incisione gustavo dorè- dante alighieri- inferno canto III
.
.
Navigando in un tempo dilaniato, purgatoriale, della speranza e dell’eterno ritorno, sembra che, tutto sia ancora avverso e molto vicino alla soglia della perdizione irrimediabile, se tra DPCM, Ordinanze regionali, dati epidemiologici, non si dovesse rimettere al centro il perduto sogno di una civiltà egualitaria, fraterna, solidale, ecologica, circolare. Qualunque forma di democrazia e libertà, che metta al centro i temi della giustizia sociale, salute e lavoro,richiede,evidentemente, un approccio culturale al vivere sociale che non può prescindere dalla considerazione delle differenze.
Differenze etniche, differenze di genere, differenze economiche, differenze culturali, differenze sociali, perché, se è vero che la società divisa per caste è un must della civiltà indiana è anche vero che noi occidentali siamo altrettanto eredi di una cultura per censo, proiezione secolare, se non millenaria, delle prassi dall’Impero Romano, anche decadente, e della Chiesa coeva, che con potenza di eserciti e di tribunali, dentro la favola della pacificazione, ha praticato regime e Inquisizione. La Chiesa solo nel ‘900 ha dovuto, gioco forza, misurarsi con una società che richiedeva una codificazione della realtà più inclusiva, fino a strizzare l’occhio alla cooperazione e alla solidarietà, specie dopo il magistero sociale degli anni ’60, come ricaduta del messaggio evangelico o ritorno ad esso.
Direi, dunque, non si possa prescindere dal riconsiderare gli epigoni di quella rivoluzione che fu rivoluzione studentesca, ma anche rivoluzione delle donne, rivoluzione di costume e di visione rispetto a una società classista e fortemente maschilista, paternalista, si pensi anche alla omofobia, trans-fobia e alla misoginia resistente, mai scardinata, a mio avviso, in alcun ambiente.
Non possiamo cioè leggere il presente e i suoi ritardi, fatiche, contraddizioni se non alla luce dell’imperfetta ricezione, all’interno del nostro immaginario collettivo di quei nodi che hanno caratterizzato la storia italiana del ‘900.
Pensiamo soltanto alle norme ampiamente vigenti in materia sia civile che ecclesiastica che hanno, in larga parte, nella loro commistione pattizia, prodotto benefici ai soggetti negoziatori – mi riferisco sempre a Stato e Chiesa – e condizionato l’evoluzione delle libertà attuali o il riconoscimento di una dialettica in essere, anche nel dibattito politico.
Pensiamo al Concordato Lateranense e alla sua Revisione del 1984, operata in uno sforzo di mediazione dalla politica di Craxi, soprattutto con la C.E.I., che ridefiniva anche il sistema di formazione scolastico, riconoscendo all’interno dei curriculi ordinari, nella proposta scolastica la opzione di avvalersi della materia dell’insegnamento della religione cattolica.
Quel che si tenta di dire, qui per sommi capi e per frammenti estremi, è che dentro una fibrillazione iniziale anche di impugnative, risoltesi dinanzi alla Corte Costituzionale con l’affermazione che la legittimità di tale scelta, coerente con la forma di Stato laico della repubblica italiana (sent. 203/89), fosse manifestazione del principio di laicità dello stato e non il suo contrario (sent. 13/91), a distanza di alcuni decenni, quella enunciazione di principi– e quindi di dialettica tra poteri gerarchici sovranazionali- sembra permanentemente perdere aderenza sulla società civile. Si sa le sentenze le scrivono i Giudici e noi cittadini per comprendere le ricadute di tali decisioni dovremmo poter avere diritto di accesso agli atti, cognizioni di diritto internazionale, e soprattutto una visione della storia contemporanea che contempli il braccio di ferro ultracentenario tra Stato e Chiesa, che nel tempo ha visto formalmente prevalere la logica di “Libera Chiesa in libero Stato” pronunciata più volte da C. Benso di Cavour, acclamando Roma capitale d’Italia, nel 1861. Ma la c.d. questione romana che indica, come noto, il conflitto sorto prima tra Santa Sede e il movimento nazionale italiano, poi tra la Santa Sede – denominazione attribuita nel cristianesimo primitivo a ogni Chiesa fondata dagli apostoli; più tardi riservata alla sola Chiesa Romana- e lo Stato unitario, sul punto irriducibile della sua soggettività dal punto di vista della rivendicazione del suo fondamento ultimo, cioè quale società religiosa monarchica, voluta da Gesù Cristo, resta una proclamazione di “parte”.
Infatti, su questo punto, anche la letteratura, filosofica e teologica, e il dibattito sulle prassi di relazioni, più o meno diplomatiche tra poteri, ad intra e ad extra, così come è possibile ricostruire almeno in parte, all’interno in una disamina anche solo superficiale e attraverso inevitabilmente anche la narrazione dei mass media, ci dicono che in qualche modo la questione tra Stato e Chiesa permane, per una irriducibile complessità irrisolta di questioni rilevanti, a quanto pare, solo per la gente comune. E permane non solo per la contrarietà dei laicisti in quanto non credenti o diversamente credenti o atei o agnostici, ma anche da parte dei laici, dei battezzati che, non tutti allo stesso modo riconoscono nella struttura gerarchica ecclesiastica la autorevolezza del mandato apostolico cristiano, così come sembra promanare, in alcuni comportamenti ed azioni dei rappresentanti presbiteri e stretti collaboratori.
Ciò è rilevante e massivo, non tanto sotto il profilo della libertà di espressione delle diverse confessione di fede, quanto nel riconoscimento di vere e proprie quote di diritti di cittadinanza. Non è qui possibile entrare ulteriormente nel merito ma basti ricordare che, nella consapevolezza di una certa perdita di appeal, di questi compromessi storici, di cambi di prospettiva ve ne sono stati, anche nella interpretazione del ministero petrino, si pensi soltanto ai due papi, alla rinuncia di Benedetto XVI e alla elezione al soglio pontificio di Papa Bergoglio, il quale gesuita di formazione nel darsi il nome di Francesco, mostrava al mondo in nuce il suo programma di riforma evangelica, tornare alle radici della Chiesa primitiva, allo spirito di una Chiesa veramente fraterna che rinunciasse non ai suoi simboli ma ad agire secondo un modello di autorità disgiunto dallo spirito di fraternità e amicizia sociale.
Ma se guardiamo alla sola c.d. società civile non manca un certo sconforto, a tratti maggiore, al punto da far temere di essere situati sulla soglia di un inferno invisibile, fatto appunto di reti inestricabili di massonerie, grandi capitali, interessi di tecnocrazie, codici iban, società collegate e prestate, per transazioni che non gioveranno ai poveri, alle donne, agli ultimi.
Sfuggono le dialettiche reali, tutto sembra bonificato da un placet di massa. Infatti se è vero che la politica agisce all’interno delle diverse forme dello Stato moderno attraverso la interazione tra istituzioni e partiti, la società civile e le associazioni di categoria, e tutto il mondo del c.d. terzo settore, da tempo impegnato a restituire la visione che nessuna politica può funzionare in modo olistico, se non per la convergenza di azioni virtuose comuni, transculturali, c’è appena da osservare che da tempo questa società civile non riesce a riconoscersi nell’azione dei partiti e nella rappresentatività di alcune figure istituzionali. Ma vi è anche il forte risveglio della coscienza che una nuova era ecologica nelle relazioni non possa prescindere anche dall’empowerment femminile, dalla rappresentatività di genere, nelle sedi in cui si pensa e si decide. Ovunque nel globo si avverte il deficit di legittimazione nelle sfere più alte del potere, quasi che le donne siano bravissime ma debbano stare appena un passo indietro.
Ora, a distanza di un anno dall’esplosione conclamata di una nuova pandemia, ci si rende conto della importanza di fare quadrato o cerchio, intorno alle urgenze più cocenti che significano non solo sopravvivenza della società civile stessa ma anche cambio di passo. Abbiamo sopportato un martellamento senza soluzione di continuità di comunicati stampa da parte di figure anche discutibili di rappresentanza politica, attraverso un servizio da parte dei mass media che talvolta ci è apparso più di quantità che di qualità, voce unica di apparenti diverse linee editoriali. Una certa debacle si avverte sensibilmente nel mondo della istruzione e della ricerca, della scuola, delle arti. I formatori e gli operatori culturali, gli artisti sono sembrano sempre più irrilevanti nelle dinamiche umano politiche, quasi sentinelle dimenticate.
Saprà Mario Draghi, l’uomo della provvidenza istituzionale internazionale, incarnare queste urgenze e condurre le diverse rappresentanze ad una convergenza che fondi un nuovo stato sociale? O sarà l’ennesimo regno di Teodosio, l’ultimo grande imperatore pop a regnare?
Le differenze saranno valore o porteranno irrimediabilmente al consolidamento del Sacro Romano Denaro?
Maria Grazia Palazzo
.
giuramento governo draghi- fonte lapresse