IO E LORENZO…- Paolo Polvani: alcune domande a Concetta D’Angeli autrice del romanzo “Le rovinose”

ko byung jun

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Io e Lorenzo, rise Clara, ci siamo fidanzati, ci vogliamo sposare.
(… )

 

1) Durante la lettura del suo romanzo, come nelle migliori tradizioni dei lettori, ci si affeziona ai personaggi e nelle pagine finali si avverte una certa nostalgia e un dispiacere vivo nel sapere di doverli abbandonare. Tuttavia si ha come l’impressione che la vera protagonista sia in realtà la lingua, la sonorità di una lingua da cui sboccia come un fiore l’accento toscano, sì che il ritmo del racconto tutto fluisce nella suggestione di questo richiamo, e sembra di ascoltare la voce di Caterina Bueno, di Nada Malanima, quella favella toscana che sonora discendea nei versi di Carducci. Una lingua variamente articolata e che dispone di registri alti e di inflessioni gergali e che in alcuni momenti vira anche in direzione del dialetto salentino. Cosa pensa l’autrice di questa impressione?

1 R) La ringrazio di mettere l’accento sulla lingua ed è vero che scrivendo le riservo molta attenzione. Amo l’italiano, la sua struttura latina, per ampie campate sintattiche, la sua musicalità, la sua ricchezza lessicale, anche quel sentore arcaico che mantiene; tuttavia essendo frutto di una scelta intellettuale, è una lingua rigida, difficile da gestire. Vedo che molta nostra narrativa risolve la difficoltà depauperando la struttura sintattica, col risultato di renderla più maneggevole, sì, però più elementare. È una soluzione che a me non piace; per costringere il linguaggio a una mobilità maggiore uso modi stilistici differenti, ricorro spesso al parlato, che è ovviamente più libero e agile, mescolo il registro “alto” e quello “basso”, introduco inserti di vernacolo o di dialetto… Insomma cerco di sperimentare sul linguaggio o almeno di forzarne i confini; del resto sono convinta che questo sia uno dei compiti più importanti di chi vuole scrivere letteratura.

 

2) Negli ultimi libri che ho avuto la fortuna di leggere ho riscontrato questa particolarità: le protagoniste sono donne, diverse, agli uomini viene riservata la parte di deuteragonisti, se non proprio di sfondo, e tutti portatori di atteggiamenti negativi, il babbo di Clara dispotico e possessivo, e Lorenzo, portatore di una violenza distruttiva. Le donne al contrario, pur se mosse da un istintivo anelito di autodistruzione,  appaiono portatrici di valori all’apparenza positivi: Silvana tutta dedita allo studio nell’ambizione di un’autoaffermazione che la riscatti dallo squallore ​della famiglia di origine, e Clara, la bellezza usata come un lasciapassare, l’amore sfrenato per i romanzetti sentimentali, e una certa ingenua gioia di vivere e di divertirsi.  Non è la realtà ma probabilmente è la percezione che in molti hanno, abbiamo, della realtà. Si tratta di una scelta meditata?

2R) Non ho voluto contrapporre personaggi femminili positivi a personaggi maschili negativi e nemmeno credo che le mie due protagoniste siano caratterizzate da una maggiore positività: anche loro hanno sbagliato i conti con la vita, e infatti ne escono perdenti, sono “le rovinose” appunto. Però è vero che la violenza viene espressa soprattutto dagli uomini; perché è così nella realtà, in particolare nella realtà italiana, e sebbene io non abbia voluto scrivere un romanzo realistico, tuttavia non intendo prescindere dalla realtà.

 

3) Un ruolo decisivo gioca anche la tecnica narrativa, che consente al ritmo di tenersi sempre rapido e incisivo, con passaggi dall’io narrante alla terza persona e altri espedienti di montaggio decisamente efficaci, come gli inserti epistolari e diaristici e addirittura una esplicita incursione dell’autrice come voce che prende in mano le redini della storia. Si tratta di decisioni ragionate in anticipo o un’esigenza immediata dello stesso sviluppo narrativo?

3R) Non scrivo mai in modo troppo aprioristico, mi lascio guidare dalle necessità della storia, dalle caratteristiche dei personaggi, dal bisogno di variare l’intreccio… Naturalmente non procedo a casaccio, fin dall’inizio so che voglio parlare di un determinato argomento, di solito perché mi coinvolge o perché lo conosco bene; fin dall’inizio ho in mente come svolgere l’intreccio o di quali proprietà, pregi o difetti, dotare i personaggi; ma spesso succede che debba rivedere a fondo i miei piani e riscrivo più e più volte i miei romanzi, finché raggiungo un risultato che mi pare convincente.

 

4) I personaggi del romanzo sono completamente frutto di invenzione oppure in parte attinti dalla realtà e se si, in che modo e in quale misura?

4R) Come ho già detto, tengo conto della realtà ma non la imito, e quindi i miei personaggi sono sostanzialmente frutto d’invenzione, per quanto la realtà mi offra spunti, suggerimenti; li accolgo ma poi li trasformo talmente che nemmeno io riesco a distinguere quanto si è mantenuto degli eventuali modelli originari.

 

5) Ricordo che Pisa durante gli anni della contestazione risultò una piazza decisamente calda, insieme ad altre città come Torino, Milano, Bologna. In quegli anni qual era la sua posizione? in altre parole, la padronanza di un certo linguaggio, di una certa atmosfera che a volte sconfinava in una sorta di aberrante misticismo, autorizza a pensare che si tratti di esperienze vissute in prima persona; quanto di autobiografico è riportato nel romanzo?

5R) Da quando sono adulta m’interesso di politica, ritengo doveroso farlo, viviamo in mezzo alla storia e penso che non si possa ignorarla. Però non sono mai stata iscritta a partiti e non ho mai aderito a gruppi extraparlamentari. A Pisa, negli anni universitari, partecipavo alle assemblee, a molte manifestazioni anche, cercavo di essere consapevole di quello che succedeva intorno a me e che per molti aspetti era entusiasmante; in quegli anni cambiarono moltissime cose nella nostra vita quotidiana e anche nei nostri pensieri, e furono cambiamenti positivi, mi dispiacerebbe che s’ignorasse quest’aspetto fondamentale delle rivendicazioni politiche sociali e culturali della mia generazione. Ma mi sono tenuta sempre lontana dalla violenza politica e non ne ho fatto diretta esperienza; sono solo una testimone.

 

6) Un elemento di perplessità mi deriva dalla cronologia posta in coda al romanzo. Perché ha voluto accomunare la lotta armata alla mafia? entrambe si sono macchiate di crimini terribili, inoltre la deriva violenta di una certa sinistra ha contribuito in maniera significativa alla fine rovinosa delle lotte per l’emancipazione delle classi subalterne e tuttavia le finalità erano molto diverse, la mafia uno sviluppo canceroso e criminale della società capitalista, la lotta armata una deriva infantile, un tentativo, ingenuo e delittuoso, di superamento della società capitalista.

6R) Non sono d’accordo sulla distinzione netta che lei istituisce tra la mafia come “sviluppo canceroso e criminale della società capitalista” e la lotta armata come “deriva infantile, tentativo, ingenuo e delittuoso, di superamento della società capitalista”: si tratta comunque di violenza, che per me è inaccettabile, a prescindere da ciò che la origina. Non credevo allora e non crederò mai che le ingiustizie della società capitalistica (e sono tante…) si possano combattere e cancellare ricorrendo a quei metodi, che non sono infantili ma disumani e manifestano uno sprezzo della vita altrui inammissibile. Credo che nessuno, per nessuna ragione, se lo possa arrogare.

 

7) Un’ultima domanda riguarda la presunta perversione del personaggio Clara, nella quale sesso e volontà di annullamento si confondono in seguito all’esperienza della morte della mamma. Si tratta di un’ipotesi puramente romanzesca? e sicuramente efficace, oppure trova riscontro in una qualche documentata ricerca?

7R) Non ho fatto ricerche scientifiche o mediche, ho solo notato che alcune, forse molte donne subiscono da parte del potere una fascinazione che le induce a delegare al potente di turno la propria autonomia, la propria identità – nei casi più drammatici le spinge all’annullamento di sé. Mi sono chiesta da dove abbia origine questo percorso autodistruttivo e in Clara ne ho immaginato uno; ma non sostengo affatto che la morte precoce della mamma, pur essendo un trauma terribile, produca immancabilmente una tale deriva. 

 

​Paolo Polvani

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NOTE SULL’AUTRICE

Ha frequentato la Scuola Normale Superiore e Laureata all’Università di Pisa, è stata ricercatrice di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Udine e poi presso l’Università di Pisa, dove successivamente ha insegnato Drammaturgia Teatrale.
Si è occupata di fiabe di tradizione popolare o colta (Carlo Collodi è uno dei suoi autori prediletti) e di autori del Novecento: Italo Calvino, Elio Vittorini, Pier Paolo Pasolini, Giovanni Testori e, spinta da interessi politici, sociali e femminil, Karen Blixen, Agota Kristof, Simone Weil, Elsa Morante.
Dal 2007 al 2010 ha progettato e realizzato con Guido Paduano e Alfonso Iacono, la rivista semestrale di studi teatrali Atti&Sipari, con gl’interventi di Carlo Cecchi, Sandro Lombardi, Danio Manfredini, Ezio Moscato.
È membro della Giuria del Premio nazionale letterario Pisa (sezione Narrativa).

Numerosissime le pubblicazioni, i saggi, i testi di narrativa e gli interventi dell’autrice e sull’autrice

 

Concetta D’Angeli, Le rovinose-Il ramo e la foglia edizioni 2021

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