VERSO UNA ERMENEUTICA DELLE DIFFERENZE- M.G.Palazzo: Aprile dolce dormire

francisco goya- preparatori e immagine definitiva foglio n.43-los caprichos- museo del prado

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C’è sonno e sonno. C’è un detto che dice ‘dormire il sonno del giusto’ e che significa dormire beatamente, senza disturbi, senza rigirarsi, senza fatica nell’addormentarsi, senza interruzioni, insonnia, incubi. 

Ma “Il sonno della ragione genera mostri” è un’opera, acquaforte e acquatinta di Francisco Goya del 1797, foglio n.43 di 80 opere, Los caprichos, che pone in evidenza i vizi della società contemporanea dell’artista, tra il grottesco e la satira politica ed ecclesiastica. L’allegoria è fantastica e lascia parlare l’inconscio, gli incubi. Il pittore era diventato pressoché sordo ma, evidentemente, il suo spirito di osservazione si era fatto ancora più attento. L’opera sembra sollecitare i contemporanei a non cedere la propria coscienza critica, a non abbandonarsi al buio dell’irrazionalità. Los capricios una serie di ottanta incisioni, 80 fogli con cui il grandissimo artista stigmatizza superstizione, inganno, ignoranza, ipocrisia della società dei poteri, civili, religiosi, sociali, culturali.

Anche nella crisi del nostro tempo mi sembra importante dare al corpo il giusto sonno ma non cedere alle apparenze di una comunicazione e di un imbrigliamento della e nella rete in cui siamo ahinoi caduti tutti, per vicende diverse e alterne. Il falso dictat dell’efficienza tecnologica, ci misura, ci conta, prevede in che modo spenderemo i pochi soldi rimasti. I nuovi mezzi ormai indefettibili, di lavoro, di socialità virtuale, ci offrono modi standardizzati e più che performativi, formattanti delle menti e dei corpi dei più piccoli, dei più fragili, dei più deboli, dei più poveri. Tali mezzi che dovrebbero essere di ausilio ma in qualche modo restare strumenti sono diventati preponderanti e finanche vessanti. Penso alla povertà economica in cui molti sono caduti, ma anche a quella povertà culturale che deriva dalla lenta deprivazione di forme relazionali primarie, a cui la globalizzazione del paradigma tecnocratico non promette sconti. Le relazioni tra le persone sono necessarie, per riconoscerci come esseri viventi, nell’acquisizione degli strumenti critici del sapere e dell’agire, che non possono ubbidire solo all’auspicata crescita del mercato delle merci. Quel che si vuol dire è che ci sono interessi sbilanciati, che premono contro i diritti minimi di chi non ha voce e creano malattie, isolamento, alienazione. Vari autorevoli organismi, deputati a monitorare lo stato di salute dei minori e ricerche statistiche acclarate confermano questa tendenza, già diffusa altrove, penso al Giappone. 

Non sono una nostalgica del tempo in cui internet non esisteva. No, affatto. Dico però che non ci rendiamo conto di quale torto e quale danno abbiamo fatto alle più giovani generazioni, togliendo loro la possibilità di crescere in relazione, in presenza, permettendo, programmando, strutturando la scuola ed anche l’università, in un modo urbanistico, adeguato come concepimento di destinazione a fruizione pubblica, collettiva, accogliente, che preveda spazi di verde, spazi di areazione. Abbiamo bisogno di spazi di fruizione collettiva, ma anche fattuale, attraverso protocolli di sicurezza che ponderino i rischi sanitari, che non sono soltanto quelli legati al Covid-19. Abbiamo bisogno di tenere insieme i diritti costituzionali di salute, istruzione, lavoro.

Ad oggi, salvo alcune esperienza di associazionismo che vengono dal basso, dalla società civile, non mi pare di registrare una mobilitazione pubblica istituzionale per destinare fondi e prima che fondi, per ripensare una politica di sistema che ponga al centro la scuola e l’università e tutte le forme di prassi collettiva di crescita giovanile. Le sensibilità delle intellighenzie politiche economiche sono rivolte altrove, lo si sente declinare nei continui comunicati stampa, mentre la realtà che si vive in molte famiglie è tremendamente sotto gli standard di vita dignitosa, serena, del benessere minimo. E massonerie e mafie crescono.

L’arte di Goya è lucida, consapevole della regressione in cui viveva il suo Paese, in una morsa oscurantista e reazionaria. Dietro la facciata, infatti, sembra denunciare l’artista si nasconde una società che per censo controlla e umilia fino ad uccidere chi non può accedere ai mezzi più elementari di emancipazione sociale, a quelle libertà di cui il popolo senza mezzi è lontano, tagliato fuori.

Così, mi sembra, ancora oggi, mutatis mutandis, di poter dire che pur vivendo noi o credendo di vivere in un Paese che si dice democratico e repubblicano, laico e solidale, il dettato costituzionale di cui all’art. 3 Cost. sia stato, di fatto, svuotato di quella carica egualitaria di cui una società di giustizia, non utopistica ma realista, dovrebbe ancora oggi farsi carico.

Mi pare che la governance politica e culturale sia ancora profondamente maschilista, senile, fondata sulla difesa dei privilegi e delle consorterie, anche intellettuali, piuttosto che di quei principi che incarnano una società che cresce in modo direttamente proporzionale alla cura che ha dei più piccoli. Ecco, non mi pare d’intravedere sforzi ed intenzioni chiare, fattive, da parte dei decisori formali, per restituire forme di attenzione e di partecipazione che una società civile democratica dovrebbe assicurare ai minori, né che si stia andando nella direzione di una politica di effettiva perequazione sociale. Domani sarà diverso da oggi e da ieri? In meglio o in peggio? Internet e la svolta delle piattaforme digitali ci salveranno? Dubito. Perché la pandemia ha solo messo in luce criticità che prima erano presenti ma ingolfate in un sistema ottuso, non meno sofferente, seppure occultate. Ora si avverte una sorta di assuefazione, rassegnazione, carenza di lucidità sui modi in cui i cittadini, così divisi, ridotti a sudditi della rete, di una informazione di massa invasiva e difficile da verificare, possano reagire. Tutto è stato previsto, pare, dopo la profezia di Orwell, tutto è compiuto, ed il consenso è stato estorto a nostra insaputa con clausole capestro perfezionate, estorto il nostro assenso, dopo lunga ruminazione, dentro abitudini disfunzionali.

In una ermeneutica delle differenze esistenziali è necessario riequilibrare gli interessi contrapposti in un’ottica di ecologia delle relazioni umane. Perché anche se non penseremo nello stesso modo e vedremo la realtà per frammenti, secondo diversi angoli di visuale, la regola della nostra condotta non può essere la indifferenza reciproca. Non possiamo restare dormienti dinanzi alla colonizzazione sfrenata del pianeta mentre i suoi abitanti o parte rilevante di essi sono costretti ad una postazione tecnologica. I piccoli sono il nostro futuro e non si potrà tenere a lungo, od ogni volta, dinanzi alle pesti e alle pandemie, semplicemente i corpi in casa, agli arresti domiciliari, sotto la paura di un’ecatombe che si combatte con una politica che pensa e offre in anticipo, garanzie di salute e istruzione.

 

Maria Grazia Palazzo

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