VIAGGIANDO A…MILANO E LE SUE MOSTRE- Teresa Mariniello: Maurizio Cattelan all’ Hangar Bicocca

milano- esterni hangar bicocca, spazio espositivo ex proprietà ansaldo-breda


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Cattelan torna a Milano dopo dieci anni di assenza, lo fa esponendo in un grande spazio come quello dell’Hangar Bicocca, dedicato alle grandi installazioni dell’arte moderna e contemporanea grazie ai suoi 15000 metri quadrati e all’altezza dei suoi spazi. 

L’edificio si trova in quella parte di città, vicina a Sesto San Giovanni, che è stata importante zona industriale del Novecento raggruppando i grandi nomi di allora come Pirelli, Falck, Marelli e Breda; quest’ultima nel 1903 costruisce la propria fabbrica nel quartiere Bicocca per produrre locomotive, sia a vapore che elettriche, e carrozze ferroviarie.

planimetria generale e facciata esterna

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Lo stabilimento, che ha conservato il suo carattere industriale, consta di tre corpi di fabbrica: quello subito dopo l’ingresso è lo “Shed” dove venivano prodotti gli accessori e i componenti per le locomotive, è riconoscibile ancora all’esterno per i tetti a falde e la facciata in mattoni; il secondo, in ordine cronologico, è il “Cubo” costruito nel 1955 per ampliare gli spazi produttivi; infine il terzo è quello delle “Navate”, datato 1965, edificato per connettere i due spazi già esistenti e per avere un reparto trasformatori. L’edificio a tre navate ospita in parte la grande e famosa opera di Kiefer che ha nome “I sette palazzi celesti”.

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 anselm kiefer- i sette palazzi celesti

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In questo spazio dal volume così grande, il soffitto delle navate arriva sino 30 metri, si articola in tre successioni la mostra dal titolo “Breath Ghosts Blind” così come sono tre gli spazi di cui ho parlato. Le tre opere sono connesse tra di loro perché rappresentano o alludono a cicli della vita, dalla nascita alla morte, con riferimenti agli aspetti più emblematici e fuorvianti del periodo storico contemporaneo.

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 manifesto mostra maurizio cattelan breath ghosts blind 

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La prima opera porta il titolo “Breath” ed è composta da due sculture in bianchissimo marmo di Carrara, una è quella di un uomo in posizione fetale, forse un senzatetto a giudicare dal berretto che porta sul capo, l’altra è quella di un cane sdraiato su un fianco. Entrambi sembrano dormire e forse il loro stare l’uno di fronte all’altro potrebbe essere fortuito, ma l’uso di quel tipo di marmo da un senso di sacralità accentuato dal buio che gravita intorno.
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maurizio cattelan- breath

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È un intero ciclo di vita che tiene quella umana e quella animale, espresso da un respiro che li unisce. Simbolica inoltre è la figura del cane per il legame di amore e fedeltà che ha sempre nutrito verso l’uomo e per la sua rappresentazione di guida per il passaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti, nella mitologia antica.
Il respiro potrebbe essere dunque quello iniziale e quello finale.
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La seconda opera porta il titolo di “Ghosts”. Quando ti inoltri nello spazio molto ampio e scuro delle navate non la vedi ma la percepisci con una strana inquietudine a cui non sai dare nome. Poi sali con lo sguardo lungo i pilastri in ferro, prosegui lungo le travi e sugli altri componenti della struttura e li vedi. Sono migliaia e migliaia di piccioni disseminati dovunque, a volte in folti gruppi altre volte in posizione singola, appena sporgenti da interstizi o pienamente affacciati con lo sguardo sul visitatore.
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maurizio cattelan- ghosts

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Sono volatili questi molto consueti nelle nostre città ma la loro collocazione in uno spazio espositivo non solo ribalta il concetto di dentro e fuori ma dà al visitatore la sensazione di essere un intruso, di aver varcato un luogo di cui si reclama il diritto non solo di stare ma di esistere.
I piccioni sono in tassidermia, dunque morti, eppure i loro occhi sembrano essere quelli di una folla viva che segue le vicende umane in un’apparente calma.
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La terza opera “Blind” è esposta nel cubo e appare gradualmente al visitatore che percorre le navate facendosi visibile appieno solo quando si entra nel grande spazio e allora ci si accorge che non è un monolite ma una sorte di torre intersecata in alto da un aereo. La scena rimanda inevitabilmente all’attentato dell’11 settembre del 2001 sia per la configurazione della opera sia per il nero opaco della resina con cui è realizzata. Lo sgomento di allora si riaccende insieme a un senso di fragilità e di sopraffazione per l’essere costretti a guardarla così dal basso, girandole poi intorno come a cercare una prospettiva diversa che dia un agio maggiore.
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maurizio cattelan- blind

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Il momento di allora, che fece crollare insieme alle Torri molte certezze del mondo occidentale, resta cristallizzato nella morte diventando un memoriale a una grande perdita collettiva, a un dolore che non si pensava di dover vivere.
Il titolo rimanda però a un altro livello di lettura, al dubbio che si insinua su chi è cieco, su chi non è capace di vedere. Forse il genere umano?

 

Teresa Mariniello

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