ISTANTANEE- Fernanda Ferraresso: Gemma e luce… un labirinto di riflessioni.

isao tomoda

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Nel buio non erano 
Le fiabe a sedurmi
Ma il tuo canto di sirena
Il tuo narrare epiche avventure
Che rendevi tanto familiari
(…)
Mi raccontavi le passioni e gli inganni
I desideri e le partenze
(…)
Amori e desideri raccontati
Nella tela di Penelope e nello scudo di Achille
Gli dei che si mescolavano ai mortali

La parola germinava lenta e seducente 

Cresceva in me come un albero immenso
Alla tua ombra io trovavo riparo
Mentre mi trascinavi dentro la corrente
Calda e stregata delle tue parole
Verso isole meravigliose

 

Questi versi, alle prime pagine del libro di Lucia Guidorizzi, intitolato Gemmealuce e dedicato alla madre, o meglio, ormeggiato al fianco delle impronte della madre a cui si accompagna, è a ben guardare un cammino non differente da quelli percorsi “in solitudine” dall’autrice verso una finis terrae interiore, ma anche verso una casa che è àncora e mare, casa e viaggio, foresta, selva abitata di ombre, isola e canto che chiama, se-ducendo. Mito e logos in un continuo, fervente, dialogante accrescimento di luci e profondità da sondare, attraversamenti in ascolto di quel mare agitato che all’alba si ritira lasciando abbandonate sulla spiaggia relitti e mucchi d’alghe, da cui ricavare vaticini forse, o letture di altre tracce, lasciate dalle mareggiate dei sogni. Entrambi segni di qualcosa che è in noi, anzi è noi, il nostro daimon forse, che unico ha il codice dell’anima e ci sospinge continuamente a quel destino scelto prima di venire in questo mondo, scegliendo per noi i natali, lasciandoci poi immemori sulle rive delle loro vite che diventano la nostra scialuppa di navigazione.
“Qual era il tuo volto prima che tuo padre e tua madre s’incontrassero? ” Scrive così Lucia Guidorizzi, riportando un koan zen in esergo alla raccolta ed è quello che fa luce, penso, tra i segni della scrittura e le tracce segrete, o lasciate nelle segrete stanze della memoria.
L’esergo, in latino e anche in greco, significa fuori opera ed era l’esiguo spazio sotto l’incisione grafica nelle monete. Sotto il disegno principale, a memoria di qualche evento o persona da ricordare, rimane comunque fuori opera cioè fuori dal disegno. E’ per me importante sottolineare questo elemento perché ci consente di guardare al percorso di Lucia, non a caso per  me ha questo nome, comunque fuori opera materna, della madre Gemma. Impossibile non mettere insieme questi due elementi, la luce e la gemma, anche se spesso le gemme sono avvolte da altre concrezioni e la luce per mostrarsi attraversa o si appoggia all’ombra. Anche questo comunque mi fa pensare al daimon, alla sua azione prima che l’anima venga al mondo e s’incarni in questa o quella persona, cioè fuori dall’opera visibile dal momento della nascita, per mezzo di due genitori scelti appositamente per l’azione che l’anima svolgerà in questo mondo, e poi seguitando verso il suo proprio compimento. E la matassa che Guidorizzi svolge, tenendo ben fermo tra le mani il suo capo di quella gemma di filo, annodata alla vita della madre, è l’amore per la madre parola, la terra madre verso cui si pro-muove, oltre ogni scrittura parentale, senza timore per la Moira che ha il compito di recidere il filo prezioso. Figlie della Notte, le Moire sono, secondo me, la personificazione che riescono ad assumere in sé le parole stesse, figlie e genitrici all’un tempo, portatrici del nostro destino ineluttabile ma anche coloro che recidono il filo di senso. Il loro compito di tessere il filo del discorso è tutta la tessitura del fa(t)to di cui ogni uomo è porta(e)voce, e svolgerlo da un capo all’altro, se porta alla recisione porta anche alla configurazione di un luogo, quel logos di cui ogni parola include una profondità insondabile perché variabile per ognuno di noi e per ogni uno elabora mareggiate di molteplicità e di universi percorribili.  ADE e DEA sono parole che si specchiano, proprio come vita e morte, ma oltre la superficie da cui entrambe per osmosi si nutrono.
Preziose entrambe l’una per l’altra come la terra che ci ospita ci mostra, attraverso il susseguirsi delle stagioni evolvono uguali-diverse, ognuna unica e tutte comunque passibili di una fine. Vive tutte per ciò che è radicale e per ciò che è multiforme e aereo, che comunque arriva fino alle profondità delle zolle, per richiamare dall’ade vegetale i semi e trarne fioriture magnifiche.
E’ certamente un terremoto tutto quanto nascostamente si muove ed è vivente, prima ancora di esserci visibile e noi possiamo credere morto. Un mare agitato da cui ogni se/me lascia la sua riva tranquilla, basta un filo di luce e il suo calore perché accada il movimento della trasformazione, della migrazione da uno stato ad un altro. Ed è questo, passo dopo passo, riga per riga come un filo di sete, che Lucia Guidorizzi lavora al suo fuso, senza confusione, predisponendo il suo cammino nel verso, verso se stessa, dalla discesa all’ascesa delle pagine finali, proprio verso quel finis terrae in cui, alla conclusione della terra calpestatile c’è sempre il mare attraversabile, azzurrità di un cielo che si capo-volge continuo facendosi ora acqua ora aria, della nascita e della vita in una mai conclusa apparizione-sparizione proprio come un ago che si tuffa nella te-la scomparendo e riapparendo poco oltre, tra le trame di un mare di filo.

 

In calcari decrepiti stanno racchiuse tracce di ere geologiche lontanissime, ammoniti costellano le vie lastricate di una popolosa città. Come questi fossili, i ricordi stanno acquattati dentro gli strati di pietra del cuore, enucleati in forme latenti di una non-morte che li sorprese in epoche remote: poi arriva qualcosa che frantuma le pietre e da quelle sopite emerge l’essenza inobliata. (Discesa, I– pag.104)

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Il mare è un grande artista che ogni giorno mette in scena nuove opere. Il suo talento teatrale è inesauribile: si offre e si sottrae, spiazzando sempre ci lo guarda(Ricerca,VII– pag.107)

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(…)
Il dolore è la disciplina del tempo.
E’ questa l’ascesa. E’ questa l’ascesi. Saper vivere nell’oggi senza attese e senza memorie. Farsi attraversare. (Ascesa, VII-pag.110)

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Come nel labirinto, casa di Asterione, una casa con le porte aperte sempre, di notte e di giorno, senza un solo mobile, come ci racconta Borges in Aleph,  ognuno di noi è quella casa e quell’abitante dell’ombra, anima animata animazione del daimon,  divinità che brilla sempre in una in-quieta solitudine. Senza serratura che la faccia prigione la casa-vita scorre in fluide corse in corridoi infiniti, senza che nulla possa essere comunicato all’altro, attraverso una scrittura che resta dia-logo, disperso in minuzie di segni a cui si attribuiscono le fantasie, i fantasmi che in ciascuno di noi vivono, continuamente.

Fernanda Ferraresso

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isao tomoda

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Testi tratti da Gemmealuce, di Lucia Guidorizzi e Gemma Tasinato Guidorizzi.

Da LIBAMEN

IL VARCO*

 

Salirà dalle radici un grido
al varco di una vita favolosa,
si frangerà il cristallo terso degli anni
in lamenti che nessuno raccoglie,
ed anche noi passeremo
increduli tra i vinti.
Il tempo: era mio questo bene,
era tuo e non lo sapevamo:
i messaggeri di un’altra età
già mormorano parole incomprensibili
e tutte le ore sono puntate
contro le mie mani vuote.

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ARANDO IL MARE

Mi chiedevo da quale oscurità giungessero
Quelle parole come conchiglie sulla riva
Di un oceano incessante nel suo divenire

Mi chiedevo quali cani abbaiassero alla Luna
nelle notti ardenti dei deserti più estremi
Mi raccoglievo in me stessa pensando
Alle chimiche oscure che legano e slegano
I viventi e i trapassati

Ma non trovavo sollievo alle mie domande
E come un cammello legato ad un pozzo
Per raccogliere l’acqua
Giravo intorno a me stessa

Ma non ne venivo mai fuori
Se non per brevi attimi convulsi
E incoscienti.

Abbiamo arato il mare
Scritto sull’acqua
e per nostra tracotanza
Restiamo estranei a noi stessi

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SILENZI

Memoria di pietre
Su cui sono scritte sacre formule
Sudore del muschio
Che espande i suoi umidi regni

Non c’è traccia
Di quanti qui passarono
E nemmeno di quanti passeranno

Dopo tutti questi silenzi e il fuoco spento
C’è ancora una lampada accesa nella notte
Nella stanza più alta e solitaria

Lì tu studi e pensi ai tuoi passi e a quel vuoto
che ti spinge inquieta sempre avanti
Per fonderti nello splendore del momento.

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* NOTE – Il testo IL VARCO, presentato in corsivo, indica l’appartenenza di questo a Gemma Tasinato Guidorizzi, madre di Lucia, con cui l’autrice elabora la tessitura della raccolta Gemmealuce.

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Lucia Guidorizzi, Gemma Tasinato Guidorizzi,  Gemmealuce- Supernova 2022

3 Comments

  1. Ringrazio Fernanda Ferraresso per la lettura profonda e attenta che ha saputo pienamente cogliere i miei intenti e le mie intenzioni nello scrivere. La sua sensibilità critica sa investigare anche nelle pieghe del non detto e riconoscere il percorso interiore affine a quello esteriore che mi anima. Infinitamente grazie per questo dono generoso.

  2. mi piace molto il parallelo con le camminate in solitaria, credo che la vicinanza, la somiglianza, appartengano al percorso della poesia, si possano estendere al procedimento della poesia di molti, se non di tutti, e non solo di Lucia.

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