abbas kiarostami- foto di scena-dov’è la casa del mio amico
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Guardano da più punti di vista, come le finestre di una casa orientata secondo i punti cardinali, da cui l’ospite riesce a cogliere i dettagli di un luogo di cui si riconoscono i frammenti, da cui niente sfugge dello scorrere delle stagioni. Lo spazio e il tempo convivono nei passi di chi quella casa la percorre stanza per stanza nell’arco del giorno, ogni giorno, senza dimenticare che l’intorno è comunque tessuto del proprio corpo e nulla è altro, se non per l’attimo in cui lo sguardo lo coglie, lo raccoglie, lo accoglie in sé, in un ordinato disordine.
Fernanda Ferraresso
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Testi di Luigi Paraboschi
E’ un’assenza senza la giustificazione
Ti serve solamente un tronco scorticato
in fondo ad un campo un po’ in discesa
per appoggiarvi il peso delle spalle
e una finestra dai vetri chiusi da cui scrutare
chi risale il declivio del tuo orto non diserbato
e poi attendi che il ghiaccio nella gronda
diventi acqua nella secchia per interrare
qualche seme e dare un nome nuovo al fiore.
E’ la gratuità a fare meno arido
un incontro tra due cespugli
ora che le notti lunghe dell’inverno
hanno smagrito anche i passeri,
a loro restano le piume per il corpo scarno,
a noi le parole per cercare un senso
ai frammenti di vocali smarrite in giro,
briciole di una storia scritta a matita
per facilitare le correzioni e rammentarci
che la razionalità è un lago di abbandono
nel quale siamo andati a fondo, perché
rimanere senza risposte o spiegazioni
è un’assenza senza la firma dei genitori,
sipario che cala all’improvviso
sopra la ricerca di un significato.
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abbas kiarostami– take me home
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Con devozione
La nebbia che all’improvviso avvolge
cose e menti e sulle tempie fa avvertire
come una sentenza il tempo e le stagioni
nasconde dietro i vetri le figure del sogno
e le coppie frettolose che fuggono dal vento
che rovescia ombrelli e gonne nell’autunno
dove le foglie oscillano sopra il grigio
scivolato nel buio che nasconde le risposte
dentro quel rivolo d’acqua che cola,
si spezza, si fa riga interrotta di vita
che raccoglie bisbigli e sussurri, e voci
smorzate, parole consuete, sorrisi macerati.
Con il tempo anche la lava si muta
in pietra d’ossidiana e del vulcano restano
solo le fumarole testimoni di un calore
mai estinto e la devozione di un pellegrino
che si fa luce con un cero per illuminare
i desideri- cicale di un’estate indiana –
di cui resta, chiusa nelle cocche
di un fazzoletto a quadri rossi,eco
di voce che ha la fragilità del ramo secco.
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Vien, vàrdare
Ci sarà prima o poi qualcuno
da accompagnare lungo i tuoi filari
e poi dirgli “ vien ,vàrdare “
prendendo la sua mano
-nuovo san Tommaso-
e fargliela appoggiare al tuo costato.
Sanerà così quella ferita
che porti in giro lungo i binari
ogni mattino e saprà ascoltare
quel pianto secco che mantieni .
Sarà un camminata nell’autunno
di una vigna ancora giovane
e quelle rose che vi ricrescono
in punta ad ogni inizio di primavera
gli diranno il silenzio di tante notti
e il freddo delle mattine quando t’ avvii.
Gli racconteranno le mani che incroci
tra le cosce prima di dormire
e quel cuscino che ancora soffochi
ma lui vedrà tutta la grazia
che fiorisce da quella ferita
e saprà chinarsi per recidere
il gambo vecchio alle rose stinte.
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Ritratto di stanca signora
Una nuvola si spiana e corre
verso il profilo intensamente blu
delle colline, ed il pensiero
la riconduce dentro la sua scia
la fa chiara piuma bagnata
di pennuto che si distende
sopra il filo del mio sguardo grigio.
E’ una mezza stagione quella
che ho vissuto, ma giunge sempre
l’ora di riporre ogni strumento
e adesso che nella neve non depongo più
trappole o tagliole mascherate
per passeri o umani m’invade
la tenerezza del mio tardivo autunno
mentre osservo il petto bianco
di una gazza che sbocconcella un verme
uscito dal solco d’un aratro nel quale
si specchia un airone cinerino.
E’ libera la mia vita dai vecchi sogni,
conservo la memoria di attimi convulsi
ma non porto più cerchi d’oro all’anulare
ed il mio letto sovente non condivido
mi basta il gusto di sapermi ormai
attenta e stanca, senza più la passione
per un gesto consolatorio che mi poteva
rendere di cenere, e la certezza d’essere
vite senza più filettatura alcuna
mi basta il gusto di sapermi ormai
attenta e stanca, senza più la passione
per un gesto consolatorio che mi poteva
rendere di cenere, e la certezza d’essere
vite senza più filettatura
alcuna e
m’inorgoglisce dentro un figlio
adulto la ribellione che era mia.
m’inorgoglisce dentro un figlio
adulto la ribellione che era mia.
Questi ultimi versi mi riportano alla mente un verso di Zanzotto che recita più o meno così (a memoria..) …e la tradizione? fa passamano?..
che a me sembra anche in parte la missione della poesia e dei poeti, passare il testimone alle generazioni dopo, lasciare un solco dal quale prendere le mosse o discostarsi, comunque qualcuno con cui prendersela o da cui ripartire