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Il 30 marzo 2022, a Mestre, nel quartiere Aretusa, presso la sede del Progetto Settelune, associazione che si propone di diffondere e valorizzare la cultura ispanoamericana in Italia, si è svolto il Festival “Grito de Mujer”, ideato dall’associazione dominicana a cura di Jael Uribe e sostenuto in Italia da Silvia Favaretto, Presidente del Progetto Settelune e da me, in qualità di socia fondatrice. Sono ormai otto anni che ci dedichiamo con passione e dedizione a questo Festival, in occasione del quale ogni anno indaghiamo intorno a un’immagine femminile, cercando di liberarla dagli stereotipi di genere che spesso la inchiodano dentro ad un cliché predefinito. Collaborano con noi molti artisti ispanoamericani che inviano le loro opere ispirate al tema prescelto, offrendo interessanti e nuovi punti di vista sull’argomento. Ogni anno si tratta di un viaggio appassionante, durante il quale si scoprono nuove potenzialità ed energie legate ad aspetti del femminile su cui è importante riflettere. In passato abbiamo trattato i seguenti temi: “La Donna Lupa”, “Sante e Matriarche”, “Sirene”, “Arianna nel Labirinto”, “Streghe”, “Omaggio alla Dea”, “Amazzoni”. Quest’anno abbiamo scelto di dedicarci a Penelope. Questa figura nell’Odissea è decantata come modello di pazienza e fedeltà coniugale e si trova in secondo piano rispetto a quella di Ulisse, eroe e protagonista, perciò abbiamo voluto renderle giustizia, spazio e visibilità. Sfatando una serie di luoghi comuni che aleggiano intorno alla sua figura, le abbiamo restituito il valore e la statura che merita nella sua ricca complessità.
Questo personaggio è ben più sfaccettato rispetto a come ci è stato sempre presentato, inchiodato allo stereotipo di moglie devota e fedele, che attende il ritorno di Ulisse per venti lunghi anni. Se indaghiamo nelle pieghe più nascoste della sua essenza, emergono elementi molto interessanti che rivelano come Penelope sia molto di più di quanto appare. Iniziamo dal considerare la sua genealogia e scopriamo che Penelope, figlia di Icario e di Policaste (o di Peribea) discende da parte di padre dal grande eroe Perseo, l’uccisore di Medusa (Icario era suo nipote) ed è cugina di Elena e di Clitennestra.
L’etimologia del suo nome deriva da “penelops” che in greco significa anatra. Questo nome è legato a un fatto accaduto alla sua nascita: suo padre Icario la getta in mare per ucciderla, ma è tratta in salvo da un gruppo di anatre. Questi elementi la ricollegano alle antiche dee-uccello, archetipo della Grande Madre, le cui immagini sono molto ricorrenti nel mondo preistorico e sono state analizzate dall’antropologa lituana Marija Gimbutas. Le dee-uccello erano le dee della vita e della morte, rappresentate sotto l’aspetto di anatra, oca, civetta e avvoltoio e delle quali troviamo numerose statuette nell’area mediterranea, egea, anatolico-mesopotamica. Ali e zampe d’uccello sono presenti nella dea mesopotamica Lilith, e questi stessi attributi permangono nelle antiche rappresentazioni delle Sirene e delle Arpie.
Non dimentichiamo che la civetta è anche emblema di Minerva, dea della Sapienza, protettrice di Ulisse e abile tessitrice, al pari di Penelope.
Infatti Penelope e Atena hanno moltissimi tratti in comune.
Oltre al significato di “anatra”, l’etimologia del nome Penelope deriva dal greco pēnē (πήνη), “filo avvolto sulla spola, trama, spola”. Pēnitis (Πηνίτις) la “Tessitrice” è d’altronde uno degli epiteti di Atena. Se consideriamo anche la seconda parte del nome, -ōps (-ωψ), “volto, aspetto, sembianze”, possiamo dedurre che Penelope unisce in sé l’arte di tessere con la capacità di assumere sembianze diverse, come se il tessere fosse una sorta di maschera indossata per nascondere la propria vera identità. È Atena a far dono a Penelope dell’arte della tessitura che pertanto assume valenze divine e metafisiche. Tramare ha il significato di tessere una trama, ma anche di ordire inganni per raggiungere i propri obiettivi. Atena è abilissima in quest’arte. L’arte della tessitura rimanda alla conoscenza segreta, a una scrittura non verbale che attraverso la trama e l’ordito, intreccia visibile e invisibile. Penelope e Atena hanno entrambe la capacità di tramare, tessere inganni in favore di Ulisse (Penelope con la sua tela, tiene lontani i Proci, preservando il suo trono a Itaca, Atena lo aiuta e lo consiglia in diverse occasioni nei momenti di difficoltà). Perciò si può affermare che sia in Atena che in Penelope siano presenti aspetti e caratteristiche della grande Madre arcaica. Non dimentichiamo che la tessitura è un elemento importantissimo nel mondo antico. Attraverso questa pratica, eminentemente femminile, si costruisce l’Imago Mundi. Nell’Odissea Penelope, Circe, Calipso sono dedite a quest’attività. Le Parche, dee che governano la vita dell’uomo sono rappresentate come tre filatrici. Porfirio ne “L’antro delle Ninfe”, racconta che nei pressi del porto di Itaca, dove Ulisse approda dopo il suo lunghissimo viaggio di ritorno, si trova un antro misterioso dove le ninfe tessono manti azzurro-purpurei che rappresentano l’allegoria della vita umana. L’autore s’ispira a un’interpretazione di alcuni versi del canto 13 dell’Odissea, alla luce di un tema fondamentale del pensiero neoplatonico (Porfirio fu allievo di Plotino): il dramma della discesa dell’anima nel mondo della generazione e il suo ritorno al divino. L’antro rappresenta il cosmo, Ninfe e api le anime, i manti azzurro-purpurei che tessono significano il formarsi del corpo intorno alle ossa; le due porte dell’antro, infine, sono le vie di discesa e di risalita nel percorso cosmico dell’anima. La figura di Ulisse, è simbolo dell’anima che passando attraverso i travagli dell’esistenza, approda infine alla sua vera patria. Penelope per guadagnare tempo e tenere a bada i Proci, è impegnata nella tessitura di un drappo funebre destinato a Laerte, il padre di Ulisse, che tesse di giorno e disfa di notte La tessitura quindi è una rappresentazione simbolica della vita e della morte.
Nella letteratura tradizionale, Penelope è celebrata come l’archetipo della moglie fedele che continua ad attendere il ritorno a Itaca di Ulisse per venti lunghi anni, senza mai far vacillare la sua virtù. Anche Ovidio nelle Heroides, opera costituita da una raccolta di lettere d’amore immaginarie scritte da eroine del mondo antico ai loro amati, la ritrae come una moglie devota. La prima di queste lettere è quella che Penelope scrive a Ulisse, sollecitandolo a tornare a Itaca. Vi sono però altre versioni dei fatti che ci fanno pensare che forse la storia è andata diversamente. Secondo alcune leggende Penelope non rimane fedele a Ulisse, ma si unisce al dio Hermes, con cui concepisce il dio Pan. (Probabilmente si tratta di una ninfa che porta il suo stesso nome e che spesso viene confusa con lei). Un’altra versione dice che durante l’assenza di Ulisse Penelope cede a uno dei Proci, Anfinomo. Nella stessa Odissea, infatti, Penelope ha un comportamento ambiguo nei confronti dei Proci: secondo un’interpretazione, è desiderosa di risposarsi, ma non prende questa decisione perché teme il giudizio del popolo. Nell’epitome della Biblioteca di Apollodoro è scritto che Ulisse, tornato in possesso di Itaca, rispedisce la moglie dal padre Icario perché si era fatta sedurre da Antinoo, uno dei Proci. Questa versione è ripresa nel romanzo di Maria Grazia Ciani, “La morte di Penelope” Marsilio, 2019.
Quando pensiamo a Telemaco (colui che combatte da lontano) siamo convinti che sia figlio unico. In realtà ha fratelli e fratellastri. Penelope e Ulisse hanno altri due figli, Poliporte, ( distruttore di rocche) e Arcesilao, (sostenitore del popolo) entrambi nati dopo il ritorno di Ulisse in patria. Inoltre Ulisse ha con Circe un figlio, Telegono (nato lontano), protagonista della Telegonia, un ciclo troiano del IV sec a. C. oggi andato perduto. In questo ciclo si racconta che Telegono, cresciuto, vuole conoscere il padre e parte alla sua ricerca, giungendo ad Itaca, dove lo incontra e accidentalmente lo uccide. Dopo averlo ucciso torna nell’isola di Ea, dove sposa Penelope e Circe, sua madre, sposa Telemaco. Telegono che uccide il padre Ulisse ricorda Edipo che inconsapevolmente uccide il padre Laio e sposa la madre Giocasta.
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Nell’Odissea Penelope è definita come una donna capace di fantasia fervente e di lei si dice: “nessuna seppe pensieri come Penelope” ma è soprattutto una grande sognatrice.
Nel poema sono ricordati tre suoi sogni. Il primo riguarda il figlio Telemaco che è andato lontano alla ricerca del padre. In sogno Atena le svela la verità: suo figlio è sano e salvo e sulla via del ritorno, perché è caro agli dei. Il secondo sogno è il più importante ed è quello che Penelope racconta al vecchio mendicante, sotto le cui mentite spoglie si cela Ulisse, tornato finalmente a Itaca per fare giustizia e uccidere i Proci. Penelope sogna venti bianche oche che beccano il grano. Dal cielo scende un’aquila che spezza il collo a tutte. Penelope piange perchè l’aquila ha ucciso le sue oche e allora questa la consola e parlandole con voce umana le dice che questo non è un sogno, ma una premonizione. Le oche sono i Proci e l’aquila è Ulisse. Penelope chiede al mendicante d’interpretare il suo sogno e Ulisse le dice che tutti i Proci non potranno sfuggire al loro destino che è già segnato e moriranno per mano di Ulisse, tornato ad Itaca. Nel terzo sogno Penelope, la notte prima dell’eccidio dei Proci, sogna di dormire accanto ad Ulisse, giovane e bello, e anche Ulisse, che ancora non si è rivelato, nel suo giaciglio di mendicante, sogna di giacere accanto alla moglie. Tutti e tre i sogni sono profetici.
Il letto di Ulisse e Penelope rappresenta nella civiltà occidentale il talamo dell’unione matrimoniale, la fedeltà come segno ineludibile dell’amore tra gli sposi. Ulisse conosce bene l’arte della lavorazione del legno, è lui a escogitare l’inganno del cavallo di Troia ed è lui a costruire il suo talamo nuziale su un ceppo di un ulivo ben radicato a terra. Quando Ulisse, sfinito dopo aver compiuto la strage dei Proci, desidera riposare, è Penelope a tendergli una trappola, forse perché non è certa che sia veramente lui, dopo averlo tanto atteso. Ordina alle ancelle di portare il letto in un’altra stanza, al che Ulisse rivela che il letto è inamovibile, dimostrando di essere a conoscenza del segreto che solo loro due conoscono. Ma che cosa significa tutto questo? Il ritorno in patria è ritorno alle origini. La ninfa Calipso offre a Ulisse l’immortalità in cambio del suo amore e lui la rifiuta. Ulisse vuole morire, ma tornare a casa. La vita con Penelope significa abbracciare la condizione umana, mortale, la vecchiaia: in definitiva, la morte.
Tuttavia il racconto lascia trasparire che quella morte ha una sua perfezione. Il letto di nozze nelle antiche tradizioni è anche letto funebre, ma questo letto di ulivo non è l’equivalente di una pira funebre che consuma. L’ulivo è la pianta sacra ad Atena colei che è la costante salvatrice di Odisseo, a cui toglie la nebbia dagli occhi affinché possa riconoscere gli dèi nel turbinio della battaglia. E’ sempre lei a preparare il ritorno del naufrago, ad aiutare e a proteggere gli sposi, distendendo su di loro una notte più lunga. Atena, la dea uccello, i cui tratti si confondono con quelli della stessa Penelope.
La figura di Penelope passa attraverso molte rielaborazioni letterarie, una tra le più interessanti è quella di James Joyce che nell’”Ulisse” identifica nel personaggio di Molly Bloom, la moglie infedele di Leopold Bloom. Si tratta di una Penelope anticonvenzionale, passionale e carnale, il cui monologo chiude il libro. In un flusso di coscienza che è una marea di pensieri, immagini ed emozioni, Molly trascorre la notte insonne, ripensando agli uomini che ha incontrato nella sua vita e a quelli che avrebbe voluto incontrare, vagheggia o ricorda avventure immaginarie o reali, senza che il lettore possa capirlo con certezza. Pensa a lui, Leopold Bloom, con cui è sposata da sedici anni, che l’ha già tradita in passato e continua a farlo. Pensa al proprio amante, un agente teatrale con il quale ha trascorso il pomeriggio. Affiora il ricordo della sua infanzia a Gibilterra, del padre, il maggiore Tweedy, e del suo primo amore, il tenente Mulvey, che la baciava con passione sotto le mura moresche e il cui ricordo è vivo come se non fossero trascorsi vent’anni. Immersa in queste memorie, giunge a rivivere con intensità l’ebbrezza provata nell’accettare la proposta del futuro sposo, Leopold Bloom, abbandonata fra le sue braccia sulla collina di Howth, in un crescendo di accoglienza alla vita e all’amore. Le settecento pagine del romanzo terminano con una parola piccolissima:“Sì”. Questa Penelope moderna, piena di tradimenti e imperfezioni, esprime la potenza e l’energia del femminile nella sua complessità.
L’epiteto omerico attribuito a Ulisse è “politropo” che significa uomo di grande versatilità e ingegno associati a scaltrezza, ma Penelope non è da meno, anzi, è capace da sola di tenere in scacco per lunghi anni i Proci, i venti pretendenti che aspirano a sposarla per avere il regno di Itaca.
Immersa nella dimensione dell’attesa ci rivela che non c’è aspettativa senza speranza. Anche se siamo abituati a considerare l’attesa una condizione passiva, se ci addentriamo meglio nel suo significato più profondo, essa è anche un “tendere verso” il luogo nel quale immaginiamo il futuro. In questa tensione fiduciosa possiamo costruire il desiderio, sentirlo crescere in noi, coltivarlo, renderlo più consapevole o più folle; nell’attesa possiamo intrecciare i fili della nostra tela, realizzando i nostri progetti, per poi sfilare tutto e ricominciare. L’astuzia attribuita a Ulisse che lo rende a volte un po’ temerario in Penelope si tramuta in accortezza e nella capacità di fronteggiare situazioni altrimenti insostenibili. Del resto, in una delle versioni del mito, Penelope non per caso si unisce a Hermes, il dio dell’astuzia e degli espedienti. In Penelope confluiscono moltissime qualità, ma anche emergono numerose contraddizioni che la rendono un personaggio complesso e ricco di personalità. Che cosa possiamo imparare da lei? Che il tempo dell’attesa non è inerte, che i sogni spesso si avverano, che tradire e desiderare è possibile e che non è antitetico alla pazienza e alla fedeltà, come la vita non è antitetica alla morte e viceversa. Penelope, tessendo e disfacendo la sua tela, crea e distrugge, come noi creiamo e distruggiamo ogni giorno i nostri progetti e le nostre opere, per ricominciare l’indomani, senza mai arrenderci, con sempre nuovi obiettivi e propositi.
Lucia Guidorizzi
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