L’AURORA ILLUMINA DI LUCE GRECA- Paolo Polvani: note di lettura a “Colpa del mare e altri poemetti” di Bruno Di Pietro

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Colpa del mare e altri poemetti è il titolo dell’ultimo libro di Bruno Di Pietro, e in presenza di un titolo così enigmatico viene subito da chiedersi quali siano queste colpe attribuite al mare. Qualche sospetto viene, ci si fa qualche domanda, si cerca dentro i versi per capirne di più. Ecco un primo indizio: 

 

forse infine il nulla è il mare aperto
di cui non sarai mai del tutto esperto
(la via dell’essere è acquitrinosa
al posto del nulla c’è sempre qualcosa).

 

Questi versi ci schiudono uno spiraglio interessante: siamo di fronte a una poesia che domanda, che indaga, non per niente il primo verso della poesia in questione è il seguente: – qualcuno dica che cos’è il nulla -.

Allora nel corso dell’indagine forse è meglio chiarire che il mare non è uno solo ma i mari sono infiniti, e credo che il mare di Bruno sia nello specifico il Tirreno che bagna Napoli, che ha caratteristiche molto diverse da altri mari.

Il Tirreno è un mare dai colori scuri, dai movimenti vasti, che generano timore, possiede qualcosa di sontuoso e potente, di misterioso e complesso. 

Tutte caratteristiche che si riverberano poi nel territorio, nella sua lingua, nelle sue architetture, persino nel modo di cucinare il cibo, davvero sontuoso e complesso, e mi vengono in mente certi babà che nutrono la vista ancora prima di soddisfare la nostra golosità. Credo che ci sia una comunione indissolubile tra noi e la disposizione del paesaggio che ci fa da cornice, una indivisibile unità, che si rispecchia fin nel singolo individuo oltre che in un popolo intero.

L’Adriatico per esempio è un mare tutto declinato al celeste, quasi sempre immoto, steso come un tappeto azzurro,  ti viene voglia di camminarci sopra, è rilassante, difficilmente inquieta, e infatti le architetture dei territori meridionali bagnate da questo mare sono ispirate sempre a grande linearità, semplicità, essenzialità, come succede per la lingua, come essenziale è anche il cibo, che trae origine da una campagna piatta, molto lavorata, tutta intessuta di geometrie, di linee mai lasciate al caso. 

Il mare di Bruno conserva tutte le caratteristiche del Tirreno, azzurri profondi, movimenti che inducono al timore reverenziale, ma anche a tante domande, spingono a interrogarsi sul senso della vita, sugli infiniti misteri che circondano, e sicuramente abbelliscono, impreziosiscono, la nostra vita. 

I versi ci offrono un ulteriore indizio:

Colpa del mare
del pendolare dubbioso
tra il frutteto in rigoglio
e l’orgoglio della scienza.
Colpa della tua assenza
se il barlume di aprile
non lucida i capelli
di giallo di arancio
e costringe al bilancio
al conto del fare
e disfare il disegno.
Colpa dell’ingegno
che chiude le sere
fra poca luce
e un pugno di olive nere.

 

Già in questi versi a me sembra riconoscibile il movimento delle onde, il perenne oscillare non soggetto a una regola matematica ma apparentemente irregolare, come l’andamento delle rime, la variabile appunto del verso. Come dice Paolo Conte, quel mare che si muove anche di notte, non sta fermo mai.

Il pensiero meridiano è il titolo di un libro molto bello di Franco Cassano. Uno dei paragrafi del secondo capitolo è: La Grecia: il mare nella mente. Il brano iniziale recita: – Che cosa c’entra il mare con l’epistemologia? Nella nascita della cultura greca il rapporto tra terra e mare ha un ruolo puramente accidentale oppure è un fattore determinante e sottovalutato? E se questo rapporto esiste allora che cosa rappresenta il mare per la Grecia, per la filosofia greca e quindi per la filosofia? E quali conseguenze ne discendono per noi, oggi? L’ipotesi che sta alla base delle nostre riflessioni è che esista un’omologia strutturale tra la configurazione geografica della Grecia e la sua cultura. –

Più avanti l’autore esplicita il senso di questa affermazione dicendo che gli abitanti che hanno dentro di sé il mare sono agitati dall’inquietudine di chi sa che non esiste solo un orizzonte, un paese e un accento.

Credo anche che sia esattamente la vista dell’orizzonte infinito che spinge a interrogarsi, a far nascere dentro di sé la disposizione alla ricerca e alla scoperta, al viaggio fisico ma anche e soprattutto a far viaggiare l’immaginazione e la volontà di capire cosa c’è oltre. 

Nel corso del suo saggio Cassano cita alcuni brani da opere di Nietzsche, non è Zarathustra che confessa di sentire quella “voglia di cercare, che spinge le vele verso terre non ancora scoperte? “

Credo che queste riflessioni individuino perfettamente la sorgente dei versi di Bruno Di Pietro, e che “la colpa” del mare sia quell’inquietudine che nasce al suo cospetto, sia la vastità dell’orizzonte, quella parvenza d’infinito che spinge a interrogarsi, che non concede tregua allo spirito di ricerca.

Dov’è riconoscibile la sontuosità del Tirreno nello sviluppo dei versi? Sicuramente nello spazio temporale, che induce a cercare un dialogo con personaggi del passato. Nella sezione Il fiore del Danubio, nella nota al testo l’autore scrive: – Un giorno d’autunno dell’anno 8 d.C. il poeta Publio Ovidio Nasone fu raggiunto da un provvedimento dell’Imperatore Augusto che lo “relegava” a Tomi – E le note terminano con questa frase: – Publio Ovidio Nasone è il mio nuovo travestimento, quindi più per essere un uomo confinato che un uomo di confine-.

Con questa base di partenza una delle composizioni recita:

se potessi
violare il cielo
se potessi
penetrare il velo
di questo assurdo
ghiaccio nero
volerei da te
ma non per scriverti
una elegia
solo per farti
semplicemente mia.

 

Dunque un dialogo che intreccia tempi e personaggi diversi, con una capacità di immedesimazione davvero encomiabile e degna di rispetto e di attenzione, dialoghi e immedesimazioni che evidenziano i campi d’interesse dell’autore nei territori propri della filosofia, della cultura classica, della poesia colta.

Nella sezione Acque/dotti (Frammenti di Massimiano), scrive nelle note introduttive ai testi: – Ho voluto restituirgli la rabbia di chi sa di essere all’inizio di una transizione e che sogna gli strumenti che costruiranno il futuro ma che, per quanto tempo abbia, non ne avrà comunque abbastanza per vedere la fine del viaggio-.

 

in un crepuscolo di stile senza brezza
faccio versi in elogio di vecchiezza
così tutti mi ricorderanno vecchio
e nessuno dirà di Massimiano Etrusco
che della storia avea compreso il salto
brusco

 

Altrettanto importanti ed evocativi i titoli delle altre sezioni che compongono il libro: Eleatiche, Canto di Liside, Velieri in bottiglia, che parlano di frequentazioni dotte, di ispirazioni elevate. Ma non solo cultura spira nei versi, prima di tutto una grande, alta, sapienza artigianale, e poi tratti di delicata ironia, di affetti e di tenerezze, sempre in perfetta misura ed equilibrio; spuntano sorrisi affabili e inviti dolcissimi:

 

ma te li immagini i sofisti antichi
gravi pensosi sgranocchiare chele
senza quest’uva dolce questi fichi
traboccanti di resina, di miele

.

io ti regalerei gemme di sale
cuscini di alghe collane di conchiglie
e un riparo di barche al maestrale
(io ti regalerei Ersilia il mare)

.

il vento era solito infilarsi
senza pudori sotto le tue maglie:
il marzo della vita traboccava
di umori spumeggianti e temporali

..

Paolo Polvani

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Bruno Di Pietro, Colpa del mare e altri poemetti – Oedipus edizioni 2018