ISTANTANEE- Anna Maria Farabbi: a proposito di “Miti Miraggi e Realtà del ritorno” di Francesco Roat.

antigone e creonte

 

In questo periodo così difficile dentro cui il lavoro dell’editoria ha subito una crisi epocale, questo libro fiorisce all’aria come una testimonianza tenace, una resistenza colta e significativa. Da anni seguo ogni impronta di Francesco Roat perché individuo nella sua scrittura un innesto originale tra ricerca interiore, filologica e linguistica che sfocia inevitabilmente anche nella traduzione e, una capacità narrativa coinvolgente. Queste tre vie si intrecciano complementari l’una all’altra, rendendo l’opera avvincente, fuori dai parametri accademici.
Roat nasce dalla narrativa per questo la tessitura del racconto continua a essere una dominante sostanziale.
Personalmente la mira del viaggio di questo libro mi è profondamente cara. Condivido con lo scrittore e saggista traduttore trentino l’imprescindibilità di una verticale e trasversale riflessione sulle radici del nostro occidente dentro cui affonda il canto del mito. Roat pizzica le corde essenziali di questa arpa tematica conducendo una musicalità che nomina preludio e postludio  volutamente attingendo  alla terminologia  musicologica. Roat, tra le altre cose, è un fine conoscitore della musica e lui stesso se ben ricordo suona il pianoforte. Questo può spiegare la sua raffinata sensibilità alla poesia. Ricordo qui, con riconoscenza, il suo lavoro consistente sulla mia opera.
Credo sia indispensabile rendere chiari gli occhielli dei capitoli da lui attraversati: Orfeo o della tracotanza di pretendere /il ritorno dal regno dei morti; Ulisse o della tensione ancipite/a volere e non volere il ritorno; Penelope o di chi sa sostenere/la mancanza del ritorno; I ritorni più o meno mancati/di Edipo & C.; Biblici ritorni; Appendice ai ritorni biblici; Il ritorno all’Uno; Malinconia; Nostalgia; Pascoli o del ritorno poetico; La metamorfosi di Kafka o del mancato ritorno; Ritornare da Auschwitz; Buddha o del non-ritorno. 

Già a una prima vista, emerge il raggio vasto della sua ampiezza argomentativa che infila oltre la grande letteratura del mito, narrativa e poesia contemporanea, storia e religione. In questa libertà che sconfina, il filo rosso rimane teso e limpido nell’acuta riflessione su ciò che intendiamo spiritualmente, intellettualmente, fisicamente, per ritorno.
L’approccio di Roat è diretto ai testi essenziali, di cui detta le coordinate di riferimento ma anche ampiamente estratti e citazioni  risonanti di altri autori e autrici che hanno satellitato o sono atterrati a essi. La chiarezza espositiva e la tracciatura dialettica sospingono il lettore a seguire il passo dell’autore con piacevolezza di confrontarsi alle prospettive da lui offerte.  Lo sguardo che ci consegna non è solito. Colgo un esempio per tutti. Entrando nella vicenda di Edipo, Roat pone la punta del suo compasso in un luogo della tragedia esistenziale spesso tralasciato: la sua morte. Riparte da questa per colmare tutto l’arco della vita di questo re simbolo. Illumina la postura finale del vecchio tormentato cieco in qualche modo santificandolo di un’aurea di saggezza spirituale raggiunta.

Ho particolarmente apprezzato, come sempre, la sua onestà scrittoria nel dettagliare in trasparenza i passaggi del suo pensiero, quasi per cercare il piacere di una conversazione con i lettori, una voce e un ascolto che potrebbe rovesciarsi in un colloquio intellettuale e spirituale.
L’opera si legge  d’un fiato.
Confesso che, leggendolo, sottolineandolo, facendo appunti a margine della pagine, mi sono augurata di presentarlo insieme in una piazza fisica portando a confronto la mia interpretazione specialmente su Penelope Ulisse Antigone, e altro. Un desiderio di condivisione con questo studioso amico stimato. Chissà … 

Anna Maria Farabbi

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Francesco Roat, Miti Miraggi e Realtà del ritorno- Moretti & Vitali 2020

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