.
Romanzo breve, racconto lungo, o novella? Le definizioni le si contorcevano in pancia come ascaridi affamati. Aveva scritto un buon numero di racconti e sentiva essere giunto il momento di tornare a sfidarsi. L’esigenza di fare pulizia interiore prima di iniziare il nuovo lavoro le fece prendere in mano alcool e strofinaccio. Essendo ostinate le tracce lasciate dai desideri, impiegò un tempo considerevole per ripulire la bianca scrivania. Poi prese a scavare nell’archivio, facendo riaffiorare quei reperti che sapeva l’avrebbero aiutata a provare teorie. Anche questa attività richiese tempi lunghi; infatti, sotto ogni materiale estratto ne giaceva un altro più antico e complesso che chiedeva a sua volta di essere analizzato. Fu assalita da un senso d’angoscia, perché la mole dei reperti selezionati le trasmise l’idea che l’elaborazione del nuovo lavoro avrebbe potuto essere lunga e travagliata, come era accaduto per l’ultimo dei racconti scritti. Spense il cellulare, chiuse le finestre e si infilò nel letto decisa ad ascoltare solo ciò che l’istinto avrebbe suggerito, ma il fluire di quest’ultimo fu intralciato spesso dall’azione del cervello. Quando le tornò la voglia di rimettersi in piedi, la decisione era presa: non avrebbe fatto ricerche, né interviste; non avrebbe scritto trilogie, né ricostruito ambienti ed epoche storiche; non avrebbe servito fatti già cucinati in tutte le salse. L’unico intermediario autorizzato ad interporsi fra lei e l’ispirazione sarebbe stato il fedele amico computer. C’era solo da stabilire con quale termine tecnico definire l’opera. Gli addetti ai lavori ed editori, ai quali avrebbe sottoposto il libro a stesura ultimata, avrebbero dato ciascuno una definizione differente, ognuna delle quali più riduttiva e spregiativa dell’altra; doveva quindi sapere esattamente cosa avrebbe scritto in modo da non soffrire troppo quando sarebbero cominciate ad arrivare le superficiali, sminuenti etichette.
La critica dell’Ottocento e del primo Novecento ha discusso a lungo sulle origini della novella, dando luogo a molteplici teorie sulle quali è prevalsa l’orientalista. Nella letteratura orientale classica la definizione di novella è alquanto vaga, potendo includere sia brevi romanzi che novellette moralistiche. La critica recente è giunta alla conclusione che è impossibile risalire a un’unica origine dato che, con ovvie differenziazioni, la novella è presente nelle culture più lontane e diverse. È una narrazione in prosa, raramente in versi, di un fatto reale o immaginario, di estensione varia, comunque breve rispetto all’epica e al romanzo. Gli elementi differenzianti del genere novellistico rispetto alle esperienze nel campo del romanzo breve e della prosa diaristica o autobiografica, sono andati progressivamente attenuandosi. Ai nostri giorni il termine “racconto” ha quasi del tutto estromesso la parola “novella”.
Li portava bene, ma di anni la scrittrice ne aveva parecchi. In gioventù aveva vibrato leggendo novelle di Verga, Pirandello e Kafka; donna matura era rimasta folgorata da quelle di Borges, attraversando le quali aveva corso il rischio di perdersi nel cosmo e nei tempi dei tempi. La decisione era presa: avrebbe scritto una novella e avrebbe fatto questione di chiamarla tale. Dato che le ispiratrici erano amazzoni, il lavoro poteva essere definito solo con un nome di sesso femminile: “novella”, quindi. Non avrebbe appesantito l’intreccio con trite ricostruzioni storiche, consunte descrizioni di usi e costumi, convenzionali ambientazioni esterne, polverose descrizioni di interni intasati di piccole cose di pessimo gusto. In Brasile è più conosciuto come beija-flor, cioè bacia-fiore; leggerissimo è il colibrì e nonostante ciò non si posa sui fiori dai quali sugge il nettare, continuando a vibrare nell’aria mentre si alimenta. Senza lasciarle posare, avrebbe cercato di far svolazzare le sue parole alla ricerca di sensazioni minute e stille d’emozione.
Loretta Emiri
.
Loretta Emiri, Quando le amazzoni diventano nonne- CPI-RR 2011.