fabrizio siano- portfolio architettura (issuu.com)
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Il senso dell’orientamento è il titolo di una delle poesie di Coleoptera, la nuova raccolta di Enea Roversi. I versi iniziali recitano: – Sbiadisce il senso dell’/orientamento scivola come / goccia sul parabrezza hanno / cambiato indirizzo gli ideali …- Paradossalmente costituisce una precisa indicazione viaria, un vero cartello stradale sulla direzione da prendere nella lettura. Questa poesia fotografa l’abbrutimento di una certa atmosfera del paese, originata appunto dalla perdita del senso dell’orientamento, dal cambio di indirizzo degli ideali, di un tempo che arretra: i punti di riferimento si sono liquefatti, una volta appariva chiaro dove avessero sede la ragione e il torto, schierarsi appariva un obbligo esistenziale e un imperativo individuale, e da quando le certezze sono saltate in aria il mondo appare molto più confuso e contraddittorio, e si fa leggere come un panorama di degrado, di squallore, diventa album di foto in bianco e nero che ritraggono l’assenza di ogni entusiasmo, di ogni enfasi, rivela dettagli squalificati e irranciditi, – nel portafoglio tre banconote spiegazzate -, di paesaggi urbani spettrali, ripiegati su se stessi, in pose in cui il dolore è un artiglio che non abbandona la presa, – la laicità spettrale dell’officina – e un affastellarsi di ansie, – le rate da pagare, quelle cifre così impudiche -, scorci umani dove la speranza non si affaccia più ormai. Una volta il nemico aveva un volto e un nome, era facilmente individuabile, sebbene forse qualsiasi presa di posizione rischiasse di sconfinare nell’inganno e nell’autoinganno. Oggi tutto appare molto più sfumato e come appannato, non esiste più un padrone da combattere o un capitale di cui riappropriarsi, la morsa del consumismo trasforma il mondo in un gigantesco invito a indebitarsi e la finanza è ormai un non luogo, velocità e invisibilità rendono impossibile farsi un’idea chiara su quale sia la giusta direzione.
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fabrizio siano- portfolio architettura (issuu.com)
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– Folla di gente muta che non muta -, paesaggi suburbani senza colore, scialbi, mostrano la loro miseria attraverso le insegne del compro oro, e un progresso che divora monete come pastiglie, e il mercato globale, – la concorrenza, si sa, a volte è sleale -, sotto il segno dell’odore cattivo dei soldi, che ha il potere di cambiare le menti e i connotati, e se lo annusi ne rimarrai stordito, e le oscillazioni del mercato, e i flussi interbancari, in definitiva niente più che – una stupida apocalisse più volte annunciata, sempre rinviata – che ora invece si annuncia come permanente futuro del mondo.
In apertura del libro l’autore annuncia saggiamente che la raccolta è nata nel 2018, la sua valenza profetica è quindi immune dagli influssi della cronaca presente, la visione di un intero mondo dilaniato da enormi contraddizioni ha anticipato l’insorgere di un virus capace di mettere in ginocchio il pianeta e le sue certezze.
L’autore dice nei versi ho visto il mondo arretrare, ho visto i simboli dell’orrore sventolare ancora una volta e ammorbare l’aria, ho visto le nuove paure celate nell’indifferenza del consumo, ho visto tornare indietro i giorni.
La descrizione del mondo non è che l’annuncio di una vigilia, la premessa, e anche la promessa, di quell’apocalisse più volte annunciata e coincide perfettamente con la prospettiva che induceva e induce molti a pensare che l’esito finale non poteva essere che quello, una china sempre più ripida e irreversibile.
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fabrizio siano- portfolio architettura (issuu.com)
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Dunque una poesia profetica. Sebbene certe avvisaglie, certi segnali non lasciassero nessuno spiraglio di incertezza. Il futuro del mondo è il titolo di una delle sezioni del libro, e anticipa un futuro che è già un doloroso presente:
varechina
costruiremo nuovi muri per difenderci
dai nuovi invasori edificheremo moderni
quartieri-labirinto in nome di antiche
paure giardini-pensiline in puro plexiglas
nulla da temere grazie al nuovo condono
edilizio e poi sgravi fiscali in nome
dell’architettura sostenibile un mondo
nuovo un’umanità diversamente invecchiata
le strade avranno il colore della
varechina con aiuole perfettamente
tenute fili spinati a protezione delle
corolle cani da guardia con occhi
spalancati come le luci dei lampioni
a rischiarare l’ombra dei muri
La raccolta si snoda punteggiata da embrioni di storie, figurine appena accennate che non posseggono nulla di eroico ma si stagliano perfettamente coerenti contro il panorama quotidiano, nell’atrio della multisala s’incrociano gli sguardi, ma lei si avviò verso la sala numero cinque e lui verso l’ingresso numero quattro, un incontro impossibile dunque, come impossibile risulta l’incontro col principe azzurro: “..lei è seduta al tavolino del bar / un caffè macchiato e una bottiglietta / dove l’acqua attraverso sembra azzurra / come i principi che non esistono”.
Incontri mancati e speranze che non si realizzano, perché non esistono lieti fini con musiche d’archi anche se lei spera che un treno prima o poi arrivi in orario e con le risposte giuste.
Quello che invece arriva in orario e con le risposte giuste è la coerenza dei materiali linguistici usati, che rispecchia in maniera puntuale e estremamente aderente lo srotolarsi dei versi, li abbiglia in maniera perfetta, con parole che sono abiti adatti alla circostanza, un abbinamento rigoroso e spigoloso, dove affiorano i ricordi avvolti nel cellophane e quella paura prima di dormire, le bandiere avvinghiate ai pennoni come edere, l’odore cattivo dei soldi e gli ululati notturni della neve.
Si susseguono i paesaggi quotidiani che ben conosciamo e nei quali siamo ormai incastrati.
Scrive Alessandra Paganardi nella prefazione: “Coleoptera è un’elegia del residuale, del marginale, di quel particolare scarto biologico, capacedi ogni adattamento pur di sopravvivere, che è l’uomo”.
Tuttavia non ogni speranza è sfumata e non ogni strada è smarrita, perché è sempre la poesia dal titolo “il senso dell’orientamento” a restituirci un barlume di possibilità:
…non è vero che il passato
sepolto per sempre non è vero
c’è un orologio fermo c’è uno
squarcio laggiù nel muro per
ricordarlo a noi smarriti
persi lungo la strada
disorientati ancora.
Enea Roversi è di Bologna e questi versi alludono alla tragedia dell’attentato alla stazione i cui esecutori e mandanti non hanno ancora un nome preciso a distanza di quaranta anni, ma tuttavia quello squarcio, quell’orologio muto rimangono come un faro a indicare una strada, un segnale preciso per ritrovare il senso dell’orientamento.
Un libro sullo squallore di certi paesaggi urbani e umani, e tuttavia non chiuso completamente alla speranza, ma teso invece come un augurio verso un mondo nuovo, verso la speranza di una rinascita raffigurata in un bambino che muove le mani e ride:
utopia in bianco e nero
li puoi vedere meglio ora – da qui
nel loro transito reale umani senza
più timori stanno passando vanno
incontro alla nuova terra al
nuovo microcosmo colmo di nuvole radenti
le case con i gerani al davanzale i fili
del bucato nulla è cambiato tutto
si è trasformato li puoi osservare hanno
imboccato vie di fuga strade bianche
a perdita d’occhio i pixel da regolare
lo sguardo è un rettangolo nero
li puoi vedere bene – ora – qualcuno
arranca cade si rialza altri piangono
guarda meglio laggiù c’è una figura
piccola accovacciata è un bambino
muove le mani e ride
Paolo Polvani
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Enea Roversi, Coleoptera– puntoacapo edizioni 2020
Sto leggendo l’ultimo libro di Stefano Mancuso, “La pianta del mondo” , in cui lo scienziato scrive che l’idea di città che ha l’uomo è ancora legata a paure primitive che dovevano segnare in modo netto la differenza tra la natura aggressiva e il consorzio umano. Città senza piante. Ma oggi ogni città dovrebbe essere una piccola giungla o bosco per contrastare le emissioni di CO2. Questo scenario mi è stato riportato dall’articolo di Paolo e dalla poesia di Enea Roversi: la realtà urbana e la necessità di cercare prospettive utopiche per sfuggire alla desolazione psicologica e sociale.
Paolo Gera