più lontano, le mucche e le pecore e, dai boschi vicini, i cervi e le volpi.
antonio ligabue- la famiglia dei cervi
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Ligabue, l’artista pazzo e sofferente, si sentiva probabilmente a suo agio con loro; i suoi occhi, che negli autoritratti sono sempre vigili e tesi nel sentire la provenienza del pericolo, si distendevano nel guardare invece gli animali. Con loro smetteva di sentirsi braccato, di guardarsi alle spalle e poteva concedersi un momento di abbandono e di serenità.
I dipinti sugli animali, selvaggi e domestici, sono uno dei due filoni della sua ricerca ed espressione artistica, insieme a soggetti che ritraggono ambienti e paesaggi rurali in cui si innestano chiese, castelli con fossati e cinti da mura, e anche case dai tetti fortemente spioventi, come un’irruzione nella coscienza di altro, in forma di ricordo della sua natia Svizzera ormai perduta o di suggestioni attinte altrove, da libri e da racconti riportati.
Ligabue dipinge e scolpisce sia animali domestici, colti in atteggiamenti tranquilli e ordinari sia animali selvatici, spesso raffigurati nell’attimo dello scontro con le prede.
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antonio ligabue- gli animali selvatici ed esotici
(volpe con rapace, volpe in fuga con il gallo in bocca, testa di tigre, tigre reale, leopardo)
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Aquile dalle grandi ali aperte si avvinghiano al corpo della volpe che, già al suolo, leva in alto la bocca spalancata nel dolore.
Volpi da occhi allucinati, straordinariamente simili a quelli dell’artista, stringono stretti tra i denti il corpo dell’uccello agonizzante.
Sullo sfondo piccoli paesaggi rurali danno profondità spaziale alle scene fortemente colorate e decorate con una vegetazione ricca di piante e fiori; le farfalle si allontanano dal dramma e i cieli si caricano di rossi aranciati e di bianchi.
Insieme a questi dipingeva le bestie feroci che non aveva mai avuto modo di vedere da vicino ma solo da libri, si trattava di tigri, gorilla, leopardi, serpenti, rappresentati nella espressione della loro aggressività. Li dipingeva con un preciso rituale che consisteva nello studiarli sui libri per poi identificarsi con loro entrando in loro, assumendone cioè le posture e gli atteggiamenti. E mentre dipingeva spalancava la bocca, ruggiva, si trasformava nella bestia che voleva catturare sulla tela, imitandola, riflettendo la propria immagine nei tanti specchi di cui tappezzava la propria stanza. Un gioco di rimandi per andare oltre l’immagine riflessa e cogliere l’essenza di sé stesso e dell’altro, come se cercasse di catturare e tenere in sé l’identità dell’animale per praticare come lui la caccia e l’autodifesa, indispensabili per sopravvivere. Dipingendo i loro mantelli maculati, le loro fauci aperte, la tensione dei muscoli, Ligabue diventava la bestia pronta ad entrare nella vita in modo attivo, nella lotta che è sia degli animali che degli uomini.
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antonio ligabue- caccia
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Nel dipinto “La caccia” una muta di cani va all’assalto di due alci maschi che combattono tra loro, mentre, quasi all’improvviso, compare una carrozza trainata da cavalli al galoppo. L’acqua è sotto le loro zampe e in alto nel cielo, piega gli alberi e la vegetazione. A destra della scena un grosso incavo scuro in un tronco d’albero diventa simile a un occhio che scruta e assiste, così come quelli dei cavalli e degli alci, a ciò che accade intorno.
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.antonio ligabue- autoritratti
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Gli autoritratti sono l’altro suo filone di ricerca poetica oltre che pittorica. In essi si legge tutta la sofferenza vissuta sin da bambino sia verso la famiglia naturale sia verso quella adottiva, lo smarrimento a sentirsi sempre inadeguato in contesti sociali tanto da rifuggirli per preferire la solitudine dei boschi e dei campi, dove era libero di dare forza al suo grido. Negli autoritratti Ligabue si colloca quasi sempre in maniera dominante rispetto allo spazio circostante tanto da occupare tutto il campo con solo qualche particolare intorno. Nel suo sguardo dritto c’è la richiesta di essere visto, di essere guardato, in definitiva di essere amato. L’occhio diventava il fulcro della composizione, il centro di ciò che lui conosceva, il punto iniziale.
Del resto le sue pitture partivano sempre da un particolare per poi svilupparsi in un insieme, e anche in questo consisteva il suo talento innato. L’artista non aveva mai frequentato nessuna scuola di pittura, aveva sì ricevuto lezioni di scultura da Mazzacurati, ma parziali e in qualche modo inadatte al suo metodo e alla sua indole perché non avrebbe avuto la costanza di seguire tutti i processi di lavorazione di una scultura. Lui preferiva prendere direttamente l’argilla dal fiume per modellarla senza neanche cuocerla. In questo rapporto così diretto con la materia e coi soggetti a cui dava espressione consiste la sua grandezza di artista e di uomo che è riuscito con l’arte a riscattare parte della sua infelicità.
Teresa Mariniello
RIFERIMENTI IN RETE
https://www.milanoguida.com/visite-guidate/mostre-milano/mostra-ligabue-monza/
https://www.fondazionearchivioligabue.it