emilio isgrò
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Nascere in una terra senza suoni e parole, senza verbo che ti sorregga, fa di un uomo uno che non ha nazione, oltre che nozione del plagio? Ogni parola, ogni verbo lo è: un plagio per costruire una scorza sulla pelle di una realtà refrattaria, che non si lascia catturare e di cui ogni configurazione è, di fatto, un falso d’autore, per aggiustarsi addosso qualcosa che pur nutrendoci è sempre altro da noi e non percepiamo, o non vogliamo concepire come corpo, come sembrerebbe la miglior approssimazione a ciò che tutti siamo.
Quale nazionalità ha l’umanità di ogni uomo, quale colore, quale effimera teoria sta alla base delle sue radici? Quando leggo che un autore, cioè alla fine un palese creatore di “realtà”, è dichiarato come appartenente ad una popolazione piuttosto che un’altra (Raymond Antrobus è nato per essere un poeta inglese, o almeno, un poeta della nuova Inghilterra multiculturale che ha in Londra il proprio centro. Suo padre era un immigrato giamaicano di prima generazione che lo crebbe a Rastafarianesimo, Reggae e la poeta dub Miss Lou. Sua madre era una venditrice ambulante di gioielli di sua creazione, e gli insegnò ad amare le opere di William Blake, il poeta Dissidente di estrazione operaia. ... ) citazione da una presentazione di Kate Clanchy, mi cresce naturale un pensiero solo: un poeta non è mai sordo, il sentire non ha mai a che fare con una fisicità né con una nazionalità soltanto, un poeta è egli stesso una sonorità riverberante e questo lo rende abitante dell’universo, non del nostro asfittico mondo, un tondino da cronaca o da lotta fraternicida, un luogo omicida che ruba, ammazza e scompagina ciò che con lucida perseveranza ogni luogo, o vivente, ci mostra essere la dinamica della vita. Crescere nella vita è assumerne una libera espressione che mette insieme in una tessitura complessa tutti gli elementi per auto promuoversi, senza i falsi meriti che la nostra società continuamente crea ed impone per sentirsi “riparata” da qualsiasi diversità. La poesia non è una carriera, è un percorso spesso duro e faticoso perché richiede un’espansione dei sensi e della capacità di INTELLIGERE, che significa mettere insieme, non disgiungere e separare. Non è nemmeno una infatuazione, piuttosto credo sia una modalità per aprire il proprio guscio, stare sempre sull’uscio, in ascolto profondo e dinamicamente in esplosione attiva. La scelta del nome della raccolta di poesie The perseverance, pubblicata da Lietocolle editrice, penso dichiari quale dovrebbe essere la vocazione di noi tutti, ovunque ci si trovi sulla faccia del pianeta, come la cura che traduca in sanità la nostra sordità profonda, visti i secoli trascorsi senza nulla di fatto fino ad oggi, della nostra perversa caratteristica di tenere fuori, addirittura schiacciare, eliminare chi non è specchio di una razza malata di una volontà di dominio, che non trova ragione di sé in nessuna sacra scrittura, in nessuna giurisdizione e legge che non sia stata la manomissione delle libertà e dei diritti umani e non si proponga con freddezza e inciviltà come detentore e detonatore di qualsiasi forma di vita, frutto di cecità assoluta, oltre che di sordità profonda a tutti i richiami che mostrano, con chiarezza, cosa sia morte e cosa sia vita. Anna Maria Farabbi, nella postfazione, cerca proprio di rischiarare cosa sia il noi, e articola la sua lettura aprendo le voragini che ancora usiamo come discriminare, emarginare, per creare fratture che risultino incolmabili per una insanità che ancora oggi non si vuole curare come tutti dovremmo fare. Raymond Antrobus è nato a Hackney, Londra, da madre inglese e padre giamaicano, ma ha avuto in tutti coloro che lo hanno aiutato a superare i suoi problemi, fisici ma causa di altre problematiche legate alla comprensione del linguaggio e alla relazione con gli altri, e lui stesso riconosce e dichiara con limpidezza, altre madri e sorelle e fratelli, come di fatto siamo tutti, oltre qualsiasi piccolo apparente clan in cui pensiamo di circoscrivere la vita.
Come riportato nella sua biografia, con la raccolta The Perseverance (original edition by Penned in the Margins- London), ha vinto il Ted Hughes Award e il Rathbones Folio Prize, per la prima volta assegnato ad un libro di versi. I giudici del Ted Hughes Award hanno preso la loro decisione nonostante il poeta abbia affrontato in modo assolutamente particolare (ha cancellato per intero un testo del poeta inglese, protagonista della storia d’amore con Sylvia Plath. Infatti Deaf School (Scuola per sordi) appare tutto oscurato, alla moda di Emilio Isgrò, con un deciso tratto nero passato su ogni riga di scrittura. Nelle pagine successive, la risposta arriva con un’altra poesia. «Si è trattato – ha poi spiegato – di un processo catartico». Antrobus non ha mai amato la descrizione di Hughes dei bambini con il viso «vigile e semplice, che sembrano «piccoli lemuri notturni».
Per lui la sordità ha significato una lotta feroce contro le discriminazioni e un gigantesco sforzo di auto-affermazione. Nato nel 1986, la sua condizione fu diagnosticata quando aveva sei anni. «Non potevo leggere, non potevo scrivere, ero lento a iniziare a camminare. Nessuno sapeva perché questo succedeva – ha raccontato alla Bbc – fino a quando un giorno squillò il telefono in casa, vicino a me, e mia mamma si accorse che ero totalmente ignaro di quel suono». Da quel momento, come lui stesso afferma, ha inizio la sua seconda esistenza.
Il libro, The Perseverance, che ha mantenuto lo stesso titolo anche nella traduzione italiana pubblicata da LietoColle, parla di questo suo notevole problema, che è problema comune a molti altr (personalmnete l’ho vissuto con mio padre, che ha addirittura rischiato l’elettrochock , poiché sentiva voci, legate alla sua sordità sempre più profonda, ed io stessa, che ho completamente perso la percezione auditiva da un orecchio) ma parla anche delle radici miste, del problematico rapporto con il padre e l’infanzia vissuta in un mondo emarginato e d emarginante. Nel testo, titolo della raccolta, la località è nell’East End londinese, si tratta di un pub di Broadway Market, come la poesia, luogo in cui un uomo, tra il fumo e le risate, lascia fuori dalla sua vita il mondo e anche un bambino, l’autore, che aspetta di essere riportato a casa e nel frattempo matura quell’espressione, alla fine testo, in cui l’inquadratura è una lama. Scrive:
Perdiamo i nostri padri prima di saperlo
Io sono ancora fuori THE PERSEVERANCE, ascoltando le risate.
Antrobus in tutta la raccolta viaggia, all’interno di altri universi e scritture, ma soprattutto viaggia dentro se stess, per ricucire la sua pelle a quella di un mondo che volevano strappargli di dosso, oscurando le sue parole, non consentendogli di ascoltarlo, quel luogo, non di sentirlo.
Fernanda Ferraresso
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Testi tratti da The Perseverance, di Raymond Antrobus
Love is the man overstanding
Peter Tosh
I wait outside THE PERSEVERANCE.
Just popping in here a minute.
I’d heard him say it many times before
like all kids with a drinking father,
watch him disappear
into smoke and laughter.
There is no such thing as too much laughter,
my father says, drinking in THE PERSEVERANCE
until everything disappears –
I’m outside counting minutes,
waiting for the man, my father
to finish his shot and take me home before
it gets dark. We’ve been here before,
no such thing as too much laughter
unless you’re my mother without my father,
working weekends while THE PERSEVERANCE
spits him out for a minute.
He gives me 50p to make me disappear.
50p in my hand, I disappear
like a coin in a parking meter before
the time runs out. How many minutes
will I lose listening to the laughter
spilling from THE PERSEVERANCE
while strangers ask, where is your father?
I stare at the doors and say, my father
is working. Strangers who don’t disappear
but hug me for my perseverance.
Dad said this will be the last time before,
while the TV spilled canned laughter,
us, on the sofa in his council flat, knowing any minute
the yams will boil, any minute,
I will eat again with my father,
who cooks and serves laughter
good as any Jamaican who disappeared
from the Island I tasted before
overstanding our heat and perseverance.
I still hear popping in for a minute, see him disappear.
We lose our fathers before we know it.
I am still outside THE PERSEVERANCE, listening for the laughter.
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The Perseverance
Amore è l’uomo che capisce fin troppo
Peter Tosh
Aspetto fuori da THE PERSEVERANCE.
Faccio un salto dentro.
Glielo avevo sentito dire molte altre volte
come tutti i bambini con un padre che beve,
lo guardo scomparire
dentro fumo e risate.
Non sono mai troppe, le risate
dice mio padre, che beve a THE PERSEVERANCE
finché tutto scompare –
Io sto fuori a contare i minuti,
ad aspettare che l’uomo, mio padre,
finisca il suo goccio e mi riporti a casa prima
che faccia buio. Questo lo sappiamo già da prima,
non sono mai troppe le risate
a meno che non siate mia madre senza mio padre,
che lavora al fine settimana mentre THE PERSEVERANCE
lo sputa fuori per un minuto.
Mi dà 50p perché io sparisca.
Con 50p in mano, io sparisco
come una moneta in un parchimetro prima
che scada il tempo. Quanti minuti
perderò ad ascoltare le risate
che tracimano da THE PERSEVERANCE
mentre sconosciuti chiedono, dov’è tuo padre?
Io fisso la porta e dico, mio padre
sta lavorando. Sconosciuti che non spariscono
ma mi abbracciano per la mia perseveranza.
Papà l’aveva detto prima questa sarà l’ultima volta,
mentre la TV rovesciava risate finte, e noi,
sul divano della sua casa popolare, sappiamo che da un momento all’altro
gli yams bolliranno, da un momento all’altro,
io mangerò di nuovo con mio padre,
che cucina e serve risate
bravo come un qualsiasi giamaicano sparito
dall’Isola che ho assaggiato prima
che capisce il nostro calore e la nostra perseveranza.
Sento ancora faccio un salto dentro, lo vedo scomparire.
I nostri padri li perdiamo prima che ce ne accorgiamo.
Sto ancora fuori da THE PERSEVERANCE, ad ascoltare le risate.
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Jamaican British
after Aaron Samuels
Some people would deny that I’m Jamaican British.
Anglo nose. Hair straight. No way I can be Jamaican British.
They think I say I’m black when I say Jamaican British
but the English boys at school made me choose: Jamaican, British?
Half-caste, half mule, house slave – Jamaican British.
Light skin, straight male, privileged – Jamaican British.
Eat callaloo, plantain, jerk chicken – I’m Jamaican.
British don’t know how to serve our dishes; they enslaved us.
In school I fought a boy in the lunch hall – Jamaican.
At home, told Dad, I hate dem, all dem Jamaicans – I’m British.
He laughed, said, you cannot love sugar and hate your sweetness,
took me straight to Jamaica – passport: British.
Cousins in Kingston called me Jah-English,
proud to have someone in their family – British.
Plantation lineage, World War service, how do I serve Jamaican British?
When knowing how to war is Jamaican British.
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Britannico giamaicano
alla maniera di Aaron Samuels
Certa gente nega che io sia britannico giamaicano.
Naso inglese. Capelli dritti. Impossibile che io sia britannico giamaicano.
Pensano che io dica che sono nero quando dico britannico giamaicano
ma i ragazzi inglesi a scuola volevano che io scegliessi: giamaicano, britannico?
Mezzo sangue, mezzo mulo, schiavo domestico – britannico giamaicano.
Pelle chiara, maschio etero, privilegiato – britannico giamaicano.
Mangio callaloo, plantain, jerk chicken – sono giamaicano.
I britannici non sanno cucinare i nostri piatti; loro ci hanno schiavizzato.
A scuola ho fatto a cazzotti con un compagno in mensa – giamaicano.
A casa, ho detto a Papà, li odio, tutti i giamaicani – sono britannico.
Si è messo a ridere, ha detto, non puoi amare lo zucchero e odiare la dolcezza,
mi ha portato dritto in Giamaica – passaporto: britannico.
I cugini di Kingston mi hanno chiamato gia-inglese,
fieri di aver in famiglia qualcuno – britannico.
Discendenza da piantagione, servito in guerra mondiale, in che modo servo britannico giamaicano?
Saper fare la guerra è britannico giamaicano.
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Two Guns in the Sky for Daniel Harris
When Daniel Harris stepped out of his car
the policeman was waiting. Gun raised.
I use the past tense though this is irrelevant
in Daniel’s language, which is sign.
Sign has no future or past; it is a present language.
You are never more present than when a gun
is pointed at you. What language says this
if not sign? But the police officer saw hands
waving in the air, fired and Daniel dropped
his hands, his chest bleeding out onto concrete
metres from his home. I am in Breukelen Coffee House
in New York, reading this news on my phone,
when a black policewoman walks in, two guns
on her hips, my friend next to me reading
the comments section: Black Lives Matter.
Now what could we sign or say out loud
when the last word I learned in ASL was alive?
Alive – both thumbs pointing at your lower abdominal,
index fingers pointing up like two guns in the sky.
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Due pistole nel cielo per Daniel Harris
Quando Daniel Harris scese dalla macchina
il poliziotto era in attesa. Pistola in pugno.
Uso il passato anche se è irrilevante
nella lingua di Daniel, la lingua dei segni.
I segni non hanno né futuro né passato; è una lingua presente.
Non sei mai più presente di quando ti viene puntata
contro una pistola. Che lingua lo dice
se non i segni? Ma il poliziotto vide delle mani
agitarsi per aria, sparò e Daniel lasciò cadere
le mani, il petto dissanguato sul cemento
a pochi metri da casa. Sono alla Breukelen Coffee House
a New York, e leggo questa notizia sul mio telefono
quando entra una poliziotta nera, due pistole
sui fianchi, l’amico accanto a me sta leggendo
la pagina dei commenti: Black Lives Matter.
Allora, cosa potevamo dire coi segni o a voce alta
quando l’ultima parola imparata in ASL era vivo?
Vivo – entrambi i pollici puntati al basso addome,
gli indici puntati all’insù come due pistole nel cielo.
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Note bibliografiche relative all’ìautore
Raymond Antrobus è nato a Hackney, Londra, da madre inglese e padre giamaicano. Vive a Londra e lavora a livello nazionale e internazionale come poeta freelance e insegnante.
È stato uno dei primi a livello internazionale a ricevere un MA in Spoken Word Education da Goldsmiths College, University of London Nel 2018 ha ricevuto il Geoffrey Dearmer Award dalla Poetry Society. Nel 2019 è stato il primo poeta a vincere il Rathbone Folio Prize per la miglior opera di letteratura indipendentemente dal genere, “regardless of form”. Altri premi ricevuti includono il Ted Hughes Award, PBS Winter Choice, The Guardian Poetry Book of the Year 2019.
Ha pubblicato due pamphlet: Shapes & Disfigurements of Raymond Antrobus (Burning Eye Books, 2012) e To Sweeten Bitter (Out-Spoken Press 2017).
The Perseverance (Penned in the Margins, 2018) è la sua prima raccolta.
Nel 2019 la sua poesia “Jamaican British” (inclusa nella raccolta The Perseverance), è stata aggiunta al syllabus del GCSE. Sue poesie sono pubblicate su numerose riviste letterarie inglesi, e presentate in diversi festival e programmi di BBC TV e Radio.
Raymond Antrobus è noto performer, suoi video si possono vedere su YouTube e su http://www.raymondantrobus.com/
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Raymond Antrobus, The Perseverance – LietoColle Editore 2020
cura e traduzione di Giorgia Sensi, prefazione di Kate Clanchy, postfazione di Anna Maria Farabbi
Ti ho postata su linkedin
ok, grazie a te, baci
Antrobus mi sembra un nome bellissimo e l’indicazione di un destino. Il passato e il contemporaneo, il singolare e il plurale. Anthropos (uomo)+ bus (veicolo). L’individuo e il suo essere incrocio di altre persone in movimento. Il meticciato, il mescolamento, il viaggiare insieme stretti su uno stretto percorso che segna fermate e riprese di viaggi. Io non conoscevo questo poeta. Grazie a Fernanda e Anna per il loro lavoro. I poeti responsabili sono oggi sordi perché devono ripararsi dall’enorme tsunami di parole inutili che arrivano da ogni parte e nello stesso tempo hanno un udito acutissimo perché tra queste parole riconoscono il tam tam necessario del contemporaneo e lo riproducono trasformato dalla loro sensibilità e perseveranza. E’ la costanza di stare dentro il locale chiassoso come il padre, ma poi di aspettare fuori e ascoltare solo la propria vocazione, come il piccolo Raymond.
Ho sostenuto, affiancato, quest’opera prima di tutto per la qualità di una penna aspra, diretta, irriverente che attira e impegna verso il suo ascolto. Ho molto apprezzato la traduzione. Da anni studio la radice del suono, entrando nelle esperienze della sua assenza. Quindi anche nei registri della sordità. Qui la poesia, a parte le tematiche a cui attinge, ha una levatura che chiama.
la sordità come metafora dell’esclusione; legata alla poesia, metafora di una leggittima difesa?; mia figlia ha fatto un anno di servizio civile in una comunità di non udenti, si chiamano così i bambini sordomuti, e poi per altri due anni ha continuato con una strana forma di contratto; aveva imparato abbastanza bene la lingua dei segni; la regione puglia ha organizzato un corso interessante per chi desiderava imparare e approfondire quel sistema di comunicazione, la LIS, ma lei è risultata beneficiaria di un reddito troppo alto e non ha potuto partecipare; in questo caso: sordità delle istituzioni!
A scuola, in licei diversi, ho avuto più di un allievo/a non udente. Volevo fare un corso per imparare la lingua dei segni , mi ero iscritta, ma hanno eliminato il corso per mancanza di un numero adeguato di iscritti. Mio padre era diventato gravemente sordo, ad un certo punto della sua vita, ha addirittura rischiato l’elettroshock per via delle voci che udiva ed erano legate al problema della sua sordità. Anche io ho perso la capacità di sentire da un orecchio e chissà se tra poco non sentirò più il mondo. Per ora lo trovo un vantaggio avere la possibilità di lasciarlo fuori di me, quel mondo rumoroso e molesto che gli altri sono costretti ad ascoltare.Mi rendo conto però che relazionarsi necessita di mezzi, fossero anche segni.