lizzie riches- personificazione del sentire
Le specie di uccelli minacciate di estinzione sul nostro pianeta sono 1.469: un ottavo circa delle 10.966 specie conosciute. È il quadro a tinte fosche che emerge dallo State of the World’s Birds, il rapporto 2018 sullo stato di conservazione dell’avio fauna pubblicato da Bird Life International.
La minaccia più grande in assoluto è rappresentata dall’ aumento delle colture intensive: il 74% delle specie volatili (ossia 1.091 specie) è a rischio estinzione per l’espansione dei campi agricoli, che oggi occupano sei volte più spazio rispetto a 300 anni fa. Dal 1700 ad oggi, le aree convertite all’agricoltura sono passate dal 6% al 38% del totale.
Le nostre attuali abitudini di consumo, con una dieta sempre più ricca di carne, aumentano la necessità di coltivazioni – come quelle di soia – destinate all’alimentazione del bestiame. Ai tropici, intanto, cresce la domanda di terre da coltivare con piante di caffè, di cacao, di canna da zucchero e di palme da olio.
La perdita di habitat poi dovuta al disboscamento, al prosciugamento delle paludi, e alla successiva antropizzazione sta decimando quelle specie come la tortora comune (Streptopelia turtur) in Europa, o il pappagallo cinerino (Psittacus erithacus) in Africa, un tempo abbondanti. Anche gli zigoli (uccelli dell’ordine dei passeriformi), le allodole e le pavoncelle risentono principalmente di queste minacce.
Un’altra attività umana, la caccia, sta inoltre mettendo sotto pressione 517 specie già a rischio estinzione, come lo zigolo dal collare (Emberiza aureola), che è passato dalla categoria “minor preoccupazione” a “in pericolo critico” in soli 15 anni.
E per finire e si direbbe quasi, dulcis in fundo, il riscaldamento globale è la principale minaccia per altre 485 specie, che assistono impotenti alla scomparsa del loro habitat: tra questi il gufo delle nevi (Bubo scandiacus), impossibilitato a mimetizzarsi in una tundra non più bianca.
Sulle 544 specie di uccelli che vivono in Europa, una su cinque è “minacciata” o “quasi minacciata”. Persino corvi e quaglie rischiano l’estinzione.
C’è il chiurlo maggiore (Numenius arquata), migratore che predilige paludi, estuari e acquitrini. C’è il picchio verde iberico (Picus sharpei) che, come suggerisce il nome, è nativo di Spagna e Portogallo. C’è addirittura la quaglia comune (Coturnix coturnix).
Queste sono soltanto alcune delle specie di uccelli ufficialmente dichiarate a rischio di estinzione nell’ultimo aggiornamento della Lista rossa dell’Unione mondiale per la conservazione della natura (Iucn).
A conti fatti, su 544 specie di uccelli che vivono in Europa, una su cinque è da ritenersi minacciata o quasi minacciata.
Non sappiamo se questo resoconto da solo riesca a fare presa sulle coscienze di chi deve compiere delle scelte per affrontare grandi questioni globali economiche, energetiche e climatiche. Siamo certi però che chi questa coscienza l’ha acquisita non deve e non può rinunciare a diffonderla quasi si trattasse di un antivirus necessario alla sopravvivenza della specie. Anzi delle specie.
Ed è così.
Per questo abbiamo voluto aggiungere al resoconto introduttivo una sezione poetica divisa in tre parti – sempre più rarefatte ma poeticamente dense – formate rispettivamente da poesie di Giovanna Menegùs, dalle prose poetiche di Yin Xiaoyuan e da un commento di Giuseppe Ferrara a una operetta morale di Leopardi.
lizzie riches- silvanus past present and future
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Giovanna Menegùs
Nata a Milano e cresciuta a San Vito di Cadore. Ha lavorato a lungo in ambito editoriale e pubblicato tre libri di poesia: Quasi estate (MasterBook / ExCogita, 2017), Investitura di voci (96, rue de-La-Fontaine, 2018) e L’occhio fotografico (Pietro Macchione, 2018). Collabora al lit-blog collettivo «La poesia e lo spirito». Per Avamposto cura la rubrica “Odiare la poesia”.
Le poesie qui riportate sono estratte dalla sezione Ornithology della raccolta Quasi Estate. Le ultime due sono poesie inedite.
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Sempre meno uccelli nei boschi
– il pianeta desertifica –
e l’udito non è più quello d’un tempo
ma qui si continua a uscire
dai sentieri, a battere la montagna in lungo e in largo,
perché senza la passione per questi frulli d’ali
e imprendibili presenze
nell’aria intorno
nemmeno più
la si chiamerebbe vita
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Su e giù tra i rami dei cìrmoli
davanti alle finestre
sono di volta in volta:
il tordo bottaccio i passeri il lucherino
l’avèrla il fringuello l’organetto
balestrucci cesene
un codibùgnolo.
Io, miope tra l’altro, so per certo
solo il nero lucido e netto
del merlo salterino
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La canarina arancio fuoco in silenziosa cova
– covata dal maschio che anche lui senza più un trillo
o un frullo
la guarda fisso e ieratico
dal trespolo di fronte –
è riposante, confortante: basta il calore del corpo,
basta l’attesa. Per trasmettere vita, per mandarla avanti
in certi momenti
non ci vuole altro
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E poi bisogna raccogliere
barbe di licheni al tempo dei nidi,
pigne piene di semi, radicchi freschi, ravizzone,
coprire le gabbie con un telo a sera,
scacciare i gatti attorno alla voliera,
catturare cavallette a volte,
cuocere l’uovo sodo e allevare tarme
dentro un barattolo in cucina,
tenere temperature tropicali per i più cagionevoli
– come se fosse facile, in montagna –
ed evitare le correnti d’aria,
sempre
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Mattino di metà novembre che imita Trakl
Il trepido saliscendi dei merli
tesse le ultime foglie gialle e brune
………….dei ciliegi – ma lontani
………….affondano i corvi nella nebbia
………………………….senza un suono
…………..lividi cachi
…………..pendono tra i rami
Auf und ab leise die Amseln weben
die letzten Blätter, zitronengelb und dunkelbraun,
…………….der Kirschbäume – aber fern
…………….sinken die Raben im Nebel
………………………………..lautlos
……………..ganz feucht, Kakifrüchte
……………..neigen durchs Gezweig
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Intorno al ponte coperto sul Ticino
lo sventagliarsi grigio argenteo
d’un grande stormo di piccioni
…………………………….in formazione
sorprende, sospende il tempo un lungo istante
Ma l’abbiamo sentito
…………o immaginato
il frusciare di tante ali e piume
…………nel celeste di carta sopra gli archi, di sotto
………………..il verde lento e torbido del fiume…
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lizzie riches- a popinjay
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Yin Xiaoyuan (殷晓媛)
È una poeta cinese d’avanguardia, crossover ed epica, scrittrice multi-genre e multilingue, fondatrice dell’Encyclopedic Poetry School nel 2007 e iniziatrice del movimento di scrittura ermafrodita. È autrice di nove libri tra cui quattro antologie poetiche (Ephemeral Memories, Beyond the Tzolk’in, Avant-garde Trilogy e Agent d’ensemencement des nuages), diciotto epiche enciclopediche e ventiquattro serie di poesie brevi con temi che variano dalla fisica alla chimica, biologia, geografia, geologia, psicologia, calligrafia, fotografia, musicologia, geometria, meteorologia e scienze dell’informazione. Le sue opere – scritte in cinese, inglese, giapponese, tedesco e francese – sono state ampiamente pubblicate in Cina, Stati Uniti, Canada, Giappone, Germania, Australia, Tailandia e altrove. È membro della Translators Association of China, dell’ Istituto di poesia cinese e dell’Associazione di scrittori di Pechino.
In Italia sono stata tradotte dalla Taut Editori di Milano alcune raccolte (Ricordi effimeri, Oltre Tzolk’in e Agente inseminatore di nubi).
L’atlante ornitologico è una delle sue epiche enciclopediche costituita da una serie di 72 poesie scritte tra il 2020 e il 2021 e che hanno come titolo il nome scientifico latino di ciascun uccello e sono corredate da note e descrizioni molto dettagliate in fondo a ciascuna poesia. L’originale è in cinese ma è stato tradotto in inglese dalla stessa poeta. Attualmente l’atlante è in fase di traduzione in varie lingue comprese lo spagnolo, il portoghese, il bulgaro, il russo, l’italiano e altre ancora. Questa traduzione italiana è a cura di Giuseppe Ferrara (dalla versione inglese di Yin Xiaoyuan).
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[22] Sterna Paradisaea 北极燕鸥
Ho compagnia: l’aura ellittica del solstizio d’estate mi ha seguito fin qui. Un embrione smaltato di blu su un piatto d’argento chiamato “Terra” sta esalando aria congelata dall’Era Glaciale, roteando nella parte inferiore di un sistema solare a forma di farfalla: la coda che s’apre nella polpa spumosa dell’oscurità spaziale.
Quando il terminale attraversava i meridiani, la tensione superficiale tra il giorno e la notte raggiungeva il suo apice, e formava un ” ∞” su una zona climatica indefinita.
L’estate è un uccello con la testa accesa come una candela. Quando si avvicina al Circolo Polare Artico, porta con sé sassifraghe viola, eleganti licheni a raggiera, trilli e squilli tra i ghiacciai di piovanelli di Baird. Dormo nella morbida coperta di cotone artico.
Simili a trucioli di matite colorate: fusi in cima alla perenne zona criolitica. Ho fatto pace con l’ombra gigante di me che l’estate ha lanciato nella grande volta.
I muschi sono come bolle flottanti l’una sull’altra nella vasca : le loro venature d’argentohanno nutrito bacche vermiglie sotto gli ombrelli di nuove fioriture. Ghiacciai simili a ranuncoli inviano segnali di allarme – – sono stati così tanto riempiti che i loro petali d’oro rosso scintillano vigorosamente.
I cumuli di neve presto creeranno ghiaccio nuovo tra le crepe, riparandosi dentro grandi volumi di solidi blu in natura come molluschi. Il fuoco elementare sta bruciando sul mio becco e intorno ai miei piedi. Come un audace cacciatore di sole, ho sempre indossato il mio emblema e con umore solenne guardo il crepuscolo color salmone soffiare sul foglio di ghiaccio.
Mai si ferma l’aurora. Tentacoli di luce qui nell’estremo nord falliti, si riavvieranno quando raggiungerò il Polo Sud. Una volpe fuggita lungo il torrente con il favore dell’oscurità, sta portando con sé un uovo rubato. Ci possono anche essere buoi muschiati e trichechi, che si capovolgono su un angolo di questa terra ghiacciata pronta a tornare acqua.
Sarò già nel pieno del mio viaggio di 20.000 km, quando tutte quelle scene sfileranno in ordine, mentre lascio qui il mio vecchio piumaggio, saldato nel ghiaccio con quelle foglie ancora rosse. Mi dirigerò a sud lungo un meridiano, assistendo al trascorrere di giorni e notti, al riflusso e al fluire di tutto.
Ma la luce artificiale cresciuta nei reami umani è diversa dall’alta incandescenza celeste. Questo plancton sta andando alla deriva in quelle zone più profonde e più pericolose. Il nucleo della notte è in fiamme, e le sue fibre si arricchiscono di steli. Non chiedetemi, come sono stato inseguito per tutto il tragitto e infine toccato dai riflettori, incoronato “Re della Migrazione”.
Lo zenit della mia vita dura solo per pochi istanti… mostriamo grandi pesci che abbiamo catturato. Signore più eleganti di queste belle piume, che fischiano o ballano.
Poi insieme diamo alla luce questi compagni: non sanno niente di venti occidentali, dell’equatore, ma iniziano a volare a 1 mese. Possono sentire i cicli solari, la luce polarizzata e il campo magnetico intrecciarsi in un flusso rotante.
Ora guardate la parte dell’Atlantico a nord delle Azzorre sotto i drappi dell’oscurità: i ricchi nutrienti salgono in superficie e la riscaldano. Il mio viaggio è come un bianco nastro da ballo gettato per aria. Ovest dell’Africa, est del Sud America, le rotte che lascio sull’acqua continuano ad avanzare: raccolgo sempre i dati del sole e della posizione lungo la via. Sono come oracoli iscritti nelle ossa in un vecchio libro di ecologia. Il krill così succulento, come se fosse pieno di succo luminoso. Croccanti costolette di Tempo sbocceranno quando annuseranno l’estremo vento meridionale.
Gli iceberg cadono e affondano come collari ricoperti di lacci rosa e verdi. Prima che il vecchio frammento di Gondwana riemerga all’orizzonte, manterrò la mia promessa: mai atterrare sui continenti.
La sottile linea zigzagante tra ghiaccio e acqua si sta ritirando sulla superficie dell’oceano. Il “Padiglione A” del polo inaccessibile allunga la sue antenna sotto il cielo stellato. La sfumatura nera sul suo picco inumidito si fa più scura.
Non ho bisogno di voltarmi per sapere: l’estate è un passo dietro di me come un allegro spaccone che racconta la storia della mia vita.
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[24] Nestor Notabilis 啄羊鹦鹉
(Kea)
Un monaco con il saio bianco guardava giù dalla cresta della montagna: la neve persistente sul pendio somigliava a minuscoli frammenti di uno specchio rotto. A volte si perde nella foresta autunnale di faggi, e viene cercato come una volta l’oro germogliante cantato nel Gospel. Altre scavalca le scogliere, per cercare crisantemi scarabocchiati sulle rocce desolate. C’erano forme di selvatico che splendevano contro un cielo da vista panoramica.
Scivolando giù dalla cupola verso la vastità scintillante. Non riusciva a vedere il mare color melograno al di là delle colline, tranne il panno stellato verde acido intorno al Monte Cook… Quando la lancetta delle ore penzolava fra le 5 a e le 6, la Via Lattea veniva assorbita in una cavità ardente tra le montagne.
Il sanguinario verde mascherato vagava tra i campi di fiori, a volte mutandosi in un Border Collie o in una mucca maculata, e altre in un trifoglio selvatico guardingo in attesa del passaggio di un gregge di pecore lì davanti.
Le sfumature cangianti del crepuscolo scendevano dal cielo settentrionale, mentre una nebbia lanosa strofinava il profilo meridionale delle Alpi. Il terreno era delimitato da montagne alte e cremose lavorate da scalpelli tondi e a coda di rondine, utensili a V o sgorbie a U. Egli invidiava molto il monaco leggendario, che era stato sui vulcani Ruapehu e Ngauruhoe , ad abbracciare gli scenari del Lago Taupo, accostandosi al bianco fumo divino che rotolava lì sopra.
“L’unico eremita sopra la linea della neve? Il campo geotermico simile a uno spettro un giorno ti catturerà e ti inghiottirà vivo! Perché vagare sull’orlo del paradiso, quando c’è una grande festa che ti aspetta quaggiù nel mondo umano?”
Si mostrò davanti a un uomo sul prato in maglietta a strisce verticali, tirò giù la guarnizione di gomma del finestrino dell’auto, spezzò i tergicristalli e perforò tutte le gomme. L’uomo agitò le braccia alzate, lasciato solo sotto la pioggia. Non fu affatto divertente. Non c’è nulla di più divertente che rubare una bottiglia di acqua gassata dalle mani di una bambina.
C’era nuvola di zucchero filato in una sequenza di fotogrammi. Il monaco dipinse pieghe sulla collina a forma di rami del caprifoglio dell’Amur. Percorreva solennemente la tortuosa strada di montagna, ammirando i fili d’erba sui crinali che conducevano a montagne più scure in lontananza. Ben presto rimase solo una piccola frattura di quel bagliore ancora persistente sul cono collinare.
Il sanguinario stava vicino al lago, sulla cui superficie il ghiaccio sconfinato cominciava a sciogliersi come rotture di anelli annuali di accrescimento. Prese in giro il monaco, gli occhi che bruciavano come braci di legna. Dietro di lui il cielo notturno era illuminato come una ciotola di gelatina di konjac.
“Tu decadente, sanguisuga. Non sei meglio di una sula alla deriva. Le onde di Lazurite intorno a Capo Reinga ti taglieranno profondamente le carni…dove ti trovi è il centro del cono vulcanico dell’ Eden.”
Dovrebbe convertirsi. Dovrebbe lavarsi gli occhi nella fontana di cristallo, prima di guardare un albero fiorito ondeggiando la sua testa nella nebbia. Dovrebbe essere l’Albero Solitario del Lago Wanaka, circondato dall’acqua, godendosi la propria solitudine.
Il monaco corse giù per la collina. Sentì la gravità perduta da tempo. Si ricordò che il fiordo muschiato una volta aveva lo stesso colore delle sue piume. Ma tutto divenne bianco dopo una nevicata In piedi vicino al lago Pukaki, ha guardato verso il basso il suo riflesso, ma c’era il volto del sanguinario.
Piombò di colpo giù nella luce cupa del regno degli umani.
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lizzie riches- her future is my past
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Giuseppe Ferrara
Nato a Napoli, è cresciuto e ha studiato a Potenza. Dopo la maturità conseguita presso il Liceo- Ginnasio “Quinto Orazio Flacco” del capoluogo lucano, si è laureato in Fisica all’ Università di Salerno. Vive e lavora a Ferrara come fisico in un Centro Ricerche privato. Ha pubblicato cinque raccolte di poesia: L’Orizzonte degli eventi (Este Edition, Ferrara 2011); segnicontroversi (Edizioni Kolibris, Ferrara 2013), Appunti di viaggio di un funambolo muto (Tracce, Pescara 2016), Il Peso e la Grazia (96 rue de- La- Fontaine Edizioni, Follonica 2018) e Raccolta Differenziata (InternoLibri , Latiano 2021). È presente in diverse antologie tra le quali I poeti del Duca- Excursus nella poesia contemporanea di Ferrara (Kolibris Edizioni, Ferrara 2013); Riflessi, n°40 (Pagine, Roma 2015); Il mio mandala-Antologia 114 haiku (Collana Cascina Macondo, 2015) e Folate di versi (Paolo Laurita Edizioni, Potenza 2019). Scrive di poesia e altro sul suo blog Il Post Delle Fragole (www.thestrawberrypost.blogspot.it ). Collabora con diverse associazioni culturali e con il progetto di arti visive e scrittura- www.thedreamingmachine.com
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La vita estrinseca degli uccelli
La vita estrinseca è quella vita che si vive abbandonandosi alla pienezza del mondo.
Leopardi propone questa immagine nel suo Elogio degli uccelli e attribuisce proprio agli uccelli questa capacità di una vita pura.
Gli esseri umani potrebbero vivere nello stesso modo se solo fossero capaci di questo abbandonarsi. Gli uccelli infatti, dice il poeta, «pochissimo soprastanno in un medesimo luogo; vanno e vengono di continuo senza necessità veruna», solo un «puro moto» per il proprio diletto.
E così «anche nel piccolo tempo che soprasseggono in un luogo, tu non li vedi mai stare fermi della persona; sempre si volgono qua e là, sempre si aggirano, si piegano, si protendono…», osservano.
Sono queste le cose che amano fare nella vita. Anzi la vita degli uccelli è la vita che non rimpiange nulla, e che non spera nulla. Così, in questo modo, la vita è diletto.
Una pura vita.
Per questa ragione, conclude Leopardi, gli uccelli «veggono e provano nella vita loro cose infinite e diversissime; esercitano continuamente il loro corpo; abbondano soprammondo della vita estrinseca».
Ma perché questa vita è estrinseca, e non è semplicemente una vita? E Leopardi ce lo spiega: perché gli uccelli che abbondano di vita estrinseca, «parimenti sono ricchi» di vita interiore.
Ecco che allora mi sono immaginato la Terra come un grande Ghiandaia blu nella sua orbita migratoria intorno al Sole e il Sole stesso come un enorme Sterna dalla testa infuocata che si aggira nella Galassia e – avrete capito – le Galassie come uno stormo di… e via così.
E quindi la domanda: ma Tutto Questo è ricco, al pari degli uccelli, di vita interiore?
Capite che se “ci perdiamo gli uccelli” e la loro preziosa vita interiore rischieremmo di giocarci anche la nostra di vita e perderemmo definitivamente quella piccolissima probabilità o, se volete, la speranza, di darCi un senso.
Ma Leopardi non si limita a definire da par suo le cose, ci offre anche una soluzione per avere cura e preservare questa labile probabilità o speranza che sia. Ci dice infatti che la vita estrinseca degli uccelli è inseparabile da quella interiore e viceversa, cioè, par di capire, che si tratti di una vita in cui la distinzione tra mente e corpo, quaggiù e lassù, dentro e fuori, realtà e immaginazione, tutte queste distinzioni collassano definitivamente.
La vita estrinseca appartiene a quella peculiare forma di vita umana, che non dimentica di essere natura: è la vita dei fanciulli, gli unici ancora capaci di vedere il mondo come lo vedono gli animali.