post commodity
https://postcommodity.bandcamp.com/album/we-lost-half-the-forest-and-the-rest-will-burn-this-summer
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Leggere poesie di alcuni autori, non tutti no, è come uscire dalla nostra storia, dalla nostra vita, dalle faccende quotidiane, che spesso sono legacci o addirittura catene, e attraversare di corsa, anche nella più incredibile lentezza del testo, universi che sospettavamo esistessero ma non si erano ancora presentati alla nostra porta.
Nella poesia è l’improvviso che si spalanca, una specie di buco nero del cosmo in cui sei risucchiato e tutto quanto ti pesava dentro collassa, esplodendo luce e riducendo la sua massa. Tu lo senti perché sei afferrato, catturato e sollevato, trasportato da un vento a cui non puoi resistere, sei un vento di fotoni e vedi, mentre respiri quel vento ti apre, in tutte le direzioni dell’essere, dell’essere presente ad una vita che non avevi colto prima, anche se l’avevi davanti agli occhi, meglio ancora: era già dentro i tuoi occhi, dentro di te, solo imprigionata.
Se anche parla di cose comuni, quelle stesse cose che tocchi, sposti, attraversi, quelle cose non o sono più le stesse. Hanno aumentato la tua dimensione, sono le enne misure di un te stesso che ora ti ospita, come accadeva anche prima, ma solo ora lo sai, lo sai di certo, come avessi occhi che attraversano le densità dell’aria, degli oggetti, dei paesaggi e tutto fosse semplicemente una nuvola che si configura ora in questo ora in altro, senza perdere un filo della tessitura di un incredibile telaio, come un territorio, che tutti i luoghi riassume in fili di orditi e trame. E puoi essere albero, rana, uccello, prato, ghiacciaio, mare, roccia, una nuvoletta di fiato, tutte le vite di tutti quelli che sei stato prima e sarai ancora, come in un disegno che tu stesso hai iniziato e ancora hai la spola in mano. Turbolenza è, in questo spazio tra i licci, quiete che si evolve, un aereo percorso che tutto tocca e avvolge, dipanando tutte le storie che ci crescono come un albero nel petto e nella pagina del suo libro sono scritte ad anelli, concentriche le memorie che ci riguardano. Prendere il capo di quel filo, nel midollo dell’albero, corrisponde a scrivere anche noi un tratto di anello e così facendo unirlo agli altri, che si iscrivono in quel profondo scorrere nella polpa di un legno che è la vita interiore di un cuore senza nome che tutti i testi soffia nei nostri, facendone sequenze di battiti ogni parte del nostro pianeta, proprio come in un braciere il vento, diffonde le scintille delle braci facendone lumi che rischiarano la notte.
Questo mi è capitato leggendo in rete (https://www.poetryfoundation.org/poems/49621/a-map-to-the-next-world) una poesia di Joy Harjo, che seguo nelle diverse proposte che offre attraverso la sua pagina in fb. La poesia qui di seguito è dedicata a sua nipote ma la considero dedicata a tutte le nuove generazioni, ai piccoli che dovranno fare i conti, oltre che sempre con se stessi, anche con un luogo-corpocomune che va condiviso ed è stato a lungo colpevolmente dilaniato.
Fernanda Ferraresso

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relative from “How We Became Human: New and Selected Poems: 1975-2001 ” , by Joy Harjo
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post-commodity
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Una mappa per il prossimo mondo, di Joy Haryo da “How We Became Human: New and Selected Poems: 1975-2001 ”
per Desiray Kierra Chee
Negli ultimi giorni del quarto mondo ho voluto fare una mappa per
chi si sarebbe arrampicato attraverso il buco nel cielo.
I miei unici strumenti erano i desideri degli umani mentre emergevano
dai campi di sterminio, dalle camere da letto e dalle cucine.
Perché l’anima vaga con molte mani e piedi.
La mappa deve essere di sabbia e non può essere letta sotto una luce qualsiasi.
Deve portare il fuoco alla prossima città tribale, per il rinnovamento dello spirito.
Nella leggenda ci sono le istruzioni sulla lingua della terra, come
ci siamo dimenticati di riconoscere il dono, come se non fossimo noi in esso o noi quello stesso.
Prendi nota del proliferare di supermercati e centri commerciali, gli
altari del denaro. Descrivono con evidenza la deviazione dalla grazia.
Tieni traccia degli errori della nostra dimenticanza; la nebbia ci ruba
i bambini mentre dormiamo.
Fiori di rabbia spuntano nella depressione. Mostri
di una rabbia nucleare sono nati là.
Alberi di cenere dicono addio all’addio e la mappa sembra
scomparire.
Qui non sappiamo più i nomi degli uccelli, come rivolgerci
a loro con i loro propri nomi.
Una volta sapevamo tutto in questa lussureggiante promessa.
Quello che dico è vero ed è stampato in un avvertimento sulla
mappa. La nostra dimenticanza ci perseguita, cammina sulla terra dietro a noi, lascia
una scia di pannolini di carta, aghi e sangue sprecato.
Dovrà bastare una mappa imperfetta, piccola.
Il luogo di entrata è il mare del sangue di tua madre, la piccola morte di tuo padre
desiderio di conoscere se stesso in un altro.
Non c’è uscita.
La mappa si può interpretare attraverso la parete dell’intestino: una
spirale sulla via della conoscenza.
Viaggerai attraverso la membrana della morte, annuserai l’odore di cucina
dall’accampamento dove i nostri parenti banchettano
con carne fresca di cervo e zuppa di mais, nella Via Lattea.
Non ci hanno mai lasciati; li abbiamo abbandonati per la scienza.
E quando fai il tuo prossimo respiro mentre entriamo nel quinto mondo
non ci sarà nessuna X, nessuna guida con le parole da portare.
Dovrai navigare seguitando la voce di tua madre, rinnovare la canzone
che lei sta cantando.
Un nuovo coraggio brilla dai pianeti.
E illumina la mappa stampata con il sangue della storia, una mappa che tu
riuscirai a conoscere, se lo vorrai, dal linguaggio dei soli.
Quando uscirai, cerca le tracce degli uccisori di mostri là dove sono entrati
nelle città della luce artificiale e hanno ucciso ciò che ci stava uccidendo.
Vedrai rosse scogliere. Sono il cuore, contengono la scala.
Un cervo bianco ti saluterà quando l’ultimo essere umano si arrampicherà sulle
rovine.
Ricorda il buco della vergogna che segna l’atto di abbandono dei nostri
territori tribali.
Non siamo mai stati perfetti.
Eppure, il viaggio che facciamo insieme è perfetto su questa terra che
una volta era una stella e ha fatto gli stessi errori degli umani.
Potremmo rifarli di nuovo, ha detto.
Fondamentale per trovare la strada è questo: non c’è inizio né fine.
Devi creare da sola la tua mappa.
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