norr hassel
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Un’opera importante. Giustamente meritevole di traduzione e diffusione per il notevole impegno di Kate Clanchy, docente e poeta, e di Giorgia Sensi che, come in altre opere offre un ponte di qualità nella traduzione.
Estraggo necessariamente dalla nota introduttiva per chiarire il progetto. Si tratta di un’antologia di poesie scritte da studenti con un’età compresa tra gli undici e i diciannove anni, tutti nella piccola scuola di Oxford Spires Academy,situata nella città inglese omonima. Kate Clanchy vi ha lavorato come Writer di Residence per otto anni. I ragazzi inclusi nell’antologia vengono da famiglie di migranti e parecchi sono rifugiati. La scuola, prosegue la nota, non è selettiva per privilegiati. Già la sua collocazione periferica in Oxford, all’interno di un agglomerato industriale povero, tra un’urbanizzazione selvaggia, indica la realtà delle famiglie e dei ragazzi che vi affluiscono.
Soprattutto, la pluralità etnica e linguistica dei suoi piccoli ospiti, più di trenta lingue e cinquanta dialetti, dissolve necessariamente la solita impostazione monocentrica. I ragazzi sono indotti a vivere relazioni tra loro colmando e oltrepassando il disagio della diversità linguistica e religiosa. Traendone una ricchezza brulicante, un’apertura, in qualche modo, inevitabile e formativa. Immagino, d’altro canto, l’impegno dei docenti agito su dinamiche didattiche per nulla semplici, creative, e in continuo ripensamento comunicativo.
Molti degli autori e delle autrici inseriti nell’antologia hanno cominciato a scrivere poesie in inglese quando non avevano ancora compiutamente le parole per farlo. Nel periodo della docenza di Kate Clanchy, solo il 20% per cento degli alunni erano britannici, il resto con provenienza dal Nepal, Brasile, Tanzania, Lituania, Corea, Svezia, India, e altri paesi.
Da questa premessa, si intuisce come e quanto l’opera sia davvero preziosa, ancora prima di incontrare i testi scelti. Offre un’esperienza didattica che si impegna in un policentrismo, rompendo le impostazioni canoniche della nostra scuola istituzionale.
Mi viene in mente Lettera a una professoressa nella grande grande lezione della scuola di Barbiana di Don Lorenzo Milani. Proprio quelle parole precise come lame, definite con nettezza esemplare, hanno puntato il dito su insufficienze del nostro sistema scolastico, contro rigidità e retoriche, proponendo alternative e vie complementari in grado di accogliere e valorizzare ogni individuo della società, ripartendo dal fondo. Così come mi viene in mente l’attenzione di Aldo Capitini verso un diffuso policentrismo, che sfondi confini di arroccati elettivi integralismi e privilegi, basati su selezioni di appartenenza etnica e religiosa, prima ancora che sociale.
Torniamo all’opera.
La lingua prevalente di questi ragazzi è quella di origine, del luogo della loro provenienza. L’inglese per loro è giunto tardi, dopo i loro primi sei anni. Arrivare a Oxford ha provocato anche perdere un poco della loro lingua primaria. Far fronte, a volte, a disagi difficilissimi come la dislessia e la sordità, per incontrare la lingua scritta e orale inglese.
Tutta questa narrazione sulle condizioni sociali, psicologiche, linguistiche dei ragazzi è assolutamente necessaria per accedere alla singolare bellezza dei loro testi dentro cui la parola è corporeità, frontalità, peso espressivo mirato efficace, pungente, nitore. Ciascuna poesia è un cono di luce sulla corda che relaziona il proprio io profondo dentro cui si innestano il paese e la lingua d’origine con il nuovo. Dettagli, singolarità vengono cantati da sensibilità acute e sorprendenti. Nessun lirismo fine a sé stesso, nessun compiacimento, né ripiegamento sentimentale. I registri dell’arco drammatico toccano persino quote di levità.
Il titolo originale dell’opera è England: Poems from a School. Mi piace molto averlo travasato in italiano in Le colombe di Damasco con il sottotitolo, Poesie da una scuola inglese. Si è pizzicato da un verso interno, dando sonorità volatile e annunciante tutto il progetto, ma anche immettendo un significato simbolico di pace che si libra proprio da uno dei crogiuoli più feriti al mondo.
L’opera è bilingue, con testo a fronte.
La bellissima copertina crea una sintesi visiva perfettamente coniugata con il titolo, aggiungendo un magnifico senso di vastità aerea, spumosamente marina.
L’editore LietoColle, nella persona di Michelangelo Camelliti, e la traduttrice Giorgia Sensi, hanno deciso di donare i proventi di ogni copia alla UNHCR, Agenzia Onu per i rifugiati, sezione italiana.
Anna Maria Farabbi
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Testi tratti dall’antologia Le colombe di Damasco, AA.VV.
Fare una patria
Qualcuno mi può insegnare
Come si fa una patria?
Grazie di cuore se lo farete, sentiti ringraziamenti,
dai passerotti,
dai meli di Siria,
e da me tanti saluti.
Amineb Abou Kerech (13 anni)
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Le colombe di Damasco
Ho perso il mio paese e tutto ciò che avevo prima,
e ora
non sono sicura di ricordare
la morbidezza della neve del mio paese,
non ricordo
di cosa sa l’aria umida d’estate.
A volte mi sembra di ricordare
il profumo di gelsomino
mentre camminavo per la strada.
E a volte l’autunno
con le sue foglie arancio e scarlatte
che volavano alte nel cielo di Damasco.
E sono sicura di ricordare
il giardino pensile della nonna,
le vigne e l’uva rossa, dolce,
la menta per il thé che lei coltivava in cassette.
Ricordo gli uccelli, le colombe
di Damasco. Ricordo
come volavano via.
Ricordo
che cercavo di prenderle.
Ftoun Abou Kerech (14 anni)
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Gli Hazara, la mia gente
Non riesco a scrivere degli Hazara, la mia gente,
che per decenni hanno sofferto
in Afghanistan da dove provengono
in Pakistan dove vengono uccisi
in Iran dove recano offesa
per i loro occhi a mandorla.
Ho la mente vuota!
Non riesco a scrivere degli spari fortissimi
a sole due miglia da casa,
dello svenimento della zia,
dell’ansia della mamma,
della tazza che le cadde di mano.
Non riesco a scrivere degli innocenti che morirono:
delle necropoli dei Martiri sempre più grandi;
della mia gente che soffre,
del mondo sempre più crudele:
di quanto tutto questo faccia paura
a bambine come me.
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Curatrice Kate Clanchy, Le colombe di Damasco. Poesie da una scuola inglese– LietoColle 2020
Traduzione di Giorgia Sensi
L’iniziativa è oltremodo meritevole. Ho lavorato per tanti anni sull’intercultura nell’istituto professionale dove insegno e ho compreso che la poesia può essere un fortissimo tramite di avvicinamento alla lingua da imparare. Legandosi al mondo delle emozioni e diventando cifra espressiva di un io interiore, la versione poetica dell’italiano o dell’inglese, toglie gran parte della soggezione istituzionale ai ragazzi appena arrivati a scuola. Inoltre legandosi alla testimonianza di esperienze personali, rilancia attraverso il cerchio del gruppo la condivisione di sentimenti generazionali comuni, ma nell’allargamento dello spazio che va dalla classe al mondo. Esperienza ricchissima, questa curata da Kate Clanchy.
paolo gera
Mi ritrovo indifesa e ammaliata da queste voci laceranti e tenere. La sofferenza dei bambini per le atrocità dei “grandi” è insopportabile. Grazie di averle condivise e di averle presentate con tanta delicatezza.
La poesia che diventa profondamente, sinceramente tramite tra la persona e il mondo, con le sue atrocità e le sue bellezze- il mondo-, entrambe -la persona e il mondo – altrimenti indicibili nell’immediatezza del sentire carico pesante forte, sia esso patire sia esso godere, soprattutto se ad esprimerli è il balbettio di chi appena ha imparato il filo tra parola e cosa. Da ascoltare con la reverenza di chi deve testimoniarne con fedeltà totale. Ci sono cose che fanno tremare, per come toccano dritte sottopelle, nel mio caso anche di colpa.