kaftano ottomano dal museo del topkapi- istanbul
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I vestiti di Roxelane
(Primavera del 1526)
“Ho vissuto i miei anni migliori sotto la tua protezione, come una perla nel cofanetto di gioie. Non bastano le parole e non sarà mai sufficiente l’inchiostro per comunicare la gioia e la felicità che provo stando al tuo fianco. I ricordi dei nostri giorni riempiono il cuore della tua serva e lo consolano in tua assenza. Il mio morale è basso quando non ci sei e non c’è medicina per questa pena. La mia sola preghiera è di poterti rivedere presto e non separarmi più da te, né in questo mondo, né in quello che ci attende dopo la morte. […]
“Sconfiggi sempre i tuoi nemici, ma per uno scherzo del destino sei caduto dinanzi a una povera schiava e ora le strappi lacrime, la rendi felice. Ho abbracciato l’Islam perché credo in te e solo al tuo fianco posso sentirmi felice. Ti mando dei miei vestiti intrisi delle mie lacrime, ti prego, indossali per me”.
Così scrive Hürrem Sultan, conosciuta in Europa come Roxelana, a Solimano il Magnifico, il sultano ottomano in quel momento impegnato nella campagna per la conquista dei Balcani.
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camicie fine XVIII s. e inizio XIX s. dal museo della moda e del merletto-, bruxelles
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Le camicie di Rousseau
(Vigilia di Natale, 1750)
“Iniziai la mia riforma dall’abbigliamento: abbandonai dorature e calze bianche, presi una parrucca tonda, deposi la spada, vendetti l’orologio, dicendomi con gioia incontenibile: «Grazie al cielo, non avrò più bisogno di sapere che ora è. […]
Per quanto austera fosse la mia riforma suntuaria, non mi affrettai ad estenderla alla mia biancheria, che era bella e abbondante, residuo del mio corredo di Venezia, e per la quale nutrivo un’attrazione particolare. A forza di farmene un motivo di pulizia, ne avevo fatto un oggetto di lusso, che non mancava di costarmi. Qualcuno mi rese il servigio di liberarmi da tale schiavitù.
La vigilia di Natale, mentre le «governatrici» erano ai vespri e io al concerto spirituale, qualcuno forzò la porta di un solaio dov’era stesa tutta la nostra biancheria, dopo il bucato. Rubò ogni cosa, e fra l’altro quarantadue camicie di bellissima tela, che costituivano il fondo della mia biancheria. […] Quell’avventura mi guarì dalla passione della bella biancheria, e in seguito non ne ho avuto che di comunissima, meglio intonata al resto del mio abbigliamento, avendo perfezionato così la mia riforma.”
J. Rousseau, “Le Confessioni”, Libro ottavo
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Il vestito bianco di Gandhi
(4 settembre 1888)
“Raggiungemmo Southampton, da quanto ricordo, di sabato. Sulla nave avevo sempre indossato un completo nero, per riservare il completo in flanella bianca, che i miei amici avevano preso per me, al momento dello sbarco. Avevo pensato che dei vestiti bianchi fossero più adatti per quando scendevo a terra. Erano gli ultimi giorni di settembre e vidi che ero l’unica persona vestita in bianco. […] La vergogna di essere l’unica persona vestita di bianco era già troppo per me e quando seppi che non avrei potuto riavere i miei bagagli il giorno successivo, poiché era domenica, ne fui esasperato. “
K. Gandhi, An Autobiography, or the Story of my Experiments with Truth, Ahmedabad, 2014, pag 40-42 (traduzione mia)
Tre storie lontane tra loro nel tempo e nello spazio. Istanbul, Parigi, una nave che dall’India (Mumbai) giunge alle coste dell’Inghilterra. Un vestito che viaggia fino ad arrivare su un campo di battaglia, 42 camicie appese ad asciugare in una soffitta la vigilia di Natale, un vestito bianco a misurare la propria sudditanza alla cultura dominante.
Tre racconti che mostrano il potere dei vestiti: di evocare, di manifestare la propria identità, di identificarsi con una cultura o un gruppo, di vincolare a determinati dettami, ma anche di indurre trasformazioni.
La bella Roxelana, la schiava ucraina che riesce a diventare la favorita e poi addirittura la moglie del sultano, cosa mai accaduta prima, conosce bene il loro potere evocativo e, per stringere a sé il suo uomo lontano, gli manda sul campo di battaglia i vestiti intrisi delle secrezioni del suo corpo; non solo, con intima sensualità, gli chiede di indossarli per lei. Hürrem Sultan, questo il suo nome in turco, usa i tessuti, gli abiti e i ricami – arte molto praticata nell’harem – per farsi largo in un mondo di maschi e se ne serve per intrattenere rapporti con potenti sovrani dell’epoca ai quali invia, appunto, tessuti ricamati da lei.
Rousseau invece, da giovane ambizioso qual è, si compra decine e decine di camicie di lino, oggetto di prestigio alla sua epoca, e anche quando decide di liberarsi di tutto ciò che è superfluo per essere davvero libero, non sa rinunciare a quelle lussuose camicie comprate a Venezia. Sarà un ladro a fare quello cui non era arrivata la sua forza di volontà e nelle sue “Confessioni” ci regala l’immagine indimenticabile delle 42 camicie lavate e stese in una soffitta la vigilia prima di Natale e del ladro che le afferra ad una ad una nel silenzio della casa, e se le porta via.
Infine Gandhi, prima di rivendicare la fierezza di essere indiano e di indossare quindi il costume tradizionale, il dhoti, forza se stesso dentro gli abiti della cultura dominante, provando la cocente umiliazione di scoprirsi inadeguato, nonostante tutti gli sforzi. Non si arrende e anzi si impegna ancora di più ad adeguare la sua immagine a quella di un gentiluomo inglese: si compra nuovi vestiti, un cappello a un prezzo che lui stesso ritiene esorbitante, “getta via dieci sterline in un vestito da sera comprato in Bond Street, il centro della vita alla moda di Londra”. E racconta che “mentre in India, lo specchio era un lusso permesso nei giorni che il barbiere di famiglia mi rasava, qui gettavo via dieci minuti ogni giorno davanti a un grande specchio, guardandomi mentre mi annodavo la cravatta o mi dividevo i capelli nel modo corretto”.
Facciamo fatica a identificare nel giovano azzimato ed elegante che si guarda a lungo allo specchio, lo stesso uomo ci ha consegnato la storia: a gambe nude incrociate, il gonnellino dhoti, il petto nudo, intento a filare. Eppure come dal bozzolo esce la farfalla, così dal completo bianco è uscito il Mahatma. Dal furto delle camicie un nuovo, più determinato philosophe. Dai vestiti intrisi di lacrime, fioriscono invece, pochi anni dopo, le nozze sontuose e inaudite tra una schiava e il sultano e così Roxelane diventa una delle donne più influenti nella storia dell’Impero ottomano e sarà una fonte di ispirazione per le donne che verranno dopo di lei. I vestiti uniformano, certo, ma nello stesso tempo trasformano, così non c’è metamorfosi che non passi attraverso loro.
Adriana Ferrarini
molto acuto e interessante!! piacevolissima lettura, grazie